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L'austerità è tossica

26/09/2014

L'età della depressione/Le politiche per l'austerity producono un'inevitabile caduta del Pil e dell'occupazione, creando un aumento del rapporto fra debito e Pil

Le analisi di Joseph Stiglitz, presentate nelle pagine precedenti, che interamente condivido, sono un ottimo punto di partenza per capire che cosa occorre fare oggi in Italia e in Europa. La prima cosa da sottolineare è che le politiche di austerità sono autolesioniste e essenzialmente dannose. Esse producono un'inevitabile caduta del Prodotto interno lordo (Pil) e dell'occupazione, ed hanno come risultato un aumento del rapporto fra debito e Pil, cioè proprio quella frazione che si intende ridurre ! Ciò per effetto delle dimensioni del «moltiplicatore»: un taglio della spesa pubblica di un euro riduce il prodotto nazionale molto più di un euro. Non si tratta di effetti collaterali o di breve periodo, ma di effetti strutturali delle politiche di austerità in presenza di una crisi di domanda. Se è così, come ormai è riconosciuto dalla maggior parte degli economisti a livello internazionale, il dibattito che sta andando in scena in Italia in merito alla possibilità di "sforare" di una frazione di punto percentuale i vincoli di bilancio europei appare alquanto patetico: somiglia ad una discussione sulla quantità giusta da prendere di un veleno di cui è perfettamente nota la tossicità. Al contrario, la discussione sulla crisi economica in Italia sta proseguendo come se ci trovassimo nel mezzo di una crisi da offerta. E in più, tale crisi da offerta viene associata alla dimensione eccessiva dei costi, con un esplicito riferimento ai costi del lavoro, il cui peso starebbe scoraggiando gli investimenti. L'ovvia conclusione è che riducendo i costi del lavoro si favorirebbe lo sblocco degli investimenti. Si tratta di una lettura profondamente errata, senza alcun fondamento empirico : gli investimenti sono essenzialmente determinati dalla domanda e dalle opportunità innovative. Intervenire sulle opportunità innovative è importantissimo, ma gli effetti richiedono tempo. Sulla domanda si può intervenire subito. Invece in Italia si continua a discutere in modo scellerato di abolizione dell'articolo 18, misura che, se attuata, e se efficace nell'aumentare ulteriormente la flessibilità del mercato del lavoro, avrà effetti negativi sull'economia. Effetti che oltre alla loro dimensione economica - identificabile in un ovvio impatto di riduzione dei consumi - hanno anche una dimensione sociale almeno altrettanto importante in termini di insicurezza sociale e senso di dignità e identità del lavoro.

Ma se l'austerità fa male, che cosa si potrebbe invece fare? Stiglitz ha illustrato le politiche diverse che occorrerebbe realizzare in Europa. Sarebbero misure essenziali, ma noi non siamo tedeschi e non abbiamo diritto di voto in Germania, dove fino ad ora si sono decise e politiche per tutta l'euro-Europa. Allora che cosa è possibile fare qui?

La prima cosa da fare è quella di non considerare più il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil come una specie di inviolabile legge di natura. Ma smettere di accettare il vincolo implica una volontà credibile di contemplare la possibilità di ristrutturare il nostro debito pubblico, sia in termini di allungamento delle scadenze, che di hair cutting (cioè di taglio sul valore del capitale da restituire alla scadenza). Una reale credibilità della minaccia di ristrutturazione unilaterale del debito pubblico italiano potrebbe fungere da stimolo all'adozione di quelle misure - come l'introduzione degli Eurobond o un programma di investimenti pubblici - che appaiono indispensabili ma sotto veto tedesco. Si tratterebbe di una minaccia credibile perché le dimensioni del debito pubblico italiano renderebbero una sua brusca e unilaterale ristrutturazione capace di portare l'intero sistema finanziario internazionale nel precipizio. L'Italia è "too big to fail" e, inoltre, occorre ricordare che l'Italia ha un attivo primario (cioè al netto degli interessi pagati, il bilancio pubblico è in attivo e quindi senza impellenti necessità di rivolgersi ai mercati finanziari).

Dove andrebbero spese le risorse pubbliche volte alla ripresa dell'economia europea? Keynes sosteneva che piuttosto che abbandonarsi all'inazione meglio sarebbe stato scavare delle buche per poi riempirle. Più strategicamente, quello che sarebbe necessario oggi in Europa è un vasto piano di politica industriale composto da grandi progetti "mission oriented". Allo stato attuale sembra che l'unico progetto "mission oriented" esistente in Italia vada a sostenere l'industria bellica americana con il programma di acquisto dei cacciabombardieri F35 (che peraltro sono anche un fallimento tecnologico-militare). Invece occorrerebbe iniziare ambiziosi progetti nel campo dell'ambiente, della sanità, del welfare.

E la tassazione? Occorre smitizzare l'idea che la tassazione è mediamente troppo alta. E' insopportabilmente alta sui redditi medio-bassi, ma la media non è niente di scandaloso. E' necessario un piano di tassazione, sia sui redditi che sulle transazioni finanziarie, volto alla redistribuzione e non alla restituzione del debito. Misure redistributive di questo tipo avrebbero anche un evidente impatto positivo sui consumi, la crescita e l'occupazione.

Vi sono infine cose che non vanno assolutamente fatte. Una di queste è l'Accordo transatlantico di libero scambio tra l'Europa e gli Stati Uniti (TTIP). Accordi come questo minano la capacità politica degli stati, in particolare in materia di politica sociale, industriale e dell'ambiente. Di fatto si tratta di accordi che privatizzano la politica. Accordi di questo tipo sono tossici quanto lo sono le politiche di austerità che si stanno portando avanti in Europa.

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