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Un green deal per l'Italia

20/09/2013

Archiviare la Strategia Energetica Nazionale (Sen) e definire un piano energetico che blocchi lo sviluppo del carbone. Definire un Piano nazionale per la mobilità. Alcune proposte per garantire un futuro sostenibile al nostro paese.

L’Europa non è diseguale solo dal punto di vista economico e sociale, ma nel corso del tempo ha dovuto anche cercare di attutire la dialettica interna dell’Unione tra Paesi del Nord e Centro Europa e Paesi del Sud e, in campo ambientale, tra Paesi occidentali e orientali mano, mano che progrediva l’allargamento dell’Unione.

Bisogna capire da questo punto di vista come si sia proceduto nel tempo a veri processi di integrazione politica e non. In alcuni casi, di semplice cooptazione o di compatibilizzazione al ribasso nelle politiche e nelle misure condivise, passando dall’Europa a 15 all’Europa a 27, ed oggi a 28.

Mi riferisco ad esempio a tutta la vicenda delle TEN-T, reti di trasporto trans europee, che nel periodo 2007-2013 ha previsto un investimento su 30 progetti prioritari per la realizzazione di corridoi ferroviari e autostrade del mare. Se la scelta modale di sviluppo di infrastrutture per una mobilità meno inquinante, alternativa alla gomma, era del tutto condivisibile, meno condivisibile è stata la modalità di scelta di quali assi/corridoi dovessero essere individuati e sviluppati, affidata alla “autocertificazione”, economico-finanziaria e ambientale, dei singoli Stati a fronte di un impegno assunto di 600 miliardi di euro, molto oneroso per le istituzioni CE (BEI in prima fila) e per le nazioni coinvolte.

Ed ora che si apre il nuovo periodo di programmazione 2014-2020 bisognerà vedere concretamente se saranno finalmente assunti e resi operativi gli impegni per dare giusto rilievo e misure adeguate per il “greening”, interventi ambientali, nell’ambito della Politica Agricola Comunitaria – PAC, che non sono stati attuati nel periodo precedente o se si supererà l’impasse nel settore della pesca tra Paesi del Centro e Nord Europa e del Mediterraneo. E, ancora, se ci saranno fondi dedicati alla tutela della biodiversità all’interno della politiche di coesione per dare concreta attuazione alla Strategia europea per la conservazione della biodiversità e alle Strategie nazionali.

Un esempio positivo, invece, sono state al loro esordio le linee di indirizzo europee contenute nel Pacchetto Clima ed Energia del 2008, che ha stabilito gli obiettivi: della riduzione al 2020 del 20% delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 1990, della diminuzione alla stessa data del 20% dei consumi energetici tendenziali e del conseguimento di una quota del 20% di energie rinnovabili al 2020. Definire questi obiettivi ha garantito certamente un buon inizio nel 2008, ma poi questi non sono stati adeguati alla nuova realtà (abbiamo già raggiunto in Europa il - 20% per le emissioni) e ciò ha minato anche il sistema ETS (meccanismo di scambio delle quote di emissione). Per non parlare della sensibilità della CE e dei Consigli dei ministri competenti alle istanze delle lobby industriali (con in prima fila le “nostre” ENI ed ENEL) per contenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

È indubbio che le politiche ambientali per la loro complessità e gestione di lungo periodo abbiano bisogno di strategie istituzionali internazionali, comunitarie, nazionali e locali di lungo e largo respiro. Ciò è ancora più valido in una situazione di profonda crisi economico, sociale e ambientale, iniziata nel 2008 e che perdurerà nel tempo.

Nel suo rapporto per il Club di Roma “2052: scenari globali per i prossimi 40 anni”, Jorgen Randers, coautore insieme ai Meadows nel 1972 dell’indimenticato “I Limiti dello Sviluppo”, economista norvegese ed esperto internazionale di cambiamenti climatici, attribuisce alla macroregione dei “Paesi OCSE, senza Stati Uniti” (le altre 4 macroregioni, sono appunto Stati Uniti, Cina, BRISE – paesi emergenti; ROW – resto del mondo) a partire dal 2012 altri 40 anni di graduale stagnazione. Ed in questo contesto osserva che le emissioni di CO2 diminuiranno significativamente, mentre i cambiamenti climatici, che all’inizio saranno di aiuto alla produzione agricola, provocheranno nel tempo danni a livello locale e infine porteranno alla riduzione delle rese agricole. Alcune risorse cominceranno a scarseggiare facendo aumentare le importazioni, ma con trend che non si protrarranno tanto a lungo da disturbare seriamente il pacifico status quo della macroregione.

Randers nelle sue previsioni globali dice che i governi dei Paesi di tutto il mondo dovranno perseguire nei prossimi 40 anni come obiettivo generale più che lo sviluppo sostenibile il benessere sostenibile ed avere nel futuro - per gestire il complesso delle problematiche e delle misure economico-finanziarie, sociali e ambientali - visioni lungimiranti, abbandonando quelle a breve termine (non più di 5 anni). Nei prossimi 40 anni secondo “2052” si avrà un ruolo maggiore dello Stato in un quadro economico a capitalismo modificato, inteso come “sistema dove il benessere collettivo viene prima del ritorno del singolo”.

Si tratta di previsioni, sorrette da circostanziate analisi della situazione attuale e da indicazioni per il futuro che se trasposte nel nostro Paese, afflitto per mesi dal dibattito sull’intervento sulla parziale o totale cancellazione dell’Imu, appaiono distanti anni luce, ma che ci forniscono una chiave interpretativa su come si muovano e debbano muoversi le istituzioni e gli attori economico e sociali in futuro.

Infatti, la vicenda della sospensione della prima rata dell’Imu, a parte i riflessi immediati sui conti pubblici, è esemplare del modo di operare delle istituzioni del nostro paese per la sua connotazione profondamente contingente e strumentale a fini schiettamente politico-clientelari-elettoralistici, che non tengono in alcuna considerazione politiche lungimiranti anche solo tese al risanamento dei conti pubblici, né il benessere comune.

D’altra parte l’episodio non è che la conferma di come le decisioni più importanti e strategiche in Italia vengano assunte per finalità etero-dirette e non nell’interesse generale.

In un settore fondamentale per lo sviluppo economico del paese quale quello energetico anche negli ultimi anni è stato pesantissimo il condizionamento sulle politiche pubbliche delle strategie aziendali di ENEL ed ENI, prima con il rilancio del nucleare a partire dalla riforma del 2009, poi abortito grazie al referendum del 2011, poi con il rilancio degli impianti alimentati con combustibili fossili, ratificato con la Strategia Energetica Nazionale – SEN del 2012, mai sottoposta a Valutazione Ambientale Strategica e approvata semiclandestinamente da un governo dimissionario, che vuole vedere trasformata l’Italia in un hub del gas, mantiene l’attuale parco delle centrali a carbone e ne prevede di nuove (con la conversione di Porto Tolle e a Saline Joniche) e che infine lancia la sfida dello sfruttamento a terra ed offshore nei nostri mari delle trivellazioni per la ricerca e la produzione di idrocarburi gassosi e liquidi.

Lo sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti è l’altro elemento cardine per costruire il futuro del paese e anche in questo caso, dopo aver affidato a Confindustria e alle Grandi imprese nel settore edile e ai mega-studi di progettazione la redazione della legge Obiettivo e del Primo programma delle infrastrutture strategiche nel 2001, non c’è stata in questi ultimi anni alcuna radicale messa in discussione delle priorità di intervento. Priorità ancora una volta finalizzate alla costruzione di autostrade e di linee ad AV per la mobilità a lunga distanza, quando i problemi sono nella media e nella corta, pur di fronte all’evidente fallimento delle politiche delle grandi opere (completate al settembre 2012 solo per l’1,8% del valore complessivo del Programma ad oggi), dovuto alla insostenibilità di un programma lievitato dalle 215 opere per 125,8 miliardi di euro di 12 anni fa alle 390 opere per 375 miliardi di euro del settembre 2012.

E se questi sono gli approcci sulle politiche tradizionali, sulle politiche di frontiera difettano coraggio e risorse.

Quattro esempi in breve:

Oltre il PIL – È incredibile che il percorso intrapreso nel 2010 da due autorevoli soggetti pubblici quali Istat e Cnel, a seguito anche della riforma della contabilità e della finanzia pubblica (Dlgs n. 196/2009), che ha portato alla definizione dell’indicatore BES – Benessere Equo e Sostenibile e alla presentazione dl “Rapporto 2013 sul benessere equo e sostenibile in Italia”, non abbia avuto in alcun modo avuto un tutoraggio e riconoscimento da parte dei governi che si sono succeduti in questi ultimi 3 anni.

Strategia Nazionale per la Biodiversità – La SNB, approvata definitivamente dalla Conferenza Stato Regioni nell’ottobre 2010, che dovrebbe tutelare e valorizzare la biodiversità italiana che è la più ricca d’Europa, non vede ad oggi nessuna azione a difesa del patrimonio naturale, né alcun dibattito o studio sulla funzione dei servizi ecosistemici che questa garantisce.

Adattamento ai cambiamenti climatici – A conclusione dell’esperienza del Governo Monti, l’allora ministro dell’ambiente Clini, pose l’esigenza di approvare con Delibera CIPE una strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla manutenzione del territorio, che stimava investimenti di 1,6 miliardi di euro per i prossimo 20 anni: obiettivo ambizioso, anch’esso completamente deluso.

Aree urbane – Dopo aver fatto parlare tanto a partire dal 2001 della necessità di intervenire sulle aree urbane (tanto che si ipotizzò, infelicemente, una legge Obiettivo per le città), oggi finalmente abbiamo un Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane, CIPU, istituito nel 2012 su ispirazione dell’allora ministro della coesione territoriale Barca, che ha definito una “Agenda Urbana” condivisa, ma di fatto le politiche in questo campo sono in capo al Ministero delle infrastrutture e trasporti che con il “Piano Città” continua ad alimentare politiche dispersive e inefficaci nell’impiego delle poche risorse disponibili.

Grande è quindi la responsabilità della società civile e della Campagna Sbilanciamoci nel garantire che davvero si affermino strategie politico-istituzionali per la ri-conversione ecologica del Belpaese a partire dalla prossima Legge di Stabilità e dal nuovo Documento di Economia e Finanza - DEF.

I punti programmatici per il green deal dell’Italia sono stati più volte enunciati:

  • La convocazione di una Conferenza energetica nazionale che, archiviata la SEN, definisca un Piano energetico che blocchi lo sviluppo del carbone, punti al 100% delle rinnovabili al 2050 e contenga una Roadmap di Decarbonizzazione e di uso efficiente delle risorse;
  • La definizione di un Piano nazionale della Mobilità, con priorità decise attraverso i meccanismi del dibattito pubblico, che consenta di superare il Primo programma delle infrastrutture strategiche cche risponda alle esigenze di mobilità dei cittadini e contempli un nuovo programma di piccole e medie opere necessarie per l’adeguamento e lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale esistente e del cabotaggio a breve raggio;
  • La approvazione della nuova generazione dei Piani paesaggistici e definizione di una normativa innovativa sul consumo del suolo che contenga anche misure impositive innovative per disincentivare il consumo del suolo e favorire il riutilizzo, il recupero e la riqualificazione urbana, nonché, come misura urgente e necessaria: reintroduzione del vincolo di destinazione del contributo di costruzione;
  • Definire e attuare, con finanziamenti certi, un Piano pluriennale di adattamento ai cambiamenti climatici e per la manutenzione del territorio, rivitalizzando nel contempo le Autorità di Distretto e rilanciando i Piani di Assetto Idrogeologico;
  • Concordare con le Regioni in una strategia nazionale per garantire concretamente l’avvio degli interventi di bonifica dei siti industriali dismessi e nel contempo mettere in mora gli operatori economici che, in termini di legge, hanno l’obbligo di procedere alla messa in sicurezza, anche dal punto di vista sanitario, dei siti contaminati e ai ripristini ambientali;
  • Dare attuazione alla Strategia Nazionale sulla Biodiversità anche individuando apposite risorse nelle misure previste in attuazione della nuova programmazione europea 2014-2020;
  • Porre fine ai tagli lineari indiscriminati dei Bilanci ministeriali, che hanno decurtato in tre anni 2/3 delle risorse destinate al Ministero dell’ambiente (da 1,2 mld di euro del 2010 ai 468 mln di euro del 2013), di gran lunga il dicastero più penalizzato dalla “spending review”.

    Questo ed altro sta nella responsabilità della società civile e nella sua costanza di intervento, al di là del corto o cortissimo respiro degli interventi istituzionali nel nostro Paese, nella speranza che diventi prima o poi patrimonio delle nostre istituzioni e dei partiti e movimenti che operano o dovrebbero operare per il bene comune.

 

(Intervento alla VI Sessione, 8 settembre 2013: Tavola Rotonda delle associazioni Fare rete per cambiare rotta: le proposte di Sbilanciamoci)

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