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Le parole d'ordine che conquistano i moderati
Attenti popolo/Anti-istituzionalismo, antieuropeismo e antiglobalizzazione. Così il populismo fa proseliti tra il ceto medio in declino e la classe operaia depotenziata
Come sempre succede, quanto più una parola ha successo nell'uso sociale e in particolare sui media, tanto meno diventa chiaro che cosa possa voler dire. Certo, finirà per dire sempre di più e per denotare anche oggetti incompatibili. Diventando generale e poi generica, la parola perderà così il suo taglio originario e finirà per confondersi nel magma della semantica pubblica. La parola populismo sta subendo questa sorte ingrata. Occorre accettare o sopportare molta di questa confusione, non sempre innocente, senza tuttavia rinunciare a ricondurre dentro un alone semantico sensato qualcosa di ragionevolmente significativo. È il massimo che si possa fare. Del resto, è vero che la fenomenologia o galassia populista in Europa offre una varietà di espressioni tale da confondere le idee così come i giudizi. In Italia, ad esempio, si potrebbero identificare tre varianti principali di populismo, espresse da Forza Italia (populismo mediatico), dal Movimento 5 Stelle (populismo della rete), dalla Lega Nord (populismo delle identità territoriali). Inoltre temi e suggestioni populiste sono ora ben presenti anche nel Partito Democratico renziano, che ripete alcune movenze del craxismo (il nuovo, la velocità, la rottamazione). Tutte queste declinazioni del populismo hanno certi tratti comuni, anche se diversamente miscelati e pesati: l'anti-istituzionalismo, il rifiuto delle mediazioni rappresentative, l'abuso di carismi più o meno fittizi, l'aggressività verbale, la vaghezza programmatica, l'antieuropeismo, il rifiuto della globalizzazione, il richiamo identitario. Da questi tratti in comune si dipanano poi diversi stili e motivi populisti: territorio, identità, perdita di status, le immagini della palude e delle anime morte, paure, illusioni, e soprattutto le autoillusioni, tra rivolta fiscale, cesure generazionali, perdita di legami fiduciari.
La grande varietà dei populismi trova un radicamento sociale condiviso in un'area che prima sarebbe stata moderata: il ceto medio ora in declino e la classe operaia ormai depotenziata. Sono i gruppi sociali più esposti e più martoriati dalla crisi, e anche quelli per i quali le politiche dell'Unione Europea risultano le più deleterie, in molti casi fatali. Da qui i due motivi populisti principali: l'antieuropeismo e l'anti-finanza. Sono anche gruppi che o sono molto spremuti dal fisco o che stanno perdendo la flessibilità fiscale di cui hanno goduto (è il caso del popolo della Lega e dello pseudo-referendum veneto). Si sentono e in parte sono davvero oppressi, esclusi o lontani dalle istituzioni. In ogni versante troviamo buone ragioni per essere o diventare populisti: il nichilismo sociale delle strategie comunitarie, il carattere predatorio della finanza internazionale, la perdita di status e benessere appena acquisito, la mancanza di futuro per i figli, l'assenza di certezze su un recupero in tempi certi o vicini. Il populismo offre la possibilità di esprimere le passioni tristi che si sono accumulate, il risentimento, l'invidia, la rabbia, la disperazione, la perdita di voce. E di immaginare un rapido, imminente travolgimento del vecchio e corrotto universo politico-istituzionale. Il futuro resta del tutto indefinito, ma non importa, la speranza ora è principalmente nella pars destruens : fare piazza pulita e avere un nuovo inizio. Tutto ciò, ben inteso, è possibile nel vuoto programmatico e ideale della ex-sinistra, che in questo senso non offre più una sponda alla domanda di risarcimento e di giustizia.
Il populismo (in Europa) è sempre il segnale di un deficit democratico e di una miseria di prospettive sociali ed economiche, il venir meno di speranze ragionevoli e il subentrare di una disperazione che nel quadro attuale non si può neppure esprimere che come l'illusione di una fuoriuscita. Il populismo ha le sue ragioni che solo la critica dell'Europa reale può comprendere. È un rischio grave per le democrazie più fragili e in particolare per noi, alle prese con un sistema politico de-costruito, incapace e ampiamente delegittimato. Questa auto-incapacitazione della politica rende il populismo legittimo e virulento. E ci lascia non solo con la mancanza di alternative strategiche, ma anche con uno chiasmo rischioso tra popolo e istituzioni, che al momento nessuno sa come ricucire. Lo stesso decisionismo e occasionalismo renziano contengono una forte carica anti-istituzionale e insieme un miraggio di sbocchi e di sblocchi. L'Italia è un paese di ciechi guidati da ciechi.
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