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Cattivi esempi e cattivi maestri

10/11/2014

A Bruxelles proliferano gli studi che hanno conferito una patina di autorità scientifica alle decisioni che hanno portato al disastro economico e sociale

E’ proprio vero che molto spesso la storia non insegna nulla. Sul fronte delle decisioni economiche a suo tempo destabilizzanti e che non sono però servite da lezione per quelli che sono venuti dopo ricordiamo soltanto due casi non troppo remoti.

Nel 1930 in Germania la grande coalizione di governo guidata dal socialdemocratico Hermann Muller entrava in crisi e il democristiano Heinrich Bruning diventava cancelliere di un esecutivo che entrerà presto in minoranza e che andrà avanti per un certo periodo con la tolleranza sempre dei socialdemocratici.

Di fronte ad una crisi economica devastante, con il crollo dell’economia e la forte crescita del numero dei disoccupati, di fronte ancora ad un debito pubblico molto elevato e al problema del pagamento dei troppo pesanti debiti di guerra, Bruning non trovò di meglio che continuare con la precedente politica di deflazione; egli restrinse il credito, aumentò le tasse, mentre avviò contemporaneamente una politica di austerità pubblica, con una forte riduzione delle spese dello stato e un rilevante taglio dei salari e dei sussidi di disoccupazione (Wikipedia, 2014). Questo ci ricorda forse qualcosa.

Il risultato delle misure sopraelencate fu ovviamente quello di accrescere la povertà ed il numero dei senza lavoro. Il suo governo entrò in crisi nel 1932 e si sa come è andata poi a finire. I disoccupati creati dai suoi editti andranno per una parte consistente a gonfiare le file naziste. La crisi verrà poi superata, come è noto, con grandiosi investimenti pubblici in carri armati e in bombardieri d’avanguardia. Il numero dei senza lavoro crollerà così presto.

La storia ricorda come folli le misure prese dal governo Bruning. Speriamo che analoghi aggettivi troveranno gli studiosi per dei fatti molto più vicini a noi e che vanno sostanzialmente nella stessa linea.

Così, come ci ricorda Paul Krugman (Krugman, 2014), agli inizi degli anni novanta del Novecento si manifesta in Giappone una grave crisi economica e finanziaria. Ad un certo punto, nella seconda metà del decennio, di fronte a qualche segnale di ripresa, il governo in carica taglia drasticamente gli investimenti pubblici ed aumenta in misura consistente le tasse; parallelamente la Banca del Giappone reagisce solo molto lentamente allo scivolamento del paese in una situazione di deflazione.

La crisi continuerà sino ai giorni nostri; solo a partire dal 2013 il nuovo governo Abe cercherà, attraverso delle misure disperate, di risollevare le sorti economiche del paese; il tentativo è ancora in corso e i risultati non sono ancora del tutto chiari, anche se al momento essi non sembrano pienamente convincenti. Non c’è, tra l’altro, a quanto sembra, nessuna guerra alle porte.

Gli economisti

E veniamo ai tempi nostri e questa volta a delle ricette economiche molto discutibili elaborate da parte di alcuni illustri studiosi.

L’invenzione recente della “teoria dell’austerità espansiva” è, almeno per una parte consistente, una gloria italiana, in particolare di quelli che ormai sono conosciuti internazionalmente come i Bocconi boys. Secondo tale ipotesi, i benefici del ridimensionamento del bilancio pubblico di un paese, in particolare attraverso i tagli alla spesa, supererebbero in misura importante gli effetti depressivi provocati da tali misure sulla domanda.

Così qualche tempo fa, come ci ricorda Martin Wolf (Wolf, 2014), Alberto Alesina e Silvia Ardagna (Alesina, Ardagna, 2010) hanno pubblicato il testo forse più significativo che oggi sia in circolazione per sostenere il caso. Sempre Wolf ci ricorda come peraltro Paul Krugman da una parte, lo stesso FMI dall’altra, abbiano poi mostrato la debolezza di fondo della teoria.

Un altro pilastro su cui si fondano dal punto degli studi le attuali politiche recessive europee è costituito da un recente e ben noto lavoro di Carmen Reinhart e di Kennet Rogoff, This time is different, pubblicato nel 2010.

Il testo citato suggeriva che l’indebitamento pubblico nei paesi occidentali stava diventando troppo elevato e che quindi era necessario innescare delle politiche di austerità per far fronte alla situazione. In particolare, come è noto, se per i due autori il debito pubblico di un paese superava il 90% del pil, la crescita economica si sarebbe necessariamente attestata intorno allo zero.

Anche le tesi di Reinhart e Rogoff sono state ampiamente confutate; si è dimostrato come esse si basassero in larga parte su dati mancanti od errati e su delle metodologie di analisi discutibili. In ogni caso, tra l’altro, se una crescita più lenta è associata ad un alto debito pubblico, la relazione potrebbe anche essere inversa rispetto a quella prospettata dai due autori.

In questo elenco dei cattivi maestri contemporanei non si può omettere di ricordare, vera ciliegina sulla torta, le ricorrenti riflessioni della Bank for International Settlements, covo di economisti ultra-reazionari.

Tale istituzione raccomanda da sempre una stretta monetaria e fiscale anche di fronte ad un ridotto livello di inflazione, ad un alto livello di disoccupazione e, in generale, ad un basso livello di crescita dell’economia.

Ancora nel luglio del 2014, di fronte ad una BCE che, davanti alla stagnazione dell’economia e alle minacce di deflazione, vuole cercare di far crescere il livello di inflazione ed aiutare in qualche modo l’economia reale, la BIS, nella sua relazione annuale di bilancio, suggerisce di non farlo e sottolinea che la deflazione non deve essere in ogni caso una preoccupazione. Per fortuna la BCE non ha seguito troppo i suoi consigli. Non che la situazione stia da allora molto migliorando, anzi, ma almeno l’istituto di Francoforte sta cercando, sia pure tardivamente e male, di fare qualcosa per evitare il precipizio.

Conclusioni

La burocrazia di Bruxelles, spinta anche da un’altra democristiana tedesca, che governa in coalizione con i soliti socialdemocratici, sta apparentemente seguendo le orme di Bruning e del Giappone, confortata anche dalle illuminate trovate di Alesina e Ardagna da una parte, di Reinardt e Rogoff dall’altra, nonché dalle acute esternazioni della BIS; i riferimenti in particolare alle teorie sopra citate nei documenti e nei dibattiti di Bruxelles sono stati molto frequenti ed espliciti, almeno in un recente passato. Tali studi hanno conferito così una patina di autorità scientifica alle decisioni che hanno portato al disastro economico e sociale.

C’è da dire che la democristiana Merkel ci sta aggiungendo peraltro anche molto del suo, a Berlino come a Bruxelles.

 


Testi citati nell’articolo

-Alesina A., Ardagna S., Large changes in fiscal policy: taxes versus spending, Tax policy and the economy, vol. 24, Cambridge, 2010

-Wolf M., The shifts and the shocks, Allen Lane, Londra, 2014

-Krugman P., Apologizing to Japan, www.nytimes.com, 30 ottobre 2014

 


 


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