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Le quattro variabili per cambiare rotta

19/12/2014

Fine semestre/ Un cambiamento della politica tedesca, una coalizione di forze tra i paesi del sud Europa, la vittoria delle sinistre in Grecia e Spagna, misure forti della Bce

Il semestre di presidenza italiana a Bruxelles sta per scadere e certamente Matteo Renzi e i suoi hanno brillato per la loro irrilevanza. In particolare, la riforma dei meccanismi dell’eurozona non ha trovato alcuna possibilità di essere affrontata seriamente. Le ultime previsioni della BCE non appaiono certo esaltanti; indicano un andamento del Pil e dell’inflazione anche peggiori delle già non brillanti stime precedenti. Intanto il tasso di disoccupazione nell’area raggiunge l’11,5%.

Tutto quello che Bruxelles riesce a mettere in campo per contrastare la depressione dell’economia è il deludente piano Juncker, che non ha raccolto molti consensi neanche negli ambienti più ben disposti. E lo stesso Junker minaccia intanto Francia e Italia di conseguenze molto spiacevoli se tali paesi non si conformeranno rapidamente a quanto si decreta a Bruxelles (e a Berlino).

In mancanza di un forte cambiamento di rotta, la prospettiva più probabile appare la chiusura a caro prezzo dell’esperimento della moneta comune. Che cosa potrebbe accadere per arrivare ad una svolta che impedisca questa implosione dell’euro?

Le variabili che possiamo considerare sono quattro: un mutamento nella politica tedesca, una coalizione di forze tra i paesi del Sud Europa, la vittoria in Spagna e in Grecia di governi di sinistra, misure forti per sostenere l’economia prese dalla BCE. Sullo sfondo, inoltre, ci sono elementi che farebbero pensare alla possibilità di un qualche miglioramento: i bassi tassi di interesse, la diminuzione del prezzo del petrolio, l’indebolimento del tasso di cambio dell’euro nei confronti del dollaro. Tali elementi, da soli, non sembrano in grado di ribaltare una situazione molto difficile; la riduzione del prezzo del petrolio d’altro lato potrebbe avere effetti deflazionistici rilevanti.

1. Per quanto riguarda la politica tedesca, le decisioni in cui sperare sono almeno due: da una parte che il paese abbandoni la sua politica di sviluppo centrata sulle esportazioni e punti molto di più sulla crescita del mercato interno, ciò che potrebbe portare benefici a tutta l’eurozona; dall’altra parte Berlino dovrebbe dare il via libera all’allentamento delle politiche di austerità nell’eurozona. Le probabilità di una svolta tedesca appaiono limitate. In patria la Merkel appare persino come una moderata e deve far fronte all’opposizione di molti ambienti finanziari e politici che ritengono la sua politica troppo accomodante verso l’Europa e verso la BCE, mentre avanza nel paese il partito degli euroscettici. L’SPD, da parte sua, appare sostanzialmente allineata alla Merkel per quanto riguarda la politica verso l’eurozona e non spinge per cambiare politica.

2. Qualcosa potrebbe mutare anche nell’atteggiamento tedesco se l’economia continuasse a peggiorare all’interno e/o se Podemos in Spagna e Syriza in Grecia riuscissero – cosa che presenta oggi una qualche probabilità – ad andare al governo l’anno prossimo. I programmi dei due partiti, pur richiedendo un forte mutamento nelle politiche dell’eurozona, appaiono piuttosto flessibili, ma è difficile valutare se una loro affermazione potrebbe aprire la strada a una linea più ragionevole di Bruxelles e di Berlino. Più probabilmente, Atene e Madrid si troveranno a subire pressioni tremende da parte degli altri partner e dei mercati finanziari, con un aggravamento dell’instabilità in Europa.

3. Improbabile appare, d’altro canto, la possibilità che gli attuali governi dei paesi del Sud Europa, compresa la Francia, costruiscano un’alleanza e chiedano insieme un ribaltamento delle politiche europee. Né c’è da sperare che tale evento si produca in caso di vittoria elettorale delle sinistre in Grecia e Spagna. Eppure sarebbe questo il ruolo naturale che Francia e Italia potrebbero svolgere.

4. Per quanto riguarda la BCE, il suo programma di Quantitative Easing – ammesso che Draghi riesca a portarlo avanti, viste le opposizioni all’interno dell’istituto – appare limitato e potrebbe avere scarsi effetti. I responsabili della banca sostengono che il bilancio della BCE dovrebbe arrivare sino a 1000 miliardi di euro e, seguendo le stime più accreditate in proposito, nel caso più estremo la BCE potrebbe mobilitare 500 miliardi di euro per acquistare titoli pubblici. Ma bisogna considerare che il totale di tali titoli presenti sul mercato è pari a 9000 miliardi di euro. Quello che servirebbe – lo sostiene anche Wolfgang Muchau sul Financial Times – sarebbe un piano di 2000 miliardi. È molto difficile che questo si realizzi, vista l’ostilità tedesca e di altri membri della BCE. Ed è molto difficile che questo abbia efficacia: in assenza di domanda da parte del sistema produttivo, anche la liquidità fornita dalla BCE alle banche con l’acquisto dei titoli pubblici difficilmente potrebbe trasformarsi in erogazione di credito e nuovi investimenti.

A fine 2014, il quadro europeo non appare confortante. Ma forse ci sono altre forze all’opera che non riusciamo a vedere e le novità che potrebbero manifestarsi su questi quattro fronti potrebbero essere più importanti. Speriamo.

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