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Quando la finanza investiva nella produzione

14/02/2014

Banche da legare/6 Nel miracolo italiano la finanza, che allora non era puramente speculativa ma investiva nelle imprese, ricoprì un ruolo decisivo

È una mia opinione, ma ben più che il New Deal di Roosevelt fu la seconda guerra mondiale con le sue immense distruzioni e milioni di morti a far uscire il capitalismo dalla pesante crisi del 1929 e produrre i vari "miracoli", tra i quali quello italiano. In questo miracolo italiano un ruolo importante, direi decisivo, ebbe la finanza, che allora non era puramente speculativa come adesso (fare denaro con denaro), ma investiva nelle imprese produttive, o, addirittura, le creava. I protagonisti di questa vecchia finanza produttiva sono ancora ricordati e celebrati.

Penso a Cuccia, principe indiscusso di Mediobanca, a Mattioli della Banca commerciale, a Menichella, governatore di Bankitalia, a Beneduce capo dell'Iri (che oggi sarebbe quanto mai necessario) e tra i banchieri di allora ricorderei anche il mio amico Nerio Nesi. Allora – ripeto – le banche non investivano nelle banche o nei pericolosi derivati, ma nella produzione e in quella stagione grande fu la crescita di piccola e media industria. Come non ricordare i nomi di imprese prestigiose che oggi non ci sono più o sono emigrate: pensiamo solo alla Fiat. È il capitale finanziario quello che molti anni fa ci è stato illustrato da Rudolf Hilferding nel suo Il capitale finanziario , pubblicato da Feltrinelli con l'introduzione del bravissimo e dimenticato Giulio Pietranera.

Per tutto questo, pensare che la vecchia finanza fosse buona e quella di oggi cattiva sarebbe sbagliato: è cambiata la fase storica e siamo in una crisi epocale. È passato il tempo in cui crescevano occupazione e imprese. Montecatini, Edison, Montedison non ci sono più. Pensiamo alle imprese automobilistiche, alla Fiat che aveva inglobato Lancia e Alfa Romeo: tutto in Olanda e Inghilterra. Sarebbe lunghissimo l'elenco delle imprese scomparse e delocalizzate. Certamente negli anni cinquanta e sessanta c'era una finanza benigna, ma non possiamo cavarcela dicendo che la finanza è diventata cattiva. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla crisi globale che sta investendo tutta l'economia, non solo quella italiana. Ma anche la vecchia finanza virtuosa non durò a lungo. Cominciarono scalate e imbrogli quasi delittuosi. Vale ricordare che le banche francesi si impadronirono della Banca Nazionale del Lavoro. E, ancora peggio, va ricordato l'intervento di Michele Sindona e lo scandalo pesante del Banco Ambrosiano con la morte, a Londra sotto il ponte dei Blackfriars del banchiere Roberto Calvi. Ma adesso che fare? Spargere lacrime sulla vecchia e generosa finanza non servirebbe a niente e direi che non avremmo neppure i fazzoletti per asciugarle. Io credo che dovremmo leggere la lezione del passato e ricordare che in quella crescita decisivo fu l'Iri, cioè l'intervento dello Stato e un blocco alle privatizzazioni in corso. Si tratta di affrontare questa crisi con l'intervento pubblico e con il netto rifiuto dell'austerità: aver messo in Costituzione il pareggio di bilancio è precludersi ogni avvenire, è delittuoso. Siamo in una situazione nella quale la conclamata virtù del risparmio diventa una pratica suicida.

NB. Per chi voglia approfondire la questione raccomando la lettura dei due volumi del Ciriec Protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, pubblicati da Aragno Editore.

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Commenti

il problema sono l erisorse

Il problema si chiama "capitalismo"? Il problema si chiama "risorse".
Caro Valentino Parlato, come dici giustamente "pensare che la vecchia finanza fosse buona e quella di oggi cattiva sarebbe sbagliato". Sbagliato e, aggiungo, tremendamente ingenuo. Ma allora che cos'è stato a far si che, ad un certo punto, la "finanza benigna" degli anni '50-'60, quella che investiva nella produzione, quella dei Mattioli, Menichella, Nesi, ecc., quella del tempo in cui "crescevano occupazione e imprese" e che, nelle ultime righe del tuo articolo, giungi a definire "generosa" (!), si sia trasformata nella finanza "maligna" di oggi, quella puramente speculativa, che investe solo nei derivati e "crea denaro con denaro"? Ed in ragione di che cosa la fase storica odierna differisce da quella di ieri? Siamo stati colpiti da un'epidemia di "finanziarite acuta"? Il pianeta Terra ha attraversato una nube di vapori galattici che ha selettivamente trasformato i banchieri "virtuosi" di ieri in quelli scaltri e spietati di oggi (intanto che tutti noialtri rimanevamo più o meno scemi allo stesso modo)? Mi sembra francamente poco credibile. Il fatto è che, ad un certo punto (che possiamo grosso modo collocare fra gli anni'70 ed '80), le risorse materiali su cui si basava (e si basa tuttora) lo "sviluppo" della cosiddetta economia reale hanno cominciato a rarefarsi, hanno cominciato a diventare più costose e più difficilmente reperibili; hanno cominciato a non bastare più per i miliardi di persone che, nel frattempo, si erano aggiunte e si aggiungevano alla popolazione del pianeta. Masse di persone, soprattutto in Africa, Asia, sud-America, che non è stato più possibile trasformare in convenienti consumatori di lavatrici, automobili, vacanze a Rimini, ecc., come era invece stato gradualmente fatto per i popoli dei paesi euro-occidentali tra la fine dell'ottocento e, appunto, l'inizio degli anni '70. 'E allora che la finanza ha "capito" che investire nell'economia materiale non conveniva più e che, anzi, dal punto di vista del proprio dominio di classe, era molto pericoloso in quanto, in un quadro di scarsità di risorse, diventa cruciale accaparrarsi le poche che restano ed escludere tutti gli altri dall'accesso ad esse. 'E stato allora che si è posto fine alla "rivoluzione delle aspettative crescenti" (espressione degli anni '60) e che si è "scoperta" l'economia finanziaria pura (il "finanzcapitalismo" di Luciano Gallino), fittizia ed illusoria. Ed è stata la rarefazione delle risorse che la società industriale, nei precedenti 250 anni della sua esistenza aveva sfruttato, disperso e reso inutilizzabili (o sempre più difficilmente utilizzabili) la "causa prima" di tutto ciò. Poi, certo, il capitalismo è stato ed è la forma organizzativa che ha progettato e gestito tutto il processo, ed è sempre ad esso che dobbiamo cercare di opporci. Ma avendo ben chiare quali sono le ragioni del suo differente comportamento nelle diverse fasi storiche che si sono succedute: quella della (effimera) abbondanza dei "trenta gloriosi" e quella della "scarsità" dei nostri giorni. 'E, purtroppo, solo all'interno di questa intervenuta scarsità di risorse che possiamo combattere la nostra battaglia per una società equa ed egualitaria. Non capirlo può alimentare pericolose illusioni ed indirizzarci verso obiettivi errati.

protocollo politico

Sinistra, un partito che si richiami alle esperienze della classe operaia? Certamente, come premessa storica. La classe operaia ha potuto svolgere un'azione politica progressista perché il capitale aveva bisogno di un elevato numero di lavoratori, i quali, presa coscienza della loro consistenza contrattuale, erano riusciti a condizionare la politica del novecento.
Ora, il progresso tecnologico ha ridotto numericamente la classe operaia e mutato la composizione della società, ciò non toglie che tutte le classi lavoratrici, la popolazione, abbiano diritto ad usufruire della distribuzione equa del benessere prodotto.
Serve allora un protocollo di base al quale aderire per potersi definire di sinistra o per definire la sinistra.
1. L'industria finanziata da banche pubbliche che prestano il servizio a prezzo equo.
2. Lo stato provvede ai servizi, i privati alle imprese.
3. Piani programmatici di sviluppo.
4. I progetti delle imprese di grandi dimensioni soggetti a verifiche politiche.
5. Revisione della burocrazia e incremento del lavoro produttivo rispetto a quello passivo.
6. Esclusi conflitto di interessi doppi incarichi e clientelismo. Moralizzazione delle retribuzioni
7. Sanzioni severe per i reati dei funzionari pubblici.
8. Scuola superiore per la formazione dei funzionari pubblici.
9. Scuola privata senza oneri per lo stato. Retribuzione degli studenti pubblici.
10. Sospensione dall'incarico per chi ha processi in corso.
11. Progressività fiscale, semplificazione burocratica controllo dei controllori.
12. Riduzione progressiva dei capitali virtuali o fantasma. Il capitale non è una merce.
13. Sanità pubblica, privata senza oneri per lo stato.
14. Attuazione dello stato laico.
15. Informazione indipendente da capitali e poteri in conflitto con l'informazione.
16. Finanziamento dei partiti: privato con controllo pubblico.
17. Incremento dei redditi da lavoro: maggiore progressività fiscale, maggiore tassazione dei capitali e riduzione del divario tra minimi e massimi delle retribuzioni.
18. Reddito di cittadinanza.
19. Solo un'economia fondata sulla prevalenza del lavoro può consentire la ridistribuzione dei redditi e la stabilità economica.
Questo protocollo, buono o cattivo che sia, pone dei punti precisi alla politica in contrapposizione alla perdita di vista della realtà da parte della classe politica. Che essa si comporti così deliberatamente per interessi di casta o per il timore cambiamento radicale, poco importa. Il rischio è che poi appaia sulla scena un nuovo salvatore della patria che spazzerà comunque la classe politica, salvo che scenda un gradino ancora più in basso nella scala del compiacimento.
Chi si fa garante di un programma simile?
Quanti voti raccoglierebbe?

Gli strumenti finanziari di una nuova politica industriale


Caro Parlato nel nostro eBook www.economia.uniroma2.it/dedi/ebook-politiche-industriali/
Scriviamo che:
L’attuale situazione di tassi di interesse particolarmente bassi e di alti tassi di disoccupazione indica l’esistenza di abbondanti risorse inutilizzate e questo rende più basso del normale il costo del capitale e il costo di opportunità del lavoro.

Sono necessari nuovi strumenti nazionali e regionali di tipo finanziario, che operino dal lato dell’offerta di credito, attraendo maggiori fondi dalle banche e da operatori non bancari. Inoltre, dal lato della domanda di credito è necessario stimolare le decisioni di investimento delle imprese. Infatti, le istituzioni finanziarie dovrebbero svolgere un ruolo pro-attivo e sostenere gli investimenti già nella fase di ideazione e organizzazione dei relativi progetti, prendendo parte all’organizzazione delle fasi di ideazione, progettazione, pianificazione e realizzazione dei progetti di investimento innovativi.

In questa prospettiva, la creazione di una “Banca Nazionale di Sviluppo”, articolata per macro-regioni, fornirebbe alle amministrazioni pubbliche il supporto di analisi rigorose per individuare i progetti con i maggiori rendimenti tali da giustificare gli investimenti prioritari. Tale banca potrebbe emettere obbligazioni finalizzate a promuovere la “rinascita industriale nazionale”, che siano in grado di attirare il risparmio dei cittadini pur offrendo un tasso di interesse minore, da un lato per la percezione di un rischio minore data la maggiore prossimità degli investitori ai luoghi dell’investimento stesso e dall’altro per la valutazione “etica” che i cittadini darebbero a tali investimenti in termini di ricaduta positiva sullo sviluppo economico dell’area in cui risiedono.