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Così il trattato di libero scambio resuscita il Wto
Ttip/6 Il neodirettore dell'Organizzazione mondiale del commercio, Roberto Azevedo, porta a casa il Bali package. E a dettare l'agenda ora sono i Brics
L’approvazione del Bali Package all’ultima Ministeriale della Wto del dicembre scorso è un segno di qualcosa che sta cambiando, e velocemente, nella governance mondiale. Il primo accordo portato a casa dall’Organizzazione di Rue de Lausanne dal giorno della sua costituzione, di fatto il primo risultato concreto dalla chiusura dell’Uruguay Round, ridisegna gli scenari futuri a cominciare dal ruolo della Wto.
L'esplosione di accordi di libero scambio (Ftas) bilaterali e regionali negli ultimi anni – basti pensare che l’Unione europea, campione di multilateralismo fino alla pubblicazione “Global Europe. Competing the world” nel 2007, ha siglato FTAs con più di 50 Paesi – mostrava un quadro di progressivo disimpegno dai faticosi tavoli negoziali dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il punto più basso, il fallimento della ministeriale del luglio del 2008, segnava il punto di declino del Doha Round e l’inizio della fine della credibilità di Pascal Lamy come direttore generale e facilitatore del negoziato. “L’incontro è fallito”, dichiarò alla stampa Lamy alla fine di nove giorni senza un risultato, “semplicemente perché i membri non sono stati in grado di avvicinare le loro posizioni differenti”. Di tenore diverso quell’“abbiamo riportato il mondo all’interno della Wto” che Roberto Azevedo, il neodirettore dell'Organizzazione, dichiarò dopo una nottata al calor bianco ed una conclusione non scontata alla ministeriale indonesiana. Roberto Carvalho de Azevedo è un diplomatico brasiliano, già “Permanent Representative” del suo Paese alla Wto, così come presso la World Intellectual Property Organisation (WIPO) e la United Nations Conference for Trade and Development (UNCTAD). Il primo settembre scorso è diventato direttore dell'Organizzazione mondiale del commercio per un mandato di quattro anni, un ruolo nel quale potrà spendere tutta la credibilità di diplomatico navigato di un Paese emergente come il Brasile.
A fianco del Brasile, in questo nuovo scenario, c’è l’India e la sua capacità di imporre temi all’agenda globale. Su argomenti, come l’intervento pubblico in agricoltura, da anni al centro dello stallo del Doha Round. Il Food Security Act indiano, e la possibilità di sussidiare attivamente produzioni agricole per sostenere centinaia di milioni di persone alla fame, è almeno per quattro anni protetto da qualsiasi deferimento al Dispute Settlement Body. Quattro anni di “clausole di pace” ritagliate ad uso e consumo dell’India, che non risolvono il problema alla base visto che la proposta del G33 di riformare l’Accordo sull’Agricoltura (AoA) cade nel dimenticatoio, ma che danno al ministro indiano Sharma l’autorevolezza per tornare nel suo paese in vista delle elezioni prossime venture.
Altro vincitore della partita indonesiana sono gli Stati uniti. Che portano a casa la Trade Facilitation a tutto vantaggio di realtà come FedEx e UPS e di una maggiore presenza nei mercati esteri da parte delle imprese esportatrici. Gli Usa evitano la definitiva cancellazione degli export subsidies, nonostante l’accordo di Hong Kong del 2005. E trovano centralità sullo scenario internazionale con i tre accordi di libero scambio in cui l’Amministrazione Obama è attore protagonista: la Transpacific Partnership (TPP) con 12 Paesi membri che assommano al 40% di tutto il PIL global; la Transatlantic Trade and Investiment Partnership (TTIP) con 28 Paesi e il 50% del PIL globale; il Plurilateral Services Agreement (PSA) con 49 Paesi che partecipano e più dell’80% del PIL globale.
L’agenda globalizzatrice è ripartita di slancio, in un quadro che si sta ridefinendo sulla base delle nuove direttrici geopolitiche. Che vanno verso Est e verso Ovest. E con un’Europa sempre più comprimaria.
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