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La Renzinomics

14/03/2014

Dagli sgravi di imposta ai redditi inferiori ai 25 mila euro all'anno alle misure a favore delle imprese. Una analisi ragionata delle prime misure annunciate dal governo Renzi

La luce in fondo al tunnel si è affievolita. Il nuovo ministro dell’Economia Padoan ha abbassato la previsione di crescita del Pil dall’1,1 per cento allo 0,6 per cento, allineandola a quella della Commissione europea. Tale valore rimane comunque molto ottimistico visto che presuppone una crescita del prodotto di circa lo 0,3 per cento in ogni trimestre dell’anno, in una situazione dove i più recenti indicatori dell’attività economica sono contrastanti, con quelli sfavorevoli preponderanti rispetto a quelli positivi.

Nei mesi di gennaio e febbraio il consumo di energia elettrica, il tradizionale anticipatore del Pil, è calato di oltre il 4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e a inizio marzo la caduta si è aggravata. A febbraio il livello dei prezzi è diminuito; l’inflazione annua è dello 0,5 per cento; considerando l’aumento, lo scorso ottobre, dell’aliquota dell’Iva, insieme a quello di molte tariffe, negli ultimi dodici mesi l’inflazione è stata negativa. A febbraio la fiducia dei consumatori, già bassa, è scesa lievemente. Continua la contrazione del credito concesso dalle banche alle imprese non finanziarie e alle famiglie e il peggioramento della qualità degli impieghi degli intermediari. Indicatore più grave di tutti gli altri è la continua discesa del monte ore di lavoro: cade il numero di persone occupate e aumentano le persone “scoraggiate”, che non cercano più lavoro; a febbraio la cassa integrazione in deroga è aumentata del 55%.

Qualche (timido) segnale positivo

Alcuni segnali positivi ci sono, che tuttavia non suggeriscono un’inversione del ciclo; nel quarto trimestre dello scorso anno il Pil sarebbe cresciuto di meno dello 0,1 per cento rispetto al periodo precedente per l’esplosione degli investimenti in mezzi di trasporto (ha contribuito a tale risultato anche la revisione al ribasso del prodotto del trimestre precedente); a gennaio la produzione industriale sarebbe salita di un punto percentuale rispetto a dicembre, e a febbraio la fiducia delle imprese, pur rimanendo su livelli bassi, è lievemente cresciuta; nel primo bimestre le vendite di automobili sono aumentate rispetto allo scorso anno, rimanendo tuttavia su livelli insufficienti a frenare l’invecchiamento del parco circolante.

Mentre l’economia reale è al più stagnante, le condizioni dei mercati finanziari si vanno rasserenando; il rendimento dei titoli di stato si riduce grazie al “credito di parola” illimitato e condizionato della Bce per salvare l’euro e al miglioramento dell’interscambio commerciale con l’estero per il continuo calo delle importazioni; nelle scorse settimane l’agenzia di rating Moodys ha migliorato da negative a stabili le prospettive del debito pubblico italiano. Le più favorevoli condizioni per l’emissione e il rinnovo di titoli di debito riducono la spesa pubblica per interessi.

La Renzinomics

Nei suoi discorsi alle Camere per chiedere la fiducia, il Presidente del consiglio Matteo Renzi, pur partendo dall’evidenza del declino di lungo periodo dell’economia italiana, ha omesso di dare un’interpretazione delle ragioni di fondo della crisi e del fallimento delle politiche dei precedenti governi, elemento che costituisce la logica premessa di un piano di governo, articolato e coerente, capace di interrompere la decadenza del Paese.

Sul piano di politica economica, Renzi si è limitato a delineare alcuni generici interventi per riavviare un sentiero di sviluppo. A livello programmatico, non è mancato il riferimento all’abbassamento delle tasse, seppur in prospettiva. Si tratta di una promessa piuttosto ardita nel quadro dei vincoli costituzionali e nell’attesa dell’entrata in vigore del fiscal compact, il trattato internazionale sottoscritto da 25 paesi europei, che impone di riportare in venti anni il rapporto debito/PIL al 60 percento, circa 75 punti in meno del valore attuale.

Il dodici marzo il governo ha approvato il piano degli interventi da attuare nei prossimi mesi. Pur nell’ambito dei vincoli di bilancio, traspaiono vari segnali di novità rispetto al recente passato con il sostanziale superamento della centralità delle politiche recessive; in particolare si percepisce lo sforzo di dare un primo segnale di fiducia ai cittadini e favorire, dopo molti anni, la ripresa degli investimenti pubblici e dei consumi interni.

Le misure adottate, alcune delle quali già prese dal precedente governo, sono classificabili in tre categorie. La prima riguarda gli sgravi di imposta sui redditi inferiori a 25 mila euro annui (10 mld). La seconda il rilancio di spese inerenti l’edilizia scolastica (3,5 miliardi), contro il dissesto idrogeologico (1,5 miliardi), per la ricerca (0,6 miliardi) e la casa (1,7 miliardi), nonché quelle finanziate da fondi europei (3 miliardi). La terza una serie di interventi in favore delle imprese; essi riguardano il pagamento del totale dei debiti della pubblica amministrazione (68 miliardi), lo stanziamento di 500 milioni al fondo di garanzia per l’erogazione del credito, la riduzione del 10 per cento dell’Irap e del prezzo dell’energia elettrica. Le fonti di copertura provengono dai risparmi della spending review (7 miliardi), dai minori interessi sul debito (2,2 miliardi), dall’aumento dal 20 al 26% dell’aliquota sulle rendite finanziarie; da una complessa operazione di ristrutturazione del debito commerciale della pubblica amministrazione, da un maggior deficit rispetto alle precedenti previsioni di bilancio (6 miliardi).

La misura in favore delle famiglie meno abbienti è indispensabile per accrescere, dopo molti anni, i redditi netti delle famiglie e favorire i consumi interni. Gli eventuali dubbi riguardano la limitata entità dell’operazione, forse insufficiente a interrompere la discesa dei consumi interni.

Il Presidente Renzi, dopo aver dedicato nei discorsi alle camere molta enfasi retorica all’edilizia scolastica e sollecitato i sindaci a collaborare con il governo per realizzare indispensabili opere di riqualificazione del patrimonio scolastico, ha determinato in 3,5 miliardi le risorse disponibili. Si tratta di un’azione del tutto condivisibile di rilancio degli investimenti pubblici (i cd rammendi) che però, nei tempi declinati in Senato (luglio-settembre), si presta prevalentemente per qualche opera di manutenzione ordinaria. Se così fosse, si tratterebbe di una azione di propaganda destinata ad avere scarsi effetti sulla qualità strutturale degli edifici. Anche le altre misure di rilancio degli altri investimenti sono del tutto opportune.

Le misure per le imprese

Più consistenti appaiono gli interventi in favore delle imprese; fra di essi l’obiettivo più ambizioso è il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, una misura in qualche modo doverosa perché richiesta dalla recente entrata in vigore di norme dell’Unione Europea. Già il governo Letta ha avviato un’importante manovra per pagare in due anni circa 45 miliardi di euro di debiti arretrati, concordando con la Commissione europea che tali pagamenti non confluiscano nell’aggregato soggetto al vincolo di bilancio. Renzi ha ora rilanciato l’iniziativa innalzando di 68 miliardi l’importo da liquidare. La nuova operazione consisterebbe nell’accollo da parte della Cassa depositi e prestiti, per mezzo dell’intermediazione delle banche, del credito vantato nei confronti delle pubbliche amministrazioni che lo restituirebbero in 15 anni rilasciando in garanzia delegazioni di pagamento a valere sulle entrate di bilancio. Negli auspici del governo, il credito della CDP rimarrebbe di natura commerciale e non confluirebbe nell’aggregato soggetto ai vincoli europei; di converso si ridurrebbero le risorse a disposizione degli enti pubblici per i prossimi quindici anni.

Lo stanziamento di nuovi fondi di garanzia per l’erogazione del credito vorrebbe facilitare la concessione di credito alle imprese da parte del sistema bancario, attraverso il trasferimento di parte del rischio all’operatore pubblico. Si tratta di un sistema largamente utilizzato in passato, ripetutamente sollecitato da lobby imprenditoriali, che sarebbe riproposto per superare l’attuale credit cruch all’economia. È una misura onerosa per le casse pubbliche che rende meno efficiente il processo di erogazione del credito, senza apportare benefici nella selezione e tende a deresponsabilizzare le banche che concedono fido.

Fra i possibili interventi per ridurre il carico fiscale delle imprese, la diminuzione dell’Irap è quella preferibile perché, oltre ad accrescere i profitti degli imprenditori incentiva l’utilizzo di forza lavoro. Il minor prezzo dell’energia elettrica ne favorisce l’utilizzo in una fase di crollo della domanda; peraltro le politiche di risparmio energetico sono rese meno convenienti.

Il giudizio sul primo annuncio di politica del governo è nel complesso condivisibile, anche se la dimensione delle misure adottate, salvo il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione, appare limitata. Per questa ragione, per riavviare un consolidato sentiero di sviluppo economico dovranno seguire ulteriori interventi nella distribuzione del reddito e della ricchezza, nel processo di accumulazione del capitale e in quello di innovazione. Un quadro interpretativo delle ragioni della crisi e dei modi per uscirne favorirebbe la coerenza degli interventi.

 

 

 

 

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