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gabbie salariali

Se il lavoro è senza contratti

23/08/2015

Bisogna riconoscere che nel zigazagare di Renzi fra un annuncio e l’altro c’è una stella polare che indica una rotta costante: ridurre per l’impresa il costo del lavoro, costringere per legge i salariati ad accettarlo. Non è bastato il Jobs Act? Adesso senza il nome inglese c’è il tentativo di far fuori la contrattazione nazionale riducendo l’orizzonte del negoziato all’impresa. Insomma di far fuori finalmente il contratto nazionale.

Dei ritorni al passato è l’esempio più clamoroso: un lavoratore di Brescia e uno che faccia lo stesso lavoro a Catania saranno pagati diversamente, e già la stampa aggiunge che è giusto perché mille euro al nord valgono meno che al sud, o almeno così si dice. Siamo al ritorno delle vecchie gabbie salariali che un governo diretto dal Pd ripropone. È la risposta a Saviano e ai dati pubblicati dalla Svimez: al sud i padroni potranno pagare di meno. Perché non riconoscere per legge il caporalato? Anzi la schiavitù? Non ci sarebbe nulla di più flessibile. Anzi le stesse gabbie salariali possono non essere troppo rigide, meglio che la contrattazione del lavoro e relativi rapporti di forza diventino variabili in campagna e in città, dove il sindacato è forte e dove è debole. E le donne, alcune leader delle quali lo propongono in nome della differenza femminile, si mettono alla testa di questo ulteriore passo in avanti nella modernizzazione dei rapporti sociali.

Il Jobs Act ha dimostrato che la sinistra non sa più neanche leggere, e del resto era scritto in modo ingarbugliato; questa misura sarà invece più semplice e del resto nella mente dei proletari è diventato corrente il pensiero che gli operai non esistano più; e nemmeno l’insistenza a pagarli di meno del governo Renzi dimostra che non siano puri fantasmi di una passata ideologia.

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