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Portogallo: un colpo di stato all’europea?

27/10/2015

Il Presidente del Portogallo, nell’argomentare la nomina di Passos in difesa dell'ordine costituzionale, ha tacciato la coalizione di socialisti, comunisti e blocco di sinistra di essere al di fuori della sfera costituzionale

Il presidente portoghese, Aníbal Cavaco Silva, si è rivolto nei giorni scorsi ai suoi cittadini tenendo un discoro televisivo in cui annunciava come candidato designato alla presidenza del governo Passos Coelho, leader della coalizione elettorale più votata. Il presidente portoghese ha invocato la convenzione costituzionale stabilita durante i quaranta anni di democrazia nel paese vicino, che, nella sua interpretazione, richiede che la prima candidatura ad essere sottoposta alle Camere sia proprio quella del leader del partito o della coalizione più votata. Parafrasando il titolo dell'ultimo romanzo di Javier Marias , “Così ha inizio il male”. E’ di dominio pubblico (ed il Presidente ne ha notizia di prima mano) che gli altri tre partiti parlamentari (il Partito Socialista, il Partito Comunista e il Blocco di sinistra) hanno manifestato non solo la volontà di bloccare l’accordo, ma anche di appoggiare apertamente la candidatura del socialista Costa come primo ministro.

Cavaco avrebbe potuto prendere nota dell’accordo e aver indicato la convenienza di continuare la convenzione costituzionale verificando l’insufficienza di voti a favore di Passos. Fermo restando che se Coelho non avesse raggiunto la fiducia, Cavaco avrebbe presentato al Parlamento la candidatura di Costa. Tuttavia il Presidente del Portogallo è andato molto più in là nell’argomentare la nomina di Passos in difesa dell'ordine costituzionale. Cavaco ha infatti tacciato la coalizione di socialisti, comunisti e blocco di sinistra di essere al di fuori della sfera costituzionale. Ha inoltre aggiunto che questi ultimi (vale a dire, comunisti e blocco di sinistra) non possono accedere al governo, dal momento che pongono in questione “il progetto di Unione Europea e dell’Eurozona”, nonché la “NATO”. Da questo punto di vista, il capo di stato portoghese non solo si autoproclama “difensore della costituzione” più di quello che la carta magna del Portogallo prevedrebbe, ma anche, e questo è l’aspetto fondamentale, definisce in modo preciso un nuovo canone rispetto al quale deliberare l’accesso o meno di un partito al governo. È interessante osservare che questo stesso canone non include la carta costituzionale portoghese, bensì fa riferimento ad un congiunto variegato ed eterogeneo di norme sovranazionali quali: il trattato di Lisbona (con il quale si sarebbe voluto indicare il Trattato dell’Unione Europea ed il trattato di funzionamento dell’Unione Europea), il Trattato (intergovernativo) sulla stabilità e crescita (cosiddetto Fiscal Compact), la Union Banking (vaga formula che comprenderebbe diversi regolamenti dell'Unione Europea, e in particolare assegnerebbe alla Banca Centrale Europea l’autorità di agire come supervisore prudenziale degli istituti finanziari), il patto di stabilità e crescita (costituito da regolamenti e direttive dell'Unione Europea) ed il trattato NATO. Secondo Cavaco, solo coloro che non pongono in discussione queste norme rispettano l’opzione strategica del paese ad integrarsi nell’Unione Europea e nella NATO, che avrebbero svolto non solo “un ruolo fondamentale nel consolidamento del regime democratico”, ma che continuano a svolgere “un ruolo fondamentale della nostra democrazia e del modello di società che i portoghesi vogliono vivere: una società sviluppata, giusta e solidale”.

Si tratta di una decisione profondamente infelice e politicamente poco lungimirante. In vari passaggi del suo discorso il Presidente auspica alla formazione di una grande coalizione fra partiti di destra ed il partito socialista. Lasciando perdere un giudizio di valore, la prooposta di Cavaco potrebbe portare all’esplosione del Partito Socialista, e in vista di eventuali future elezioni, ad una forte crescita del voto di quelle stesse liste che Cavaco collocherebbe al di fuori dell’arco parlamentare.

D'altra parte, se nonostante il triage di Cavaco, Passos Coelho non riesce ad ottenere la fiducia parlamentare, la stessa posizione di Cavaco diverrà insostenibile. A questi per altro poco potrà interessare dal momento che gli restano solo tre mesi di mandato, tuttavia le conseguenze saranno gravi, tanto nel corto, medio e lungo periodo.

Vi è del resto qualche dubbio che il prolungamento dello stato di interregno fra il governo uscente e l’elezione di uno entrante possa avere un serio impatto sull’evoluzione dell’economia portoghese? In tal caso può Cavaco legittimamente assumere una decisione che non è improbabile possa scatenare la furia speculativa dei mercati e mettere il futuro governo con le spalle al muro?

Tuttavia ciò che è realmente grave è che, nonostante Cavaco affermi che la sua decisione è fondamentale al fine di evitare una “alterazione radicale del nostro regime democratico”, è Cavaco che altera radicalmente la legge fondamentale portoghese con la sua decisione. Né la Costituzione del Portogallo né l’insieme di norme che Cavaco vuole convertire nel nuovo diritto costituzionale dei portoghesi gli consentono di ergersi a guardiano della purezza costituzionale del Partito Comunista e del Blocco di Sinistra, che hanno partecipato in maniera perfettamente lecita alle elezioni. Concediamoci un attimo di ergerci a giuristi: su quale articolo della Costituzione portoghese può basarsi Cavaco per affermare quanto detto ieri? In quale punto della Costituzione portoghese si sostiene che il presidente non sia solo il custode della Costituzione, ma anche che in tale veste possa sopperire alle funzioni del tribunale costituzionale ed estromettere partiti dal governo di suo libero arbitrio? Se il Partito Socialista persiste nel voler governare in coalizione, dovrà forse escludersi dalla lista di partiti che possono governare? Il presidente portoghese ha sbagliato tempo, posto e costituzione. Pretende di applicare categorie proprie del più stantio costituzionalismo (à la Carl Schmitt della Repubblica di Weimar, o il costituzionalismo militante della guerra fredda) ad uno Stato che si definisce sociale, democratico e di diritto.

Senza dubbio vi è un grande rischio che molti leader politici e l’opinione pubblica in Europa interpretino come normale la condotta di Cavaco, addirittura come salutare. E la decisione di Cavaco è perfettamente coerente con l’evoluzione del diritto costituzionale dell’Unione Europea e di alcuni dei suoi Stati membri negli ultimi otto anni. Martin Sandbu, che non è editorialista de L’Humanité, o del Il Manifesto, ma piuttosto del Financial Times, ha appena pubblicato un libro (Europe’s Orphan) in cui ricostruisce in dettaglio il modo in cui tanto la Banca Centrale Europea come l’Eurogruppo hanno fatto uso dell’enorme potere monetario e fiscale dell’Eurozona per tentare cambiamenti del governo e della politica degli stati della periferia dell’Eurozona. E’ stata la BCE, più che i governi di Irlanda, Portogallo, o Grecia, a rendere i suddetti paesi obbligati a chiedere assistenza finanziaria all’Eurozona. La minaccia di esercitare il brutale potere che Francoforte detiene in virtù del suo essere prestatore in ultima istanza dell’intero sistema finanziario in difficoltà ha forzato letteralmente la mano dei governi democraticamente eletti. È stato l’Eurogruppo ad avere spinto cambiamenti di governo in Ungheria (2008), Romania (2010), Italia (2011) e in Grecia quest’estate, essendo questi paesi sul precipizio del baratro fiscale. Ed è stata proprio la pressione congiunta di BCE ed Eurogruppo all’inserimento della cosiddetta “regola d’oro” all’interno delle costituzioni di tre stati sull’orlo del precipizio fiscale (Spagna, Italia e Slovenia), una regola che in realtà limita la possibilità di deficit pubblico e che, come dimostra quanto avvenuto in questi paesi, non ha di fatto contribuito alla riduzione del debito pubblico, bensì a facilitare l’approvazione di misure di tagli della spesa pubblica e di privatizzazioni folli ed irragionevoli. A differenza del Presidente Cavaco, le decisioni della Banca Centrale e dell’Eurogruppo hanno voluto essere legittimate in materia strettamente economica. Tuttavia, l’argomentazione di Cavaco ben si adatta alla stessa logica sebbene da una prospettiva di tipo costituzionale: convertire la condizione di stato membro dell’Eurozona nel primo e fondamentale principio costituzionale al quale si subordinano i restanti.

Dovrebbe risultare ovvio, tuttavia disgraziatamente ancora non lo è, che rendere l’appartenenza all’euro come il pilastro dello Stato implica essere disposti a rinunciare al modello socio-economico, politico e culturale dello stato sociale e democratico di diritto. Come il caso del Portogallo, tuttavia in Spagna e in Italia, “salvare l’euro” ha implicato il ripudio di elementi essenziali dell’ordine costituzionale. Proseguire con questo euro ha significato procedere ad una svalutazione interna, che è fondamentalmente una svalutazione del lavoro e dei lavoratori, portando ad una redistribuzione al contrario dai più poveri ai più ricchi. Un qualcosa che risulta riprovevole non solo dal punto di vista normativo e sociale, ma anche manifestamente contrario alla carta costituzionale italiana (articolo 3.2) e spagnola (articolo 9.2). Proseguire con l’euro impone di rispettare strettamente la “credibilità” delle politiche pubbliche difronte ai detentori dei capitali, al costo di rinunciare alla “credibilità” difronte ai malati, ai pensionati, ai lavoratori, tanto del settore privato quanto di quello pubblico. La grave e profonda mutazione costituzionale che sta attraversando l’Unione Europea e i suoi stati membri da circa otto anni è lo scenario all’interno del quale occorre contestualizzare la decisione di Cavaco. Quello che risulta difficile accettare non è la novità, ma il rendere esplicito ciò che era implicito nei cambiamenti e nelle trasformazioni precedenti: ovvero che salvare l’euro esige rinunciare (o limitare drasticamente) la democrazia. Nel momento in cui vi è una sola politica economica, la democrazia perde sostanza. Di ciò ha dato dimostrazione Cavaco. Il suo triste ruolo di notaio non toglie importanza alla gravità della situazione.

 

 

 

 

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