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La crisi del benessere

25/03/2015

Il sistema economico non produce tutta la felicità e il benessere che vorremmo. L’Italia ha fatto importanti passi avanti in questa direzione costruendo con un processo partecipato dal basso il sistema di indicatori del Bes. Ma il problema non è solo quello di costruire statistiche quanto quello di utilizzarle nelle scelte politico-economiche

Il sistema economico non produce tutta la felicità e il benessere che vorremmo e appare particolarmente “inefficiente” da questo punto di vista (basta pensare agli enormi problemi distributivi, ambientali, finanziari e di senso di vita esistenti nelle nostre società). Il problema di fondo per cui questo avviene è che la scala gerarchica dei portatori d’interesse implicita nelle logiche economiche (prima gli azionisti, poi i clienti, per ultimi i lavoratori) è l’opposto di quella ottimale per la nostra felicità (dove la nostra sorte come lavoratori viene prima di quella come consumatori e come azionisti). La radice di questi problemi sta in una concezione “misera” di individuo, impresa e valore che espelle i valori dalla vita economica. Sul valore e sugli indicatori il riduzionismo sta nel considerare il PIl e la sua crescita come sintesi della nostra felicità. Ma la ricchezza delle nazioni non è il PIL ma lo stock dei beni spirituali, culturali, ambientali, relazionali ed economici di cui una comunità inserita su un territorio può godere.

Poiché “siamo ciò che misuriamo” e gli indicatori statistici assunti acriticamente sono come stelle polari che indicano la rotta ai governi, se vogliamo progredire in benessere e felicità dobbiamo riportare i valori nell’economia e nel modo in cui misuriamo la sua performance.

L’Italia ha fatto importanti passi avanti in questa direzione costruendo con un processo partecipato dal basso il sistema di indicatori del BES (benessere equo e sostenibile). Le parti sociali hanno identificato 12 ambiti fondamentali per il benessere (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi) sui quali commissioni di esperti hanno prodotto un insieme di 134 indicatori statistici. I primi rapporti BES prodotti dall’Istat hanno cominciato ad offrire fotografie non banali del nostro paese “oltre il PIL”. Indicando i progressi costanti sul piano della salute (pur tra diseguaglianze e divari che raggiungono i 3 anni di vita tra il Trentino e la Campania), gli arretramenti sulla sicurezza effettiva e percepita, la crescita rallentata dell’istruzione in questi anni di recessione e il crollo della soddisfazione di vita soggettiva nei picchi della crisi finanziaria. Tra i dati più interessanti la dicotomia statistica tra delitti contro la persona (ai minimi secolari) e delitti contro il patrimonio (aumentati del 40% negli ultimi anni) anche se il bombardamento mediatico sui grandi omicidi produce nell’opinione pubblica percezioni diverse. Un altro dato che impressiona è il crollo della quota di persone che si dichiara molto soddisfatto della propria vita. Questa quota di popolazione si riduce del 20% a fine 1992, all’apice della crisi dello spread. Documentando che la percezione di perdita di benessere economico incide significativamente sulla soddisfazione di vita. Nonostante l’arretramento del reddito pro capite sia della metà di quello del PIl e la ricchezza netta degli italiani tenga sostanzialmente aiutata dall’aumento del valore reale della ricchezza finanziaria prodotto dalla deflazione. Nel complesso la miscela di dati oggettivi e di percezioni soggettive dimostra come le seconde siano molto importanti e non sempre coerentemente legate con i primi.

Ma il problema non è solo quello di costruire statistiche quanto quello di utilizzarle nelle scelte politico-economiche. Se un primo importante vantaggio del BES è il fatto di non esser nato nello studio di qualche pur illuminato esperto ma attraverso una costruzione che ha coinvolto gli attori più importanti del paese, il secondo vantaggio dipenderà dall’effettiva adozione dei suoi indicatori come criteri per valutare la performance di attori privati e pubblici.

A che serve varare progetti che fanno registrare un aumento nella statistica dei beni e servizi fatturati prodotti internamente nel paese se tali progetti hanno effetti negativi su salute, sostenibilità ambientale, distribuzione del reddito, qualità della nostra vita di relazioni ? Il PIL è incapace di misurare persino il mero benessere economico. Joseph Stiglitz ha recentemente sottolineato come dietro la sua crescita negli Stati Uniti negli ultimi anni il reddito reale mediano sia praticamente fermo ai valori di vent’anni fa. Un po’ come se nella famosa storia dei polli di Trilussa le “magnifiche sorti progressive” ci portassero dalla media di un pollo a quella di due polli: chi ne aveva due, ora ne ha quattro mentre il meno fortunato è sempre fermo a zero. Al politico che guarda solo il PIl e non capisce perché il suo gradimento presso gli elettori non cresce bisognerebbe ricordare che dovrebbe utilizzare il BES e non il PIL per superare l’obiezione di Trilussa.

 

 

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