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Bric/Il Brasile in panne cerca una via d'uscita
Ultime notizie dai Nuovi Grandi/3. Come se la cavano le potenze Bric ai tempi della grande crisi? Il loro rallentamento è solo un incidente di percorso o è dovuto a cambiamenti strutturali?
Da qualche tempo il ritmo di crescita economica dei paesi del Bric non appare più quello di una volta e si registra un rallentamento più o meno marcato delle loro economie.
Dei quattro paesi che tradizionalmente vengono inseriti nel raggruppamento citato è indubbiamente ilBrasile quello che registra il calo del pil maggiore.
Per la verità, i ritmi di crescita dell’economia del paese non sono mai stati paragonabili a quelli di Cina e India, normalmente ben più elevati, aggirandosi nel nostro caso, in particolare nel periodo compreso tra il 2003 e il 2010, in media “soltanto” intorno al 4%, contro il 10% per la Cina negli ultimi trenta anni e il 7-8% per l’India a partire almeno dal 1991.
Ma consideriamo, tra l’altro, che il Brasile partiva da una situazione di sviluppo e di reddito pro-capite più elevato di quello degli altri due paesi e che, in ogni caso, i suoi ritmi di crescita hanno permesso di inserire, negli ultimi dieci anni, quasi 40 milioni di persone nella classe media, sollevandole dalla precedente situazione di grande disagio. Oggi l’economia del paese, che è diventata la settima del mondo come dimensione del pil, sfiora il pieno impiego, si registra poi l’accesso di una parte rilevante della popolazione ai consumi moderni, mentre si è verificata una riduzione sia pure moderata nelle diseguaglianze in quello che era uno dei paesi con i maggiori scarti di ricchezza del mondo.
Ma, come accennavamo all’inizio, negli ultimi due anni l’economia ha subito un vistoso rallentamento: si è così registrato un aumento del pil soltanto del 2,7% nel 2011 e di appena l’1,0% nel 2012, non molto meglio della nostra eurozona, mentre la previsione per il 2013 può essere fissata intorno al 3,0%, ciò che marcherebbe una certa ripresa.
Per completare il quadro dei Bric, si può ricordare che la Russia si trova oggi in una posizione intermedia tra la Cina e l’India da una parte, il Brasile dall’altra. Sino allo scoppio della crisi la sua economia cresceva intorno al 7% annuo, a ritmi quindi vicini a quelli dei due giganti asiatici, ma dal 2009 in poi i suoi tassi di sviluppo sono nettamente diminuiti, avvicinandosi a quelli brasiliani.
I molti perché del rallentamento
Se ci si chiede quali possano essere le ragioni di tale rallentamento, i vari esperti chiamati al capezzale del malato sembrano fornire diagnosi anche molto differenti. In ogni caso, mentre nel caso di Cina e India si può fare riferimento prevalentemente a ragioni di tipo interno, in quello del Brasile, come in quello della Russia, bisogna considerare cause sia interne che esterne e anche una certa interazione tra le due categorie.
Molto sommariamente, si possono ricordare sia delle ragioni congiunturali che strutturali.
Per quanto riguarda il primo capitolo, la frenata è da alcuni attribuita soprattutto all’introduzione di controlli sui movimenti di capitale, ciò che ha rallentato l’ingresso di una parte delle risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo del paese.
Molti sottolineano il negativo impatto della rivalutazione della moneta, che ha rallentato le esportazioni.
In diversi sono anche d’accordo nel far riferimento alla riduzione della domanda di materie prime, in particolare da parte della Cina, nonché alla diminuzione dei prezzi almeno di alcune tra di esse.
Viene anche messa in rilievo una certa stanchezza dei consumi interni, altro motore fondamentale, insieme alle esportazioni di materie prime, del recente sviluppo brasiliano. Ricordiamo che essi reggono comunque ancora la scena, aiutati da un rilevante aumento del livello del credito. Si pensi, incidentalmente che, nell’ultimo periodo, per un’azienda come la Luxottica il mercato brasiliano è diventato quello a più elevati tassi di crescita del mondo, mantenendo una elevata redditività. Oggi la famiglia media spende circa il 20% del suo reddito per far fronte ai pagamenti connessi alle carte di credito e ai prestiti accesi. I consumi rappresentano almeno il 60% del pil.
Per quanto riguarda in specifico il settore industriale viene lamentato un forte aumento dei costi, in particolare di quelli della manodopera, dell’energia e del credito, nonché la concorrenza delle importazioni, in particolare asiatiche.
Bisogna ricordare che i controlli sui movimenti di capitale sono stati introdotti nel 2009 e rafforzati nel 2011, per il fatto che l’arrivo in Brasile di grandi masse di denaro, indotto dagli alti tassi di interesse e dalle opportunità di investimento, aumentava i livelli di inflazione, storica piaga del Brasile, mentre portava anche alla rivalutazione della moneta.
La conseguente riduzione negli ingressi di capitale nel paese ha contribuito a ridurre il livello degli investimenti, che nel 2012 è stato uguale al 18% del pil, contro un 21,5% del Messico e un 24% del Cile.
Intanto l’inflazione fa comunque di nuovo capolino; essa si è collocata intorno al 6,6% nel 2012, contro l’obiettivo della Banca Centrale del 4,5%; si sono poi registrate punte particolari, in certi momenti, per alcuni prodotti.
Per quanto riguarda l’aumento dei costi, nonostante il forte rallentamento dell’economia, la crescita dei salari e degli stipendi è indotta dalla carenza di personale qualificato, nonché più in generale dalla rilevante domanda di manodopera – nel paese la disoccupazione è ai minimi storici e si aggira intorno al 5,4% della forza lavoro –, in relazione all’attuale forte crescita del settore dei servizi, che oggi occupa il 75% dei brasiliani. Sorprendente appare l’alto costo dell’energia, in un paese che deriva gran parte dei suoi bisogni di elettricità – oltre l’80% – dalle fonti idroelettriche. Ma evidentemente i prezzi sono mantenuti elevati da intese oligopolistiche.
Al di là delle cause congiunturali del rallentamento dell’economia, bisogna ricordarne delle altre di tipo strutturale, che di solito emergono poi in maniera più sensibile nei momenti di difficoltà. Tra i problemi di fondo del paese si possono così ricordare quelli relativi alle infrastrutture e all’educazione.
Secondo una classifica internazionale, il Brasile si colloca al 107° posto su 144 paesi per la qualità delle sue infrastrutture; in effetti i suoi porti e aeroporti, che sono vitali per l’esportazione delle materie prime, pongono il Brasile tra i 10 peggiori paesi della terra. Solo il 5% delle strade brasiliane è asfaltato, contro il 50% circa in Cina e India e l’80% in Russia (Romei, 2013).
Per quanto riguarda la manodopera, è carente il numero di persone con un adeguato livello di istruzione e le imprese, come già ricordato, hanno difficoltà a trovare personale qualificato.
Anche in questo caso, il paese è inserito al 53° posto su 65 paesi censiti in una classifica dell’Ocse per quanto riguarda la qualità dell’educazione (Romei, 2013).
L’azione del governo e una prospettiva diversa
Bisogna intanto ricordare che negli ultimi anni si è assistito in generale a un certo incremento nel livello di intervento dello stato nell’economia, ciò che ovviamente è stato visto in maniera differenziata dai vari soggetti interessati.
Di fronte al vistoso calo del pil, il governo ha cercato di reagire in varie direzioni. Così esso ha diminuito i tassi di interesse, incoraggiando in particolare i prestiti al consumo da parte delle banche pubbliche, prestiti che erano già abbastanza facili, in presenza peraltro di consumatori già sovra indebitati, e portando a una previsione di crescita del credito del 16-20% per il 2013; è stata inoltre ridotta l’imposizione fiscale sull’acquisto di nuove auto ed elettrodomestici; sono stati abbassati i prezzi dell’energia, ma tale misura ha avuto meno effetto del previsto per il manifestarsi di mancanze di corrente; sono stati ridotti i contributi sociali sui salari; si è cercato di spingere gli investimenti attraverso incentivi fiscali e avviando grandi schemi infrastrutturali con la partecipazione di capitali privati. Alcuni ricordano che bisognerebbe anche semplificare un regime fiscale che appare kafkiano, nonché migliorare le prestazioni di una burocrazia inefficiente. Da segnalare anche, infine, come negli ultimi anni ci sia stato un forte intervento per ridimensionare il livello della corruzione.
Gli sforzi del governo hanno sin qui prodotto qualche risultato, ma non sono stati del tutto sufficienti a ritornare pienamente ai ritmi di sviluppo precedenti.
Intanto a sinistra si manifesta una critica abbastanza radicale ad almeno alcune delle politiche pubbliche. Così Marina Silva, la leader verde che aveva già sfidato la Roussel alle precedenti elezioni, ottenendo a suo tempo più di venti milioni di voti, insiste nella sua critica all’attuale modello brasiliano, predicando uno sviluppo sostenibile contro un governo che, a suo dire, sta utilizzando il pretesto della crisi economica mondiale per andare avanti incoraggiando la deforestazione, degli investimenti monocolturali, nonché dei progetti infrastrutturali che devastano il territorio (Watts, 2013).
Conclusioni
Il presidente Dilma Rousseff è in questo momento molto popolare in patria: la disoccupazione è ai minimi nel paese e gli stipendi crescono. Ma dietro questo quadro positivo si affacciano i problemi di un’economia in difficoltà.
Sembra evidente che la spinta provocata da alcuni fattori esterni che hanno molto aiutato lo sviluppo del paese negli ultimi dieci anni, dagli elevati prezzi all’esportazione delle materie prime e dalla loro forte domanda da una parte, all’afflusso di capitali facilitato da politiche monetarie molto permissive dall’altra, è arrivata al termine, o almeno si è molto ridimensionata (Leahy, 2013). Anche la crescita dei consumi, il terzo pilastro dello sviluppo recente, sembra ormai in qualche modo mancare di ulteriore forza propulsiva. A questo punto, non resta sostanzialmente che cercare di spingere sugli investimenti interni, resi peraltro necessari da delle grandi carenze strutturali esistenti nel paese, carenze che rendono, tra l’altro, molto difficile la possibilità di ulteriore espansione.
Su tale quadro aleggiano poi due questioni. Da una parte, c’è il problema dell’inflazione in agguato, che sta spingendo di nuovo ad un aumento dei tassi di interesse; dall’altra, stanno le esigenze di assicurare una adeguata sostenibilità di lungo periodo allo sviluppo futuro del paese, come ci ricorda Marina Silva.
Altri articoli:
Bric/L’India, nei guai, alla ricerca di una via d’uscita
Bric/La Cina alla sfida delle disuguaglianze
Testi citati nell’articolo
Leahy J., Brazil: humbled heavyweight, www.ft.com, 25 marzo 2013
Romei V., Chart of the week: Brazil’s bottlenecks, www.ft.com, 1 aprile 2013
Watts J., Greenflagbearer starts again, The guardian weekly, 26 aprile-2 maggio 2013
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