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L'austerità di Berlinguer

29/06/2014

Da “occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo e per una profonda trasformazione dell’assetto della società” ad aspetto essenziale della lotta del movimento dei lavoratori contro l’inflazione. Il senso del segretario del Pci per l'austerità in un libro, “Berlinguer. L'austerità giusta”, appena uscito per Jaca Book

Ritornare sull’austerità di Berlinguer è un’iniziativa giusta dell’editore Jaca Book e naturalmente del nostro Giulio Marcon. Sembra un po’ esagerato e al tempo stesso riduttivo, sempre che sia consentito usare aggettivi tanto contrastanti, iscrivere il segretario del Pci tra i precursori della decrescita, la collana diretta da Serge Latouche. In effetti Berlinguer ha scritto nel 1977 sull’austerità un testo di straordinaria intensità e poi è tornato sull’argomento poco tempo dopo con altri testi raccolti e commentati con acume da Marcon nel saggio iniziale del libro “Berlinguer / L’austerità giusta” .

Il primo intervento della serie “austerità” da parte del segretario del partito comunista italiano è del gennaio 1977, per la precisione del 15 gennaio. Egli parla in conclusione del convegno organizzato a Roma al teatro Eliseo per stabilire il ruolo degli intellettuali nel momento in cui l’alleanza di compromesso storico con la Dc e il Psi è ormai saltata. Il partito chiama a sé gli intellettuali. Essi sentono che è affidato loro un ruolo importante e rispondono al partito molto numerosi e convinti. Dal segretario si attendono benevolenza, conferme, aperture politiche. Non l’avranno. Berlinguer parla per così dire d’altro; vola molto più alto e svolge in un breve discorso un intero progetto politico, nuovo e diverso. Sono disposti gli intellettuali a fare la loro parte? Il partito andrà avanti lo stesso.

La verità è che il partito è andato altrove, avanti o indietro, e l’austerità di Berlinguer è stata trascurata e dimenticata in fretta, dalla destra e dalla sinistra, dentro e fuori il partito. In questo secolo vari studiosi sono tornati sulle parole pronunciate allora da Berlinguer, collegando il primo discorso sull’austerità con un secondo discorso e altri interventi in argomento, mostrandone la qualità e la modernità. C’è poco da aggiungere a questa nuova e più attenta lettura: per gli scrittori più anziani è stato come correggere un errore o una sottovalutazione precedente. Non si trattava di un abbellimento retorico, di una ricercatezza stilistica di fronte al nucleo centrale e politico nell’appello consueto al ceto medio, ma del tema portante: la proposta di una nuova alleanza tra Pci e popolo; i più giovani tra i critici hanno invece suggerito una lettura di Berlinguer proto ambientalista, un segretario verde e nemico di ogni spreco.

Si tratta di letture certo interessanti ma non del tutto soddisfacenti, tutto considerato. Il caso della austerità di Berlinguer è anche un altro. Cercheremo di suggerire una diversa riflessione.

L’intervento del 15 gennaio è unico. Unico nel senso che – senza esagerazione – non c’è niente di altrettanto bello e profetico nell’ultimo mezzo secolo della sinistra italiana; ma unico anche nel senso che non ne segue niente. Ne citeremo un passo soltanto per mostrare la novità. “…L’austerità a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione può essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della società, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate”. L’intero testo è di straordinaria intensa novità.

Lo stesso Berlinguer, 15 giorni dopo, nel suo secondo cosiddetto discorso sull’austerità, rivolto agli operai di Milano, (30 gennaio 1977, Teatro Lirico) parla d’altro e svolge un discorso del tutto nei limiti e nei binari del partito comunista di allora e delle consuete indicazioni politiche sui “i nostri compiti” per sindacati e operai delle grandi fabbriche. Nei quindici giorni intercorrenti tra i due discorsi deve essere avvenuto qualcosa: il gruppo dirigente del Pci deve avere manifestato al segretario il proprio dissenso dalla linea dell’austerità. Berlinguer ne prende atto, modificando nel successivo discorso il suo pensiero espresso. La compattezza del partito è troppo importante ai fini della completa vittoria politica per essere dispersa dietro un sogno di austerità. Un segnale importante della rapida modifica berlingueriana deriva dall’appunto di Tonino Tatò che nota nel suo scritto che accompagna il giorno-per-giorno del suo dirigente e amico un’osservazione di Berlinguer stesso: un discorso “troppo avanti” .

Il Berlinguer di Milano, di fronte agli operai, svolge il tema della solidarietà democratica e soprattutto del pericolo dell’inflazione che mina la coesione politica nazionale. La lotta contro l’inflazione che la democrazia cristiana non ha saputo fronteggiare è quella nella quale il movimento operaio deve impegnarsi a fondo per avere la meglio sui finanzieri che affamano il popolo, proprio quelli con cui una parte della Dc è in combutta. L’austerità è adesso un aspetto, importante, essenziale perfino della lotta del movimento operaio e dei lavoratori contro l’inflazione. “Né si può dimenticare – avverte Berlinguer – lo stato di mostruoso disordine e di dissesto della finanza pubblica e del settore pubblico: i meccanismi di dilatazione crescente, incontrollata e spesso improduttiva della spesa pubblica sono, come giustamente sottolinea da tempo anche il partito repubblicano, tra i fondamentali fattori di inflazione su cui è necessario e possibile intervenire”. Pagato per così dire il pedaggio alla politica e alle futuribili alleanze Berlinguer cerca una piccola difesa della “sua” austerità. Rivolgendosi più ai suoi compagni di partito che a chi lo prende in giro, fa una citazione, quella del primo ministro vietnamita, compagno Phan Van Dong: “Il socialismo non significa ascetismo. Sostenere una simile argomentazione sarebbe ridicolo, reazionario. L’uomo è fatto per essere felice: solo che non è necessario, per essere felici, avere un’automobile….”. L’austerità proposta da Berlinguer è però un’altra cosa, non è la felicità senza automobile….

Pochi giorni dopo, era il 17 febbraio 1977, Luciano Lama, segretario generale della Cgil, sicuro ormai dell’appoggio del partito, si presentava all’Università di Roma occupata per parlare agli studenti. L’austerità di Berlinguer, se mai c’era stata, era finita per sempre.

Giulio Marcon (a cura di) Berlinguer. L'austerità giusta, Jaca Book, 2014

 

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