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Argentina, un'analisi post elettorale

27/10/2015

Il risultato delle elezioni argentine è che nel Parlamento ora tutti sono una minoranza e la contesa per la presidenza argentina è rinviata al ballottaggio del 22 novembre. Ma la ragione più profonda del successo conservatore è da ricercarsi, verosimilmente, nei primi effetti della crisi in tutta l’America Latina ed in Argentina in special modo

Tutti i pronostici sono stati sovvertiti. La contesa per la presidenza argentina è rinviata al ballottaggio del 22 novembre. L’evento più temuto dal “Frente para la Victoria”, che ha governato il paese negli ultimi dodici anni con Nestor e Cristina Kirchner, si è materializzato. Ora l’arbitro dello scontro è un altro candidato di origini italiane così come Scioli e Macri. Si tratta di Sergio Massa, ex peronista ed ex capo di gabinetto di Cristina Kirchner. Un transfuga che dovrà decidere come far valere i suoi cinque milioni di voti, vale a dire il 21% dell’intero corpo elettorale. Scioli si è fermato al 36,8%. Meno, molto meno di quanto si prevedeva e, soprattutto, lontanissimo da quel 54% che la Presidenta ottenne nel 2011 e che consacrò la sua seconda elezione. Macri ha raggiunto il 34,3%. Più, molto più di quanto tutti i sondaggisti osavano attribuirgli. Ed ora potrebbe avvantaggiarsi del voto delle altre opposizioni che al primo turno erano frammentate e divise.

Nel Parlamento sono tutti una minoranza. Il “Frente para la Victoria” avrà 97 deputati e potrà contare su altri 17 suoi alleati. La lista di Macri, “Cambiemos”, ha conquistato 100 seggi. Massa, 27. Tutti dovranno venire a patti con gli eletti di quest’ultimo per poter varare un qualsiasi provvedimento legislativo. Un bel rompicapo e, soprattutto, un enorme potere contrattuale per il dissidente peronista. Elezioni che sembravano non scaldare il cuore degli argentini, destinate ad un esito scontato con la vittoria di un candidato, Scioli, più moderato e grigio dei suoi predecessori, all’improvviso si infiammano facendo lievitare la tensione nel Paese e tra i due schieramenti. Per tutta la campagna elettorale i due protagonisti hanno evitato lo scontro diretto, hanno tenuto toni relativamente bassi tra loro. Macri ha attaccato, però, a testa bassa la Kirchner, la sua politica sociale ed economica ed ha agitato temi che vanno per la maggiore anche nel vecchio continente, quello della sicurezza miscelandolo con la paura dell’immigrazione.

A guardare con la lente d’ingrandimento i risultati elettorali si può notare un’imponente mobilitazione della borghesia argentina, visibilissima nei quartieri benestanti della capitale dove Macri ha doppiato il suo antagonista e nella provincia di Buenos Aires (quasi il 40% di tutto il Paese) che inaspettatamente, dopo 28 anni di governo peronista, passa alla destra conservatrice. La giovane rampante Maria Eugenia Vidal sconfigge Anibal Fernandez candidato da sempre vicino ai Kirchner e più volte membro dei loro governi. Per non parlare di alcuni illuminanti dati pro Macri di sezioni di argentini all’estero. Non emigrati qualsiasi, ma quelli residenti a Miami (93%), a Washington (87%) o a Londra (72%). In queste ore di sconcerto nelle fila del “Frente para la Victoria” cominciano a maturare le prime riflessioni su questi risultati per provare ad imbastire una complicata e difficile controffensiva. È evidente che Scioli non ha il carisma dei Kirchner ed il suo passato è segnato da pesanti ambiguità essendo stato legato ad un ex pessimo Presidente come Menem. La sua candidatura è arrivata anche tardi. Come tardi è arrivato l’impegno di Cristina nello scontro elettorale tanto da far circolare voci che, in fondo, questa tornata altri non era per lei che un intermezzo per il ritorno in grande stile tra quattro anni. Calcoli del tutto infondati se fossero veri. Il populismo di Macri, se si rivelasse vincente il 22 novembre, ha tutte le caratteristiche dell’avvio di una stagione che potrebbe lasciare il segno per lungo tempo. Per certi versi ricorderebbe la stagione del berlusconismo in Italia. È stato presidente di una popolarissima ed importante squadra di calcio, il Boca Juniors, ha diverse attività imprenditoriali e, con una spregiudicata innovazione comunicativa, prova a cambiare la narrazione e la biografia della nazione. Persino il doloroso e recente passato della dittatura militare viene rapidamente archiviato e la sua memoria viene descritta come un ingombro fastidioso e passatista di cui rapidamente liberarsi.

Ma la ragione più profonda del successo conservatore è da ricercarsi, verosimilmente, nei primi effetti della crisi in tutta l’America Latina ed in Argentina in special modo. Non ci sono solo i dati economici, che pure pesano, ad aver incrinato una fiducia. Il vento freddo della crisi ha gelato le relazioni sociali ed umane. Ha reso fertile la semina della destra che ha investito sulla paura e sulla contrapposizione con i migranti. Ha esasperato forme d’individualismo competitivo. La sicurezza solo per sé e per la propria famiglia ha eretto a nemico ogni forma di solidarietà e di diversità. Tutta la trama di servizi sociali e sussidi per anziani e famiglie povere è stata descritta come uno spreco inutile. La rinazionalizzazione delle linee aeree, della compagnia petrolifera YPF, delle poste come un attentato alla libertà. D’impresa, naturalmente. Persino un provvedimento che può apparire futile, le dirette tv gratuite di tutte le partite di calcio, ha leso interessi corposi e miliardari quali i diritti televisivi e pubblicitari di cui si discute tanto anche in Europa. Macri sente il vento che gonfia le sue vele. La parte di società che rappresenta è galvanizzata. Il proseguo della sua campagna elettorale altro non è che la conferma dell’impostazione del primo turno. Scioli, invece, deve reinventarla. In queste ultime ore sembra aver messo da parte le sue prudenze. Ora parla più nettamente di una sfida aperta tra due paesi: quello che ha difeso i diritti umani e quello che ha coperto gli orrori della dittatura; quello che ha difeso l’indipendenza economica e quello che vuole la subordinazione all’economia nordamericana; quello che ha promosso le tutele sociali ed aspira a superare le diseguaglianze e quello che ripropone l’austerità neoliberista. Sembra entrare in scena finalmente un profilo più alternativo e più in sintonia con i risultati degli ultimi dodici anni. D’altronde questa strada è semplicemente obbligata. In fondo l’elettorato che si è raccolto attorno a Massa ha pur sempre una provenienza peronista ed i suoi deputati hanno manifestato, in maggioranza, una indisponibilità all’alleanza con le forze conservatrici. Lo stesso Macri ha rifiutato recentemente le primarie unitarie con Massa, il cui bacino elettorale si è consolidato su di una linea di gelosa autonomia tra i due contendenti. Ma tutte le opzioni sono in campo. In meno di un mese si decidono le sorti di un Paese strategicamente rilevante in tutta l’America Latina.

Se vincessero i conservatori gli equilibri dell’intero continente sarebbero alterati. In Brasile il partito della Rousseff e la credibilità del governo sono ai minimi termini per il dilagare della corruzione e le conseguenze sociali della crisi. Il Venezuela vive da tempo una situazione di estrema difficoltà con l’esplosione continua di tensioni sociali. La caduta del prezzo del petrolio, l’inflazione al 63% e, soprattutto, la perdita di una guida autorevole come quella di Chavez aprono scenari imprevedibili anche per l’aggressività di una opposizione che nel passato non si è fatta scrupoli di tentativi golpisti. L’esito negativo del voto argentino potrebbe dare la stura alla chiusura di un ciclo che ha visto il diffondersi di esperienze alternative e cooperanti fondate su di un forte protagonismo popolare. Muterebbe l’intero equilibrio geopolitico. D’altronde l’offensiva della speculazione finanziaria si è posto questo obiettivo da diverso tempo. In Argentina, in particolare, gli attacchi dei cosiddetti fondi avvoltoio che non hanno accettato la ristrutturazione della valutazione dei titoli di Stato si sono fatti negli ultimi tempi sempre più insistenti per tentare di asfissiare la ripresa produttiva del Paese. Ma tutta l’area oggi soffre per la caduta verticale dei prezzi delle materie prime, per le difficoltà dell’economia cinese e per la svalutazione della sua moneta (si pensi che l’Argentina ha come primo partner economico il Brasile e secondo la Cina) e per l’impennata inflattiva che caratterizza molti paesi dell’area. Le esperienze più innovative e socialmente più avanzate sono oggi minacciate da uno spirito di rivincita di formazioni di destra di stampo neoliberista. Ma la sensazione è che non ci sia un adeguato e qualificato ricambio delle classi dirigenti di queste esperienze progressiste. Più precisamente la difficoltà sembra proporsi nel fronteggiare le sfide inedite di una crisi che ha una valenza di carattere globale ed ha nella finanziarizzazione dell’economia il suo epicentro. Il conflitto aperto in Argentina parla di questo. In fondo la relazione e la cooperazione stretta tra questi paesi ha espresso un principio di alterità di politiche economiche che hanno fatto intravedere un’alterità di modelli sociali. Mentre in Europa andava in scena l’austerità neoliberista, qui si provava a sperimentare politiche sociali più avanzate spesso in aperto conflitto con lo stesso Fondo Monetario Internazionale. Non sono mancate ingenuità, contraddizioni ed errori. Speriamo che non vengano pagati a caro prezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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