Home / Ultimi articoli / La finanza alternativa dei Bric

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Ultimi articoli

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

La finanza alternativa dei Bric

09/07/2014

La scarsa volontà da parte degli Usa e degli altri stati occidentali di cedere una parte anche ridotta del loro potere negli organismi finanziari internazionali spinge sempre più la Cina ed altri paesi emergenti a pensare di migliorare fortemente la loro struttura istituzionale sul fronte della finanza

La forte crescita economica della Cina e degli altri paesi del Bric, la disponibilità crescente e in grande quantità di risorse finanziarie da parte di tali paesi, la scarsissima volontà da parte degli Stati Uniti e degli altri stati occidentali di cedere una parte anche ridotta del loro potere negli organismi finanziari internazionali, dalla Banca Mondiale al FMI, la tendenza recente ed inaudita degli stessi Stati Uniti, documentata in un precedente articolo su questo sito, di estendere fortemente l’extraterritorialità delle loro decisioni in materia finanziaria – che appare come una forma di un’estorsione aggravata, come commentava recentemente lo stesso Economist - stanno contribuendo a spingere sempre più la Cina ed altri paesi emergenti a pensare di migliorare fortemente la loro struttura istituzionale sempre sul fronte della finanza.

In tale quadro rientrano, tra l’altro, la spinta ad una crescente internazionalizzazione della moneta nonché delle banche cinesi, la creazione di un’agenzia di rating sempre cinese, cui ora si dovrebbe aggiungere anche la Russia, la volontà da parte dei paesi del Bric di creare un fondo comune di intervento di 100 miliardi di dollari sul mercato delle valute per affrontare le turbolenze finanziarie (Kauffmann, 2014), le ipotesi ricorrenti, almeno sul piano teorico, per la creazione di una nuova moneta internazionale, gli accordi recenti della stessa Cina con molti paesi per l’utilizzo delle loro rispettive monete negli scambi commerciali internazionali, infine la tendenza alla creazione di nuove banche per lo sviluppo, compreso un grande istituto in comune sempre da parte dei Bric e una banca asiatica da parte della Cina. E’ su questo ultimo tema che si concentra l’articolo.

La banca dei Bric

Mentre si registrano ogni tanto, da qualche anno in qua, delle dichiarazioni comuni sul fronte politico internazionale da parte dei paesi facenti parte del Bric, sino ad oggi le iniziative economiche unitarie sono state sostanzialmente inesistenti. Ma ora, a parte il citato progetto per la creazione di un fondo di intervento sul mercato valutario, nel corrente mese di luglio tali paesi dovrebbero annunciare la creazione di una grande banca per lo sviluppo, che potrebbe agevolmente superare come dimensioni la Banca Mondiale e anche la banche regionali più importanti.

Le necessità future di infrastrutture nei paesi emergenti, area geografica cui dovrebbe rivolgersi l’istituto, vengono stimate sino a circa 2 trilioni di dollari all’anno (Beatty, 2014). Oggi i finanziamenti da parte degli enti internazionali a ciò preposti rappresentano una percentuale estremamente modesta di tali necessità. Già, peraltro, la China Development Bank presta ogni anno molto più denaro della Banca Mondiale, a costi minori e senza intromettersi troppo, al contrario di quest’ultima, negli affari interni dei vari paesi.

Ricordiamo che anche, ad esempio, in un continente come l’America Latina, la Andean Development Corporation (CAF), cui partecipano 16 paesi sud-americani, più Spagna e Portogallo, finanzia le infrastrutture del continente per importi superiori a quelli della Banca Mondiale e dell’Interamerican Development Bank prese insieme (Beattie, 2014).

La nuova banca dovrebbe arrivare in relativamente poco tempo a possedere un capitale di 100 miliardi di dollari, a mettere in campo ogni anno risorse per 35 miliardi di dollari e a generare progetti per un totale di circa 70 miliardi, di nuovo più della World Bank, che sembra così rischiare di essere sempre più destinata al ruolo di sostanziale comparsa sulla scena finanziaria mondiale.

D’altro canto, il nuovo ente dovrebbe evitare un altro difetto presente nella Banca Mondiale ed in quelle regionali, la dominazione su di esse dei paesi ricchi, con le relative condizioni politiche cui sono legati i prestiti.

La banca dovrebbe riuscire fondamentalmente ad aiutare in misura rilevante i paesi emergenti a portare avanti gli investimenti necessari al loro sviluppo economico ulteriore.

Naturalmente le negoziazioni tra i vari paesi interessati, vista la non sempre perfetta identità di vedute tra di loro e gli interessi non coincidenti sui temi politici ed economici, sono molto delicati, in particolare sulle quote di capitale di ciascun paese (tra l’altro, bisognerà evitare di rendere troppo evidente lo schiacciante peso economico e finanziario della Cina) e su come dovranno essere attribuite le cariche più importanti, nonché poi evidentemente con quali criteri tecnici e politici gestire l’istituto.

Una nuova banca di sviluppo asiatico

Ma non è finita qui. Una nuova iniziativa è all’orizzonte.

Il panorama del continente asiatico appare caratterizzato dalla presenza della Asian Development Bank, che Pechino giudica, certamente non a torto, come troppo influenzata dal Giappone e dagli Stati Uniti. Perciò i cinesi stanno portando avanti dei piani per creare una banca di sviluppo alternativa, che, insieme alla nuova istituzione dei Bric, costituirebbe il secondo pilastro dell’iniziativa cinese in materia. Il nome del nuovo istituto sarebbe quello di Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB); esso avrebbe una dotazione di capitale di 100 miliardi di dollari (Anderlini, 2014).

La banca, cui sembrano interessati in qualche modo ventidue paesi, compresi gli stati petroliferi del Medio Oriente, la Corea del Sud e l’Indonesia, dovrebbe escludere dal suo azionariato gli Stati Uniti e i suoi alleati; essa dovrebbe vedere la luce entro la fine dell’anno. Per alcuni versi, ci sarebbe una divisione dei compiti tra Banca Mondiale e BAS da una parte, l’AIIB dall’altra: le prime due istituzioni si concentrano sulla lotta alla povertà, mentre il nuovo istituto dovrebbe attivarsi sul tema dello sviluppo delle infrastrutture.

Le necessità di finanziamenti per lo sviluppo di infrastrutture, in Asia come in generale nei paesi emergenti, appaiono enormi, e da questo punto di vista all’istituto non dovrebbero certo mancare gli spazi di intervento.

La Banca Asiatica di Sviluppo al momento presta soltanto circa 10 miliardi di dollari all’anno (Anderlini, 2014).

Il nuovo ente dovrebbe accompagnare e favorire la forte crescita in atto degli investimenti diretti cinesi all’estero, che tra l’altro, nel 2014, dovrebbero superare per la prima volta quelli in entrata nel paese asiatico.

Conclusioni

Il tentativo dei paesi ricchi di escludere il più possibile i paesi emergenti, con in testa la Cina, dalla gestione degli affari economici e finanziari del mondo, insieme alla necessità del paese asiatico di dotarsi di infrastrutture finanziarie adeguate alla sua crescente potenza e indispensabili per portare ancora avanti la sua espansione – tra l’altro, nel 2014 il pil cinese dovrebbe superare quello statunitense-, portano più o meno inevitabilmente agli sviluppi sopra descritti. Si metterebbero così in opera degli istituti dalle dimensioni considerevoli e la Cina sarebbe alla fine coinvolta in prima persona in ben tre grandi banche di investimento internazionali.

Si registra, per questa via, anche una delle risposte cinesi, e in parte anche degli altri paesi del Bric, al tentativo degli Stati Uniti di isolarli attraverso il tentativo in atto per la messa in opera del trattato per il commercio trans-atlantico, di quello parallelo con alcuni paesi asiatici, nonché infine di quello, ancora in parte misterioso, relativo al settore dei servizi; i paesi del Bric sarebbero nella sostanza esclusi da tutti tali potenziali accordi e metterebbero in campo un embrione di sistema parallelo (Kauffmann, 2014).

Si ignora in ogni caso se e quali collegamenti ci potranno essere tra i due istituti per lo sviluppo in corso di gestazione.

 


Testi citati nell’articolo

-Anderlini J., China expands plans for World Bank rival, www.ft.com, 24 giugno 2014

-Beattie A., A BRIC bank: can it outdo the World Bank?, www.ft.com, 19 giugno 2014

-Kauffmann S., A la coupe del BRICS, la Chine part favori, Le Monde, 8 luglio 2014

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti