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Clima 2030, l'ultimo errore dell'Ue
Cambio di stagione/Nelle proposte presentate alla vigilia del voto di maggio l'unico obiettivo vincolante è il 40 percento di riduzione di CO2
La Commissione ha presentato lo scorso 22 gennaio un pacchetto di proposte non legislative che erano molto attese. Su quella base i capi di stato e di governo discuteranno a fine marzo se approvare o no questo orientamento mentre il Parlamento europeo, il 5 febbraio, si è schierato per obiettivi vincolanti: aumento delle energie rinnovabili, aumento di efficienza energetica e diminuzione delle emissioni di CO2. Poi, dopo le elezioni inizierà l'iter legislativo, sulla base di proposte che arriveranno a settembre. Si tratta in sostanza di decidere che modello energetico avrà l'Europa dopo il 2020; e, quindi, anche di capire come si presenterà l'Ue ai negoziati internazionali sui cambiamenti climatici che a Parigi nel 2015 determineranno una svolta positiva a favore di un grande accordo vincolante o l'abbandono di una strategia globale sul clima.
La proposta della Commissione prevede un solo obiettivo vincolante al 40% per la riduzione di CO2 che poi si dovrà tradurre in obblighi di riduzione nazionali, un obiettivo europeo del 27% che è misteriosamente vincolante a livello europeo, ma non vincolante a livello nazionale per le rinnovabili e nessun obiettivo per l'efficienza energetica, che dovrà aspettare la revisione della relativa direttiva nel giugno prossimo per essere discusso.
Ma cosa vogliono dire, davvero, questi numeri? Tre cose, tutte e tre molto negative. Innanzitutto, con questa proposta la Commissione rinuncia a un ruolo di guida nella lotta ai cambiamenti climatici e lascia la politica energetica europea alla scelta dei governi. Contrariamente al 2007, non sceglie; anzi: a Barroso le energie rinnovabili non appaiono più una scelta strategica da incentivare e spingere, come appare chiaro dalle sue dichiarazioni secondo le quali le rinnovabili «non sono un obiettivo in sé»: non è necessario scegliere a livello europeo fra gas, petrolio, "carbone pulito", nucleare. Che lo facciano gli Stati membri, l'Ue smetterà perfino di "suggerire". In secondo luogo, segnalano che non c'è alcuna fretta per realizzare l'impegno di limitare a 2 gradi il riscaldamento del pianeta e che si possono allungare i tempi, naturalmente per via della crisi. Infatti, l'obiettivo al 40% di riduzione delle emissioni di CO2 non presuppone alcuno sforzo particolare, dato che già oggi si prevede che al 2020 saremo a -27%. Noi sappiamo, però, che per mantenere l'aumento della temperatura entro i 2 gradi, come l'Ue si è impegnata a fare, dobbiamo ridurre le emissioni dell'80/90% entro il 2050 e del 55% entro il 2030: questa decisione è quindi un pessimo segnale in vista della Cop di Parigi nel 2015. Inoltre, se dal 2020 entrerà in vigore il nuovo schema di obiettivi di consumo delle energie rinnovabili non più vincolante, perché i numerosi Stati membri oggi in ritardo (come il Regno Unito) dovrebbero affrettarsi? Non c'è più alcuna sanzione possibile! In terzo luogo, le decisioni della Commissione rivelano la sottomissione agli argomenti di Cameron e delle lobby energetiche e la totale disattenzione per le scelte dell'unico organismo democraticamente eletto della Ue, il Parlamento europeo, che ha preso una posizione decisamente più ambiziosa e che comunque ha un potere di decisione diretto sulle future normative.
Argomenti, peraltro, largamente smentiti dai fatti e dagli stessi studi della Commissione europea. Ad esempio, non è vero, come Squinzi e l'ex ministro Zanonato hanno ripetuto, che i prezzi dell'energia sono più alti in Europa per via degli incentivi alle rinnovabili; in realtà il prezzo dell'energia dipende in maniera prevalente dagli alti costi dei carburanti fossili che ci tocca importare (oltre 500 miliardi di euro nel 2012). Non è vero che le aziende degli Stati Uniti hanno un sistematico vantaggio di prezzi per via del miracoloso shale gas, per la semplice ragione che gli europei sono molto più efficienti e usano meno energia che i loro colleghi americani. Come vanno ripetendo la Iea e l'Ocde, l'opzione più salutare per la competitività dell'industria europea è puntare su rinnovabili ed efficienza: per ridurre la dipendenza dai fossili e allo stesso tempo puntare su tecnologie avanzate e nuovi settori di attività economica, che approfittano, invece di subire, dei cambiamenti climatici e della scarsità di risorse. Non è quindi necessario mettere in contrapposizione clima e sviluppo economico. Anzi. Obiettivi ambiziosi nel campo delle rinnovabili porterebbero, (la Commissione europea dixit) a 500.000 posti di lavoro in più rispetto a un solo obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni. E un milione e mezzo di posti di lavoro diretti l'anno sarebbero creati con obiettivi ambiziosi di efficientamento energetico. Ma non tutto è perduto. A luglio un nuovo presidente della Commissione verrà nominato. C'è ancora tempo e modo per invertire la rotta e riprendere la strada di un vero e proprio Green New Deal.
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