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Perchè il Labour ha perso
Unione a pezzi/Il Labour non ha saputo proporre una visione davvero alternativa e ha assimilato in modo subalterno i termini dell’analisi neoliberista della crisi. Ma senza una forte voce proveniente dal basso, che contrasti l’egemonia delle élite, nessuna forza politica riuscirà a cambiare i termini del dibattito
Alla chiusura dei seggi elettorali del Regno Unito, un exit poll ha fatto crollare le diffuse aspettative di un Parlamento senza maggioranza e di un governo di coalizione guidato dal Labour Party di Ed Miliband. I Conservatori ottengono una maggioranza parlamentare di dodici seggi, anche se resta difficile stabilire se saranno sufficienti a garantire un governo di legislatura stabile. Il partito laburista è in uno stato di shock. Nonostante si parli del peggior risultato di sempre, in termini assoluti e per quanto riguarda l’Inghilterra, ha aumentato i voti di circa un milione rispetto al 2010.
Perché il Labour ha perso? In tutto il mondo i partiti che hanno governato durante il ciclo della crisi finanziaria del 2007-08 sono stati severamente puniti al successivo appuntamento elettorale. L’esperienza subita dal partito laburista nel 2010 si è ripetuta nonostante cinque anni di minoranza parlamentare. Nel corso di questo periodo tuttavia non sono state fornite convincenti contro-argomentazioni alle accuse dei Tories di aver distrutto l’economia nazionale. Non appena i risultati elettorali si sono manifestati, i dirigenti laburisti hanno dovuto riconoscere l’errore strategico del loro lungo silenzio.
Invece di difendere il proprio operato (che ha avuto alcuni meriti), i laburisti hanno assimilato in modo subalterno i termini dell’analisi neoliberista della crisi. Hanno finito per riconoscere che il deficit pubblico sia il più serio dei problemi economici (contrariamente a quanto sostenuto da economisti come Paul Krugman). E’ stata accettata l’idea (falsa) che la spesa in eccesso abbia contribuito alla crisi finanziaria, adottando i principi dell’austerità propugnati dalla coalizione di governo, anche se in misura meno drastica. In questo modo, il Labour ha fallito nello sfidare gli avversari nel dibattito pubblico, ben orchestrato dai conservatori e dai media che li sostengono. Era inevitabile che un programma basato su quelle che apparivano essere differenze risibili rispetto ai conservatori non avrebbe stimolato l’entusiasmo degli elettori.
I laburisti sembravano certi che una auto-sconfitta del governo di coalizione li avrebbe proiettati all’esecutivo senza la necessità di offrire una visione alternativa. Si pensava che il partito indipendentista del Regno Unito, l’UKIP, avrebbe preso i voti della destra e che il Labour sarebbe riuscito a recuperare gli ex elettori che nel 2010 gli avevano preferito i liberal democratici. Il partito laburista ha così deciso di selezionare alcune politiche specifiche, da testare su specifici focus group, prima di promuoverle nel mercato elettorale attraverso una campagna rigida e pianificata. Ma in un clima di passioni accese e di lenta ripresa dalla recessione, questo non poteva bastare. Nel caso della Scozia, l’opposizione dura del partito nazionalista scozzese (SNP) nei confronti delle politiche di austerità, unita alla disgraziata alleanza del Labour con i partiti di governo nel referendum sull’indipendenza, hanno azzerato la presenza del Labour, che in quella regione tradizionalmente “rossa” contava di ottenere almeno 40 seggi. Al contempo, l’UKIP nelle circoscrizioni incerte ha sottratto più voti ai laburisti di quanto non abbia fatto nei confronti dei conservatori, specialmente nelle aree più devastate da anni di deindustrializzazione, dove il Labour non ha saputo offrire prospettive di rigenerazione. Infine, i Lib-dem sono stati sonoramente puniti per la partecipazione alla coalizione di governo con una riduzione del numero di parlamentari eletti da 59 a 6.
In tempi di declino, le comunità possono manifestare preoccupazioni e ostilità nei confronti di coloro che identificano come esterni o stranieri. Questo spiega per esempio l’acceso nazionalismo inglese dello UKIP e la sua ostilità nei confronti degli immigrati e dei regolamenti dell’Unione europea che impediscono i controlli migratori in entrata. A questo si aggiunga anche la diffusa insofferenza nei confronti degli scozzesi, le cui ambizioni di indipendenza costituiscono una forma di rigetto nei confronti dell’unità nazionale. La campagna elettorale è stata dominata dalla paura, persino dall’odio, dell’Europa, degli scozzesi, di Ed Miliband medesimo (oggetto di un attacco mediatico feroce da parte dei conservatori e del loro stratega elettorale Lynton Crosby). Quello che avrebbe potuto decidere il risultato elettorale in ultima istanza era la paura di un possibile governo di minoranza guidato dal Labour, tenuto in ostaggio dai nazionalisti scozzesi. Il rifiuto di Miliband rispetto ad una possibile coalizione con lo SNP, nonostante le indicazioni positive dei sondaggi, è stato deleterio ed ha rafforzato l’ormai diffuso spirito di insoddisfazione nei confronti del ceto politico. “Perché sottostimate la nostra intelligenza?” ha tuonato un membro del pubblico nel corso di un dibattito televisivo, fra gli applausi dello studio.
È istruttivo analizzare questo scenario sconfortante nel più ampio contesto europeo. L’Europa è stato ovviamente oggetto della campagna elettorale. “Bruxelles” ha infatti rappresentato un ovvio bersaglio per la destra, in termini di sottrazione di sovranità, stimolando le preoccupazioni della classe lavoratrice riguardo alla competizione sui salari ed al sovra utilizzo dei servizi pubblici a causa delle pressioni migratorie. Per rispondere alle loro divisioni interne ed esterne (lo UKIP), il primo ministro Cameron ha promesso di indire un referendum sull’adesione all’Ue, possibilmente nel 2016. I dati sembrano suggerire un voto orientato verso la permanenza nell’Unione europea. Il dibattito potrà tuttavia assumere una piega reazionaria poiché l’egemonia dell’attacco a Bruxelles è in mano alle forze di destra, rendendo quasi impossibile ogni sfida “da sinistra” alla natura neoliberista e non democratica dell’Ue. Questa sfida è in ogni caso fondamentale, come dimostra il messaggio di Syriza.
Inoltre, il contesto europeo solleva altre questioni. In primo luogo: stiamo forse osservando l’inizio del collasso della tradizionale socialdemocrazia? Come in altri paesi, nel corso degli ultimi decenni la versione britannica della stessa si è progressivamente spostata verso destra, inserendosi nel quadro di idee tipico della cultura neoliberista. Come conseguenza, un profondo senso di abbandono pervade la classe lavoratrice. Con questa sconfitta, i commenti più forti, amplificati dai media, hanno sostenuto l’idea che il partito laburista sotto la guida di Miliband si sia spostato troppo a sinistra, auspicano un ritorno alla collocazione centrista. Se questo processo prenderà luogo, vi saranno due problemi da affrontare. Primo, poiché privo di un’identità distintiva, riuscirà il Labour a sopravvivere o subirà la fine del PASOK ellenico? Secondo, cosa riempirà il vuoto nella rappresentanza socio-politica che la sinistra lascerà dietro di sé, vista l’assenza di un equivalente di sinistra dello UKIP?
Contrariamente alle traiettorie politiche di Grecia e Spagna, in Inghilterra non vi è alcuna organizzazione esterna al Labour Party, esclusi i sindacati, che sia in grado di fornire un’alternativa radicata per la sinistra. Il contrasto con la Scozia è evidente in questo senso. Senza una forte voce proveniente dal basso, che contrasti l’egemonia delle élite, nessuna forza politica riuscirà a cambiare i termini del dibattito e a riproporre quell’antagonismo che può definire la vera frontiera dello scontro politico. Questo è forse, in ultima istanza, l’aspetto più desolante della Gran Bretagna di oggi.
(traduzione di Simone Gasperin).
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