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Grecia, un compromesso è possibile

22/06/2015

Raggiungere un compromesso con la Grecia è possibile, e sarebbe nell’interesse di tutti: in primis di un paese con alcune evidenti fragilità come l’Italia

Si deciderà nelle prossime ore l’esito del lunghissimo braccio di ferro che ha opposto il governo greco, uscito dalle elezioni del 25 gennaio, alle istituzioni creditrici (UE, BCE, FMI), fino ad allora note come “Troika”. Questa vicenda è un buon esempio dei limiti della pura razionalità economica, basata sul calcolo dell’interesse, e di quanto, in realtà, in politica pesino le ideologie, le pulsioni e le passioni, soprattutto di questi tempi.

Raggiungere un compromesso ragionevole con la Grecia con un po’ di flessibilità è possibile, e sarebbe nell’interesse di tutti: in primis di un paese con alcune evidenti fragilità come l’Italia. Le conseguenze del Grexit non sono prevedibili, e rappresenterebbero comunque un colpo molto pesante alla credibilità dell’Europa.

Benchè si porti addosso l’etichetta di “sinistra radicale”, il governo greco non chiede la luna. Tsipras e Varoufakis hanno una buona dose di pragmatismo (Tsipras è un ingegnere), non sono acciecati dall’ideologia. Le loro proposte sono di stampo riformista, keynesiane e non prive di realismo, data la situazione del paese quale si presenta oggi, giugno 2015. Spremere la Grecia con nuove misure restrittive (come tagli ulteriori alla spesa pubblica e aumenti dell’imposizione fiscale) appare irrealistico dopo che il paese si è impoverito del 40 per cento tra il 2010 e il 2014. Alcune richieste mostrano un lato ideologico: ad esempio, non si vede come abolire i contratti collettivi di lavoro possa avere effetti di breve termine sull’indebitamento; semmai nel lungo periodo, posto che sia la strada gusta per aumentare la competitività del paese (e non ne esistano altre, come l’innovazione e l’economia della conoscenza).

Semplicemente, la cura dell’austerità non ha funzionato, con buona pace dell’ossimoro di Alberto Alesina, la “austerità espansiva”. Nonostante un costo sociale spaventoso (un quinto della popolazione sotto la soglia della povertà, oltre un terzo “a rischio di povertà e esclusione”: dati Eurostat), neanche l’obiettivo di ridurre il debito è stato raggiunto: a causa della recessione, il rapporto debito pubblico /PIL è salito dal 142 % del 2010 fino a sfiorare oggi il 180 %. Il tutto in un paese in cui già prima dell’esplodere della crisi, e prima ancora dell’ingresso della Grecia nell’euro, si erano manifestati evidenti squilibri strutturali: una struttura produttiva fragile, una bilancia dei pagamenti correnti in deficit, un fisco zoppo, un grande capitale umano sottoutilizzato.

C’è una grande differenza tra il 2010 e il 2015: all’inizio del decennio, diverse banche europee, soprattutto tedesche, francesi e italiane, erano ampiamente esposte come creditrici. Oggi quei titoli sono restati nelle mani degli Stati e delle istituzioni sovranazionali.

Impressiona l’appello di Tsipras e Varoufakis alla ragione: le richieste dei creditori sono definite “irrazionali”, irragionevoli. E’ interesse dei creditori stessi non tirare la corda fino a farla spezzare. Si può lottare contro l’evasione fiscale e il contrabbando, e trovare un compromesso sull’avanzo primario; non aumentare, in questa situazione, l’IVA sui medicinali o tagliare ulteriormente pensioni già decimate. D’altronde, in sintonia con il premio Nobel Joseph Stiglitz, anche un economista liberale prestigioso come Paul De Grauwe, autorità assoluta nel campo dell’Economia dell’integrazione europea, ha sottolineato “l’irragionevolezza” e “il fallimento evidente” delle politiche di austerità fin qui perseguite.

Ma l’appello alla ragione non basta, di fronte alla forza delle pulsioni e dell’ideologia, e alla volontà punitiva nei confronti di un paese che ha osato disallinearsi dall’ortodossia europea, pur restando fermamente europeista.

Come ormai tutti sanno, in tedesco la parola schuld indica sia “debito” che “colpa” .. e il colpevole, nell’immaginario collettivo, va punito fino in fondo. L’elettore bavarese non è disposto al perdono. Lo psicanalista francese René Major ha recentemente illustrato quanto l’inconscio possa influenzare l’agire economico.** Di fronte alla volontà punitiva, anche a prezzo dell’autolesionismo, la logica keynesiana, i calcoli sul moltiplicatore delle politiche di austerità di bilancio, e in generale la razionalità economica, trovano i loro limiti. L’ideologia prevale.

C’è da chiedersi però se queste pulsioni non possano essere debitamente controllate. Se non sia proprio questo il momento in cui i governi, le opinioni pubbliche e gli elettori di un’Europa in crisi debbano ritrovare realismo, prudenza e ragionevolezza. Per salvare il futuro dell’Europa. Un accordo con la Grecia è ancora possibile.

 

 

**** “Au coeur le l’économie, l’inconscient”, Galilée, 2014

 

 

 

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