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Il governo e la missione del fisco

04/05/2014

Il bonus di 80 euro non favorisce un'equa distribuzione del reddito ma finisce per distribuire il carico fiscale all’interno di una sola categoria

Per analizzare il Decreto legge recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale: per una Italia Coraggiosa e Semplice (c.d. DL Spending Review)” è necessario partire da un inquadramento storico-economico dell’imposta interessata dal provvedimento: l’irpef.

Riprendendo un prezioso contributo di V. Visco (Paolo Bosi e M. Cecilia Guerra, 2012, I tributi nell’economia italiana, ed. Il Mulino) è possibile delineare l’inadeguatezza del provvedimento se consideriamo che: “erosione ed evasione … rendono l’irpef una imposta assolutamente non assimilabile al modello teorico di riferimento … non siamo in realtà di fronte ad una imposta sul reddito, ma ad una imposta solo su alcuni redditi. La situazione sarebbe molto discutibile già per una imposta proporzionale, ma trattandosi di una imposta progressiva, essa appare chiaramente insostenibile e inaccettabile”.

Molti redditi sono colpiti diversamente: i redditi dell’agricoltura sono solo in parte colpiti; l’industria è più gravata dei servizi; il lavoro dipendente più del lavoro autonomo; la grande impresa più della piccola; i redditi da attività finanziarie, cresciuti esponenzialmente con la crescita dei debiti (pubblici e privati), sfuggono alla progressività. L’adeguamento dell’imposta sulle rendite finanziarie dal 20 al 26% non muta la differenza di trattamento. Si poteva inserire questi redditi nella dichiarazione irpef, affidandogli il ruolo storico che i padri costitutivi (Cosciani) gli avevano assegnato. Infatti, Cosciani prevedeva non solo una semplificazione del sistema impositivo, ma indicava nell’irpef, irpeg e Iva la pietre angolari del nuovo sistema. A queste imposte si doveva aggiungere una forma di imposizione patrimoniale destinata ai comuni per realizzare la discriminazione qualitativa e una imposta monofase, anche questa comunale, a completamento dell’Iva che doveva arrestarsi alla fase precedente al dettaglio. Inoltre, i così detti redditi finanziari dovevano concorrere all’imponibile dell’imposta personale. L’impostazione del sistema tributario italiano (Cosciani e Visentini) dà conto dei limiti della proposta di Renzi. Alla fine il bonus di 80 euro non è una misura che interessa la corretta distribuzione del carico tributario in senso stretto, piuttosto di una misura che distribuisce il carico fiscale all’interno di una sola categoria di reddito. Forse c’è del buono nella riduzione del carico tributario verso il lavoro dipendente, ma fino a quando una parte consistente dei redditi non entrano nella base imponibile irpef, parlare di giustizia fiscale è forse troppo.

La misura indicata da Renzi è così importante da garantire il posto d’onore, l’articolo 1, con un titolo a dir poco pomposo: “Rilancio dell’economia attraverso la riduzione del cuneo fiscale”. Il titolo tradisce lo stile dell’attuale governo. Se osserviamo il Def (Documento Economico e Finanziario), tutto questo slancio per il sistema economico è difficile da trovare. Per il 2014 la misura permetterebbe una crescita dello 0,1% del Pil, che diventa 0,3% nel 2015. Per quanto possa sembrare assurdo, la spesa tagliata dal governo per sostenere la riduzione del carico tributario sarebbe molto più efficace in termini di crescita economica. In qualche modo il Governo prende atto del minore moltiplicatore potenziale dei consumi rispetto alla spesa pubblica. Un principio noto a tutti gli studenti di economia. Si passa da una spesa certa, quella pubblica, ad una incerta, il consumo. Come sanno gli studenti, il reddito disponibile non viene interamente speso; una parte sarà sempre risparmiata, riducendo la crescita del Pil. Se giudichiamo la misura dal lato della giustizia fiscale, al netto delle osservazioni fatte all’inizio, il governo ha il coraggio di scegliere una categoria: la classe media, ancorché in modo transitorio. Sono i lavoratori dipendenti e gli assimilati (come i co.co.pro), ma tra questi sono esclusi i contribuenti con l’imposta lorda Irpef minore o uguale alla sola detrazione da lavoro, quelli che hanno redditi inferiori a 8.145 euro se percepiti per l’intero anno, circa 3 milioni di soggetti, e restano fuori anche i pensionati (A. Zanardi, S. Pellegrino).

Dalle tavole di accompagnamento al decreto legge si registrano minori entrate irpef solo per il 2014, pari a 6.650 mln di euro, mentre per il 2015 non troviamo nessuna cifra. Ciò da conto della transitorietà della misura, diversamente dall’Irap che registra minori entrate per il 2014, 2015 e 2016, rispettivamente di 700, 3.100 e 2.059 mln. In altre parole c’è certezza per le imprese e insicurezza per il lavoro. Lo stesso provvedimento dichiara che si tratta di una soluzione temporanea, lasciando la riforma (vera) alla Legge di Stabilità per il 2015. Il vincolo delle coperture, gli effetti economici, il problema degli incapienti, comporta problemi di iniquità fiscale e di indebolimento degli effetti macroeconomici di rilancio della domanda interna, nella misura in cui sono i lavoratori più poveri quelli ad avere la maggiore propensione al consumo. Non si tratta dell’improprio uso del “credito d’imposta” (A. Zanardi, S. Pellegrino), perché sarà un importo detratto dalle ritenute future operate dai sostituti d’imposta o, se insufficienti, dai contributi previdenziali dovuti, non modificando l’imposta personale perché il suo ammontare è legato al reddito complessivo a fini Irpef, piuttosto del caos fiscale che si alimenta. Ripeto: l’irpef è diventata, sostanzialmente, una imposta su un solo reddito.

Il credito d’imposta, applicato indistintamente, a parità di reddito, a tutti i contribuenti interessati sarà riconosciuto sia a un dipendente single sia, se con eguale reddito, a un lavoratore con moglie e figli a carico. Si tratta insomma di una serie di distorsioni che rendono difficile immaginare il “bonus” in questa forma. Al netto dell’assenza di coperture per il 2015, il provvedimento dovrà essere rivisto, anche in profondità.

Riprendendo un prezioso lavoro di M. Baldini, E. Giarda e A. Olivieri, dividendo il reddito monetario equivalente per decili, il 10 per cento (il primo decile più povero) intercetterà il 29% delle famiglie, che sale 36% per il secondo decile. In altri termini, al 50% meno ricco delle famiglie italiane andrà il 44% del bonus totale. Il bonus, insomma, avvantaggia soprattutto la classe media (M. Baldini, E. Giarda e A. Olivieri).

Se dal punto di vista della giustizia fiscale è possibile sostenere che la misura è un passo in avanti, sempre al netto della funzione vera dell’irpef e della provvisorietà del provvedimento, la politica economica sottesa è quella di una combinazione tra maggiori entrate e minori spese, almeno per il 2014. Infatti, dei 7.355 mln di minori entrate, le coperture sono date da maggiori entrate per 3.111 mln, di cui 3.051 mln una tantum, il resto da tagli strutturali pari a 2.732 mln, che cadranno in particolare sugli enti locali e le regioni, che diventano 3.132 mln se consideriamo il taglio una tantum di 400 mln per la difesa.

Il provvedimento dovrà essere ancora analizzato in tutte le sue poste. Siamo sicuri che sarà riscritto con la Legge di stabilità in ragione delle manifeste incongruenze legate alla struttura dell’irpef e alla difficoltà di trovare le adeguate coperture. Se il governo intenderà agire dal lato di un mix tra maggiori entrate e governo della formazione della spesa pubblica, tenendo conto dei diversi moltiplicatori, potremmo dare un giudizio di “appena insufficiente”, se invece la misura è di tipo elettoralistica, ci sono tutti i segnali, la misura assomiglierà alle misure adottate da Berlusconi agli inizi del 2002-3. L’esito lo conosciamo molto bene.

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