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Grecia, una lezione per la sinistra

04/08/2015

La Sinistra ha il compito di “smascherare” sia la contraddizione dell’europeismo iniquo, sia il pericoloso regresso storico che sarebbe innescato da una iniziale incrinatura dell’euro

Nelle ultime settimane, la questione greca ha avuto sviluppi importanti non solo per le condizioni immediate e il futuro di quel paese ma, soprattutto, per le prospettive della costruzione europea. Per la rilevanza storica di questo processo, gli effetti sul suo esito costituiscono un riferimento obbligato per valutare le posizioni delle forze di sinistra, sia quelle già strutturate sia quelle in formazione, anche in Italia.

Nelle trattative con la Troika ( o come la si vuol chiamare), l’improvvisa decisione di indire il referendum e la successiva vittoria del No sembravano poter rafforzare le posizioni del governo ellenico e – più ancora - favorire una riqualificazione positiva del progetto unitario europeo; invece, gli eventi successivi hanno smentito quelle speranze. Ricapitoliamoli schematicamente.

1) Il governo tedesco si è irritato accentuando la logica miope dei rapporti di forza (un’ attitudine storica dagli effetti tragici che, peraltro, si è sempre rivelata perdente): pur subordinando da sempre la validità delle decisioni comunitarie al parere della sua Corte costituzionale, il governo tedesco si è indispettito perché quello greco ha chiesto conferma della propria posizione al suo popolo; intanto, la Germania si ostina a condizionare la ripresa europea (soprattutto quella degli altri paesi) al vincolo del 3% per il rapporto deficit/Pil, ma il suo avanzo commerciale supera da 13 anni il limite concordato nel Six Pack del 6%, aumentando gli squilibri e penalizzando la crescita di tutta l’Unione.

2) Gli altri paesi dell’Euro zona hanno seguito con colpevole acquiescenza la posizione tedesca facendo venire alla mente (con tutte le differenze), lo spirito dell’accordo di Monaco nel 1938.

3) Il governo greco, inevitabilmente condizionato da questi comportamenti, ha mutato il suo atteggiamento negoziale, ma il risultato finale è stato un accordo peggiore (oggi per la Grecia, in prospettiva per la costruzione europea) di quello rifiutato dagli elettori greci.

Quest’evoluzione della questione greca ha rafforzato due delle possibilità prospettate ai paesi “periferici”: a) continuare ad assecondare/subire la ”via tedesca” all’Unione europea e comunque prendere atto dei rapporti di forza che la sostengono; b) uscire dalla Zona euro.

In Italia, la prima posizione è propria del Governo (anche di quelli precedenti) e del suo partito di maggioranza. La seconda posizione trova da sempre supporto nelle tradizionali opinioni antieuropeistiche di tipo nazionalistico/localistico/populistico; ma va trovando consensi pure tra chi ritiene che far parte della Zona euro sarebbe diventato irrimediabilmente lesivo degli interessi dei lavoratori e della democrazia, cioè incompatibile con i valori e i programmi della sinistra.

Nella seconda posizione si delinea dunque una convergenza di motivazioni per uscire dall’euro che, tuttavia, per la sinistra è un abbraccio mortale perché le fa perdere la sua qualificante connotazione di forza progressiva, in grado cioè di coniugare sul piano strategico valori tipicamente propri - come quelli del lavoro, dell’eguaglianza, dei diritti, degli equilibri ambientali e della democrazia - con interessi generali quale la crescita economica.

In tutta la sinistra e tra le forze di progresso occorrerebbe tener presente che:

1) La globalizzazione dei mercati ha reso molto più necessaria anche economicamente l’Unione europea. Una istituzione e un sistema economico di taglia continentale consentono margini di autonomia e possibilità di successo maggiori per le scelte politiche, economiche, sociali e ambientali collettivamente condivise; ciò vale specialmente per le politiche progressiste avversate da interessi ristretti ma forti, radicati nei mercati e nelle loro correnti speculative. Nell’Unione europea possono anche prevalere, come sta avvenendo, posizioni lesive del lavoro, dell’equità, della democrazia e generalmente regressive, ma questo è uno degli esiti sempre possibile nel confronto sociale e politico. Il punto è che in ciascun singolo paese europeo, i maggiori vincoli economici e politici derivanti dalle sue ridotte dimensioni ostacolano maggiormente o addirittura precludono scelte progressiste disomogenee a quelle che potrebbero essere imposte dai grandi paesi e dai mercati internazionali. L’ambito europeo è potenzialmente più favorevole alla realizzazione degli obiettivi della sinistra.

2) Naturalmente sussistono margini di libertà nazionali e locali, ma sono sempre più ridotti. In ogni caso, per quanto riguarda il nostro paese, chi pensa di potersi liberare dalle politiche liberiste uscendo dall’euro, dovrebbe anche riflettere sul fatto che mentre nella seconda metà del Novecento eravamo considerati anomali per la presenza del più grande partito comunista dell’area occidentale, adesso lo siamo per la più ridotta rappresentanza politica della sinistra. Bisogna evitare di cadere in una logica “difensiva” che può spingere fino a localismi di tipo velleitario (nel mese di giugno del 1940, il sindaco di un comune dei castelli romani convocò i cittadini in piazza per informarli che l’Italia era entrata in guerra e poi chiese loro: “ noi che vogliamo fare?”)

3) Oggi non è più in discussione se procedere alla creazione della moneta unica e dell’Unione europea (con le modalità sbagliate ampiamente previste), ma se sia conveniente tornare alla valuta nazionale (e uscire dall’UE) e se sia possibile farlo almeno in modo ordinato. E’ lecito immaginare che la rottura anche solo parziale della Zona euro – con i suoi riflessi negativi sull’Unione - non avverrebbe senza traumi (non solo economici) dato che per evitarli occorrerebbe più cooperazione di quella che finora è mancata per raggiungere una unione capace di migliorare le condizioni dei cittadini di ciascun paese.

La Sinistra ha il compito di “smascherare” sia la contraddizione dell’europeismo iniquo, antidemocratico e controproducente sostenuto dai partiti conservatori, sia il pericoloso regresso storico che sarebbe innescato da una iniziale incrinatura dell’euro e alimentato poi dal ritorno ai nazionalismi. Impegnarsi in questa direzione non è un vezzo autoreferenziale ma un dovere primario e qualificante per una forza politica progressista.

 

 

 

 

 

 

 

 

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