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L’alba del Renzismo
Renzismo in arrivo/8 L'ascesa di Renzi è avvenuta con la retorica del “nuovismo” – la promessa di una “grande riforma” al mese – e in questo Renzi ripercorre le orme di Tony Blair
L’ascesa di Matteo Renzi a Palazzo Chigi inaugura una nuova fase della politica italiana. È avvenuta attraverso un colpo di palazzo, e in questo il giovane Renzi si è rivelato un genuino erede della vecchia Democrazia cristiana. È avvenuta attraverso una personalizzazione estrema dell’azione politica, con il sostegno unanime di giornali e televisioni, e in questo Renzi si presenta come continuatore dello stile di Silvio Berlusconi, ricevendone l’investitura dal suo impero mediatico. È avvenuta con la retorica del “nuovismo” – la promessa di una “grande riforma” al mese – che nasconde il vuoto di contenuti, e in questo Renzi ripercorre le orme di Tony Blair quando prese la guida del New Labour e del governo britannico.
Queste tre eredità sono alla base del progetto politico espresso da Renzi e riflettono bene il blocco di interessi che il nuovo leader rappresenta. Il ceto medio conservatore dell’Italia profonda, il mondo delle imprese protette dallo stato, con la rendita immobiliare in testa, la finanza internazionale della City e la sua agenda liberista.
La via che Matteo Renzi percorre, salendo al Quirinale per avere l’investitura a premier, è lastricata di successi. Ha “rottamato il vecchio” nel Pd, dove non ci sono ormai che flebili. Ha un accordo di ferro con Berlusconi – “resuscitato” proprio da lui – sulle riforme della legge elettorale e della Costituzione, garanzia di un governo di legislatura, al di là del perimetro ancora variabile della sua maggioranza parlamentare. Ha l’appoggio di Confindustria in casa e della grande finanza oltre i confini, che gli ha regalato spread in calo e rating in rialzo.
Ma il suo capolavoro è l’immagine di dinamismo che trasmette, la promessa di una possibilità di cambiamento anche nella “palude” in cui si è trasformata l’Italia. Ci hanno creduto i due milioni di elettori Pd che l’hanno scelto nelle primarie. Ci credono molti giovani, esasperati dall’immobilità del paese. Ci potrebbero perfino credere un po’ imprese e banche, che potrebbero tornare a investire regalandogli una mini-ripresa dell’economia. Forse ci crede lo stesso Renzi, che pensa di avere i margini per grandi operazioni – un reddito minimo o un taglio delle tasse – e di poter sforare il vincolo del 3% nel rapporto tra deficit pubblico e Pil. I risultati del suo governo andranno valutati nel merito, ma la sua via resta cosparsa di trappole: quelle della “vecchia politica” italiana – riemerse in questi giorni – e della rigidità della politica europea, che potrebbe azzerare i suoi margini di manovra.
Dove potrà condurci allora quest’“uomo solo al comando”? Nel suo documento per il congresso Pd Renzi aveva promesso di “superare l’austerity come religione”. Ora si dice che prima bisogna fare riforme e tagli. Ma perseverare nell’austerità – lo sappiamo da sei anni – significa aggravare la depressione e scivolare sempre più ai margini dell’Europa. Verso un paese dove si taglia la spesa sociale e si rinuncia ai diritti del lavoro: le riforme qui sono quelle tentate e non riuscite al Berlusconi che voleva la libertà di licenziare e al Monti che voleva il contratto unico precario; la stessa agenda ora, invece di scatenere proteste di massa prima e scetticismo poi, viene accolta con sollievo anche da chi ne verrà colpito. Quanto ai nuovi posti di lavoro, non li hanno creati oggi i bassi salari e difficilmente li creerà domani l’entusiasmo per il Jobs Act.
E la politica? La promessa è quella di gestire lo stato come una città, e di gestire il comune come un’azienda. Il sollievo di meno burocrazia, meno regole per un paese che non le rispetta, più privatizzazioni che non ci hanno mai regalato più efficienza. Più che rovesciare i vent’anni di declino economico dell’Italia – alimentati dalle politiche di Berlusconi come del centro-sinistra – il Renzismo potrebbe diventare il modello per gestirlo. Potrebbe dare governabilità al paese, rassicurare la finanza, proteggere i privilegi del dieci per cento più ricco e sventolare promesse per il novanta per cento che sta peggio di prima. Il Renzismo potrebbe inaugurare la “terza repubblica”, e mettere in un angolo la democrazia.
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