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Larghe intese. Un'alternativa c'è
Diritti sociali, reddito minimo, scuola pubblica, lotta all'evasione. Mentre a Roma Enrico Letta sceglieva i suoi ministri, a Londra il Governo in esilio indicava le sue priorità. Per dimostrare che un'alternativa di governo esiste e le sue politiche sarebbero molto più realistiche di quelle delle larghe intese
L’idea di creare un Governo italiano in esilio è nata la mattina in cui si è cominciato a parlare del governo Letta. Ci siamo visti la sera stessa e ci siamo detti che non doveva per forza andare così e che serviva che qualcuno o qualcosa ricordasse ogni giorno che c’era un’alternativa, che si possono fare politiche diverse e parlare con soggetti diversi rispetto a quelli del governo delle larghe intese. Dovevamo provare ad essere noi, un po’ per gioco ma anche molto sul serio, il governo che avremmo voluto avere e che ci sarebbe potuto essere se i dirigenti del PD non avessero fatto le scelte che hanno fatto. Perché di scelte si è trattato e non di “necessità” come si è voluto far credere.
Mentre Enrico Letta sceglieva con cura i suoi ministri, nasceva la pagina su facebook del Governo in esilio (www.facebook.com/Governoitalianoinesilio) che oggi “parla” a circa 20 mila persone ogni settimana. In contemporanea con il discorso alle camere di Enrico Letta, anche il Governo in esilio ha fatto il suo discorso proponendo un programma che si concentrava sulla lotta alle disuguaglianze e alla corruzione come strumenti per uscire dalla crisi. Universalizzazione dei diritti sociali anche ai precari e ai lavoratori indipendenti, reddito minimo garantito, lotta all’evasione fiscale delle grandi multinazionali, tassazione dei grandi patrimoni, estensione del tempo pieno a scuola erano solo alcune delle proposte fatte in quel discorso.
Si diceva chiaramente che l’Italia doveva essere il prossimo paese europeo ad approvare i matrimoni omosessuali perché “è proprio in momenti di crisi, che bisogna sostenere chi vuole condividere la vita”. Da allora l’uguaglianza nel matrimonio è stata approvata in Francia. Anche il Regno Unito, dove ha sede in una serra del parco di Chiswick il Governo in esilio, è molto vicino all’approvazione definitiva nonostante i forti dissensi nella maggioranza liberal-conservatrice. La coalizione italiana, che pure include il maggiore partito del gruppo dei socialisti e dei democratici europei (il Pd), non discute neanche di questi temi.
Dagli ultimi giorni di aprile la pagina del governo in esilio viene aggiornata con proposte e dichiarazioni diverse un paio di volte al giorno. Alcune sono affermazioni sarcastiche (come quando abbiamo chiesto a Renzi, visto che si ispira a Blair, di dirci preventivamente quale paese del Medio Oriente intende invadere) ma la maggior parte riguarda proposte concrete. Molte di queste sono elaborate dalla Fonderia di Oxford, un think tank informale nato alcuni anni fa tra gli italiani di Inghilterra e che ora si è allargato anche a Londra e domani chissà.
Nella maggior parte dei casi facciamo nostre e diffondiamo proposte che ci sono già, come quella di Mario Pianta per spendere i soldi dell’eliminazione dell’Imu (4 miliardi) per detassare i redditi da lavoro sotto i mille euro al mese. Altre volte partiamo da proposte che già esistono per intervenire direttamente sull’attualità: in occasione del referendum sulla scuola privata di Bologna il Governo in esilio ha “deciso” di risparmiare tutti i 500 milioni di euro che si spendono ogni anno a livello nazionale per le scuole “paritarie” (il calcolo è della campagna Sbilanciamoci e non include ovviamente buoni scuola regionali e fondi comunali) e di investirli per dare a tutti i bambini che ne hanno bisogno un insegnante di sostegno, per tenere aperte le scuole il pomeriggio e per rifare le scuole del sud che cadono a pezzi.
Il Governo in esilio fa anche politica estera, come quando ha risposto al Presidente Hollande che va bene andare verso l’Unione politica ma bisogna farlo in fretta, “dando poteri veri in tema di economia al parlamento europeo che sarà eletto nel 2014 e stabilendo che l'obiettivo della Banca centrale europea è combattere la disoccupazione”.
Mentre il governo Letta si riuniva per discutere di Imu quello in esilio decideva “l’utilizzo dei 106,7 milioni di euro destinati all'acquisto di un solo aereo F35 per il diritto allo studio universitario (borse, alloggi, mense etc.)” nonché di puntare, invece che alla sospensione delle tasse sulla casa a quella delle “tasse universitarie per tutti gli studenti con un reddito Isee inferiore ai 50mila euro”.
Gli obiettivi sono molti: provare a dare l’idea, nel nostro piccolo, che esiste un’alternativa di governo e che le sue politiche sarebbero molto più realistiche di quelle delle “larghe intese”; diffondere proposte già esistenti e farle condividere al maggior numero di persone possibile (ecco perché la scelta di partire da un social network); rispondere colpo su colpo ad una brutta discussione politica dove sembra che il 2011 non ci sia mai stato. Nessun referendum sull’acqua, nessuna elezione di Pisapia e Zedda, nessun movimento “Se non ora quando?”, niente dimissioni di Berlusconi.
L’archiviazione di questi avvenimenti ha dei responsabili precisi, anche nel centrosinistra. Per questo il Governo in esilio non si limita a fare proposte ma vuole anche fare concretamente pressione su parlamento e partiti. Ha iniziato coniando l’adesivo “Governo Letta? Non con il mio voto” per dare l’idea di quanti elettori del centrosinistra non condividono questa scelta. Continuerà con petizioni sulla politica pulita (conflitto di interessi, finanziamenti elettorali, democrazia nei partiti, legge elettorale) e per l’universalizzazione dei diritti sociali. Infine, il Governo in esilio non disdegnerà di invitare gli elettori del centrosinistra a farsi sentire con mail, telefonate, manifestazioni come nei giorni dell’elezione per il Quirinale.
Ci si chiederà, giustamente, perché questo Governo in esilio non abbia ministeri. Abbiamo scelto di agire come collettivo, anche per marcare la differenza rispetto all’attuale politica personalistica. Non siamo un “governo ombra” per il semplice fatto che questa espressione riguarda di solito chi fa opposizione in parlamento – e nel caso del governo ombra di Veltroni, servì a dimostrare quanta poca opposizione si volesse fare contro quelli con cui si sta, guarda caso, governando ora. Siamo meno di dieci persone, circondati da molti “consulenti gratuiti” che ci prestano la loro intelligenza, in gran parte a Londra (quale posto migliore per un governo in esilio?) ma sparsi anche su Bruxelles, Torino ed il Kenya. Il nostro è quindi un “esilio” in gran parte “dorato”, come quello riservato a certi dittatori africani. Speriamo di averne combinate e di combinarne qualcuna in meno di loro. Soprattutto, speriamo che il prossimo governo assomigli a quello che abbiamo creato in Rete piuttosto che a quello a cui ha dato vita chi non voleva chiudere con questo ultimo brutto ventennio berlusconiano. Chi ci sta?
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