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Le nuove istituzioni del capitalismo «rosso»
Rotta a oriente/Stanno nascendo una banca dei Brics, un fondo per la protezione dalle oscillazioni dai cambi, uno per la Nuova via della seta e un altro ancora per la cooperazione. Infine, la Banca asiatica per lo sviluppo
In un altro articolo di questo stesso supplemento analizziamo il quadro delle nuove strategie finanziarie cinesi verso il mondo esterno. In questo guardiamo invece con particolare attenzione al sistema delle nuove banche internazionali per lo sviluppo che il governo del Paese di Mezzo ha messo a punto molto di recente.
La Cina possiede già da tempo tre grandi banche specializzate nella promozione del commercio e degli investimenti internazionali, nonché nell’assistenza allo sviluppo; si tratta della China Import-Export Bank, della China Development Bank e della Sinosure. Esse, prese insieme, svolgono un volume di finanziamenti che è superiore a quello delle analoghe strutture dei sette paesi occidentali più ricchi messe insieme.
Ora, nell’ambito della messa a punto di una nuova e molto ambiziosa politica di internazionalizzazione della loro economia, i responsabili del paese stanno varando cinque nuove istituzioni, tutte in collaborazione con altri stati.
Si tratta della banca dei Bric, cui partecipano i paesi che fanno parte di tale raggruppamento, Cina, India, Brasile, Russia e Sud-Africa; di una struttura parallela alla prima, che consisterà in un fondo per la protezione degli stessi dalle oscillazioni dei cambi; di un fondo per i finanziamenti dei progetti della Nuova Via della Seta, destinato a finanziare le iniziative che rientrano in tale strategia di sviluppo; di un altro fondo, di cui al momento non conosciamo pienamente le caratteristiche, destinato a finanziare i progetti dei paesi partecipanti all’organizzazione per la cooperazione cosiddetta di Shangai (Sco Development Fund), della quale fanno parte, alcuni paesi per il momento solo come osservatori, oltre alla Cina, la Russia, l’India, i paesi dell’Asia Centrale, il Pakistan, l’Iran; infine della Asian International Development Bank (AIIB), che al momento appare la più conosciuta di tutte, se non altro per la rivalità tra Cina e Stati Uniti che l’annuncio della sua creazione ha scatenato di recente.
Le strutture interne ed internazionali sopra indicate configurano nelle loro dimensioni e nella sostanza un sistema che sfida ormai apertamente l’egemonia statunitense per quanto riguarda il finanziamento delle politiche di sviluppo del mondo.
Come è noto, nel dopoguerra il sistema creato a Bretton Woods, che comprende, tra l’altro, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e il Centro Mondiale per il Commercio, nonché le banche di sviluppo regionali (venute peraltro successivamente), è governato dagli Stati Uniti, peraltro assistito dall’Europa e dal Giappone. I paesi emergenti, che oggi producono il 57% del pil mondiale (cifre 2014), sono fortemente sottorappresentati in tali organizzazioni. I tentativi di riformare il sistema dando più voce agli stessi, non hanno sortito alcun effetto. La nuova iniziativa cinese si inserisce abilmente, grazie anche alla sua potenza di fuoco finanziaria e allo sviluppo della sua economia, dei suoi investimenti esteri e dei suoi commerci, in tale punto debole del sistema.
Appare quindi plausibile che gli americani cerchino di sabotare tale progetto. Così, in particolare per quanto riguarda l’AIIB, essi hanno fatto delle forti pressioni sui propri alleati occidentali ed orientali perché essi non partecipassero all’iniziativa. Ma il fronte è stato presto rotto dalla Gran Bretagna, che non vuole perdere la possibilità di fare grandi affari con il Paese di Mezzo e capisce che probabilmente ci troviamo davanti al nuovo protagonista della scena economica e finanziaria mondiale. Dietro la perfida Albione si sono poi precipitati tutti gli altri ed i paesi aderenti allo schema sono ormai una cinquantina. Persino il Giappone, inizialmente molto ostile, ha annunciato la sua prossima adesione.
La sconfitta degli Stati Uniti è così stata molto dura.
C’è da rilevare comunque che l’atteggiamento negativo degli Usa faceva ufficialmente riferimento alle supposte non sufficienti garanzie di rispetto delle regole di trasparenza, nonché delle buone norme ambientali e sociali, che la nuova struttura asiatica avrebbe fornito.
Ma ora apprendiamo, da un rapporto pubblicato il 2 aprile da alcune ONG, in collaborazione con Oxfam, che un organismo come la Società Finanziaria Internazionale (International Finance Corporation,IFC), la filiale più importante della Banca Mondiale, specializzata nell’aiuto al settore privato dei paesi in via di sviluppo, non rispetta molto bene le regole sopra citate.
Il rapporto documenta come molti dei progetti finanziati dall’IFC sono stati all’origine di numerose violazioni dei diritti dell’uomo: si va dalla confisca del tutto arbitraria di terre possedute in via ancestrale dai locali, sino allo sradicamento forzato di diverse popolazioni dal loro territorio, alla repressione delle proteste, a violenze fisiche sulle persone sino a provocare la loro morte.
La stampa occidentale peraltro ha passato quasi sotto silenzio il rapporto e comunque ha evitato di fare un qualche collegamento tra tali fatti e le critiche statunitensi all’AIIB.
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