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Il fratello di Prometeo/1

08/07/2011

La condotta delle maggiori economie mondiali dai tempi di Bretton Woods alle attuali condanne delle agenzie di rating. Pubblichiamo la prima parte di un articolo di Sergio Bruno. Che sostiene: siamo passati dalla cultura di Prometeo (“colui che riflette prima”) a quella del suo maldestro fratello Epimeteo (“colui che riflette dopo”)...

Che potremmo fare, noi di Sbilanciamoci, all’indomani della nostra ipotetica vittoria alle prossime elezioni? Nonostante le tante proposte, anche recenti, della rivista, direi che non ci si possano fare molte illusioni, a parte ristabilire – e non è poco – un clima di etica, di giustizia e, non ultimo, di buon gusto, oltre che correggere – ma senza grandi impegni di spesa – la maggior parte possibile dei danni prodotti dall’amministrazione Berlusconi. Davvero poco potremmo fare per affrontare i problemi connessi allo sviluppo: per l’occupazione, per la soluzione dei problemi del precariato, per pensioni sociali e sanità, per la ricerca. La ragione di questa sostanziale irrilevanza della sovranità politica sta nei ristretti margini in cui si muovono le politiche di bilancio. In un articolo di qualche settimana fa (“Tutto cominciò con undivorzio”) ho ricondotto ciò agli effetti cumulativi di un percorso perverso avviato negli anni '80 del Novecento con la cessione alle banche centrali del potere statuale di signoraggio monetario. Il problema è stato ulteriormente chiarito da Luciano Gallino (“La crisi greca e le colpe della Ue”; ma si veda anche il suo recente libro “Finanzcapitalismo”).

È relativamente facile vedere nel venir meno della sovranità politica e nell’acquiescenza delle leadership politiche europee ai diktat delle tecnocrazie internazionali (Fmi, Bce, Commissione europea) e delle agenzie di rating un fattore capace di condurre all’emergere di spinte alla disgregazione dei fattori di cooperazione e solidarietà europea. La condotta politica delle economie occidentali è passata dalla lungimiranza cooperativa di Bretton Woods alla miopia, ottusa e conflittuale di oggi. Siamo passati dalla cultura di Prometeo (“colui che riflette prima”) a quella del suo maldestro fratello Epimeteo (“colui che riflette dopo”). È utile meditare su come sia stato possibile questo slittamento progressivo.

 

La conferenza di Bretton Woods è del luglio 1944, a guerra non ultimata. Il tema della conferenza era la promozione del commercio internazionale e a tal fine della stabilizzazione dei cambi, nella convinzione, ben interpretata dall’allora segretario di stato americano Cordell Hull e da Roosevelt, che le rivalità economiche internazionali non regolate da spirito cooperativo fossero il focolaio delle guerre armate. Il clima culturale era quello rooseveltiano (e keynesiano): atteggiamento favorevole verso mercati e scambi, all’interno di un sistema di regole e di attività di coordinamento pubbliche e di interventi pubblici attivi complementari al mercato; il ruolo sovraordinato del soggetto pubblico, ben collaudato dall’esperienza bellica ancora in corso, era fuori discussione; il governo inglese e quello statunitense stavano già (da almeno un paio di anni) pensando (e studiando) le problematiche connesse al passaggio dalle economie di guerra alle economie post-belliche (ciò che avrebbe partorito il Piano Marshall, un mirabile marchingegno finanziario-organizzativo di sostegno specifico della produzione reale). Keynes, grazie a una serie di proposte convincenti, si era guadagnato dal governo Churchill la nomina a capo della delegazione britannica. Secondo H. D. White, il capo delegazione Usa, “... l’assenza di un elevato grado di collaborazione economica tra le nazioni leader sfocerebbe inevitabilmente in una guerra economica che non sarebbe che il preludio e il fattore di istigazione di una guerra militare di scala ancor più vasta”.

 

Nonostante questa concordanza di prospettive di fondo e il comune atteggiamento lungimirante, le tesi di Keynes vennero sconfitte in due strategici dettagli, imposti più che da White dall’acquisita egemonia della potenza nordamericana. La tesi di Keynes era che dovesse essere istituita una banca capace di creare moneta di riserva a livello internazionale (l’idea di Keynes era di chiamarla Bancor) e intervenire attivamente in caso di squilibri negli scambi. Inoltre i criteri d’intervento, comunque limitativi delle sovranità nazionali, erano ispirati da una logica “a tenaglia”: i paesi in disavanzo commerciale o che avessero avuto altre forme di debolezza avrebbero potuto ottenere prestiti condizionati a comportamenti favorevoli a sviluppo e libero scambio, ma anche quelli in avanzo sarebbero stati vincolati: essi avrebbero infatti dovuto praticare politiche rivolte alla espansione dei consumi, capaci di garantire sbocchi adeguati alle esportazioni dei paesi in disavanzo. La ragioni di questa doppia lama derivavano dalla consapevolezza, da parte di Keynes, che interventi operati solo sui paesi deficitari avrebbero esercitato pressioni recessive e deflazionistiche sull’economia mondiale.

 

Le priorità statunitensi erano altre, oltre a quella (condivisa) della stabilità dei cambi al fine di agevolare il commercio internazionale. Gli Usa, in particolare, preferivano vedere il dollaro quale moneta di riserva e fornitore della liquidità internazionale necessaria. Prevalsero gli orientamenti americani. Fu creato l’International Monetary Fund (Fmi), le cui capacità di prestito sarebbero dipese da quote sottoscritte dai paesi membri (escludendo quindi creazione diretta di strumenti monetari). Il ruolo di promuovere lo sviluppo fu attribuito (con un ruolo minore e più microeconomico, ma sempre comunque con strumenti monetari derivati) alla International Bank for Reconstruction and Development (Ibrd, cui si fa riferimento ellittico, nell’uso comune, come World Bank, Banca mondiale). Passò l’idea di condizionare la sovranità dei paesi destinatari dei prestiti ma non quella dei paesi forti.

 

Gli esiti di queste decisioni hanno pesato incisivamente sugli sviluppi successivi. Far funzionare una moneta specifica come moneta di riserva dava certamente vantaggi iniziali, sia economici che (nel successivo clima di guerra fredda) politici, agli Usa. A lungo andare tuttavia sarebbero emerse delle contraddizioni tra la politica monetaria nazionale, rivolta agli obiettivi interni, e la politica monetaria globale, come posto in evidenza da Robert Triffin fin dal 1960. I fatti si incaricarono di dar ragione a quest’ultimo; si passò per una serie di congiunture critiche che sfociarono nella sospensione della convertibilità del dollaro in oro (il “Nixon shock” dell’Agosto del 1971), che segnò in pratica la fine degli originari accordi. Le tecnocrazie da essi partorite tuttavia restarono in piedi e vitali, mentre le quote nazionali dell’Fmi vennero ridefinite in Diritti speciali di prelievo (Sdrs), in pratica in termini di un paniere di monete.

 

Da ultimo infine si sta dimostrando che la maggior parte delle idee di Keynes erano corrette e lungimiranti. Il 13 aprile 2010 un rapporto dello Strategy, Policy and Review Department dell’Fmi (stimolato da un discorso per molti versi “scandaloso” di Zhou Xiaochuan, Governatore della Banca popolare cinese, del marzo 2009) concludeva riproponendo la banca globale e l’istituzione del Bancor, sia pure con passaggi graduali facenti leva sul potenziamento degli Sdrs. Fatti, questi, scarsamente enfatizzati dai media.

 

Minore riflessione critica vi è stata sull’indicazione di Keynes dell’esigenza di bilanciare gli interventi restrittivi con l’imposizione di responsabilità, per i paesi forti, nell’espandere consumi e importazioni. Conseguenza di ciò è che l’Fmi, seguìto con sfumature diverse dalla “cugina” Banca mondiale, fin dall’inizio del suo operare ha condizionato la concessione di prestiti a Programmi di aggiustamento strutturale (Structural Adjustment Programs, Saps). Per soggetti chiamati a favorire il commercio internazionale e a rimuovere i fattori d’instabilità monetaria erogando prestiti prevalentemente a paesi in via di sviluppo, sia pure ricchi di materie prime ma afflitti da insufficiente capacità imprenditoriale, era abbastanza naturale disegnare gli interventi sulla base di principi riguardati come favorevoli al mercato e limitanti la discrezionalità nella sfera del bilancio pubblico e della creazione di moneta. Questo ruolo di “valutatore” d’intere economie innescava tuttavia un processo dinamico complesso e sfaccettato:

 

(a) Le Banche centrali e le varie istituzioni internazionali, del tutto giustamente, reclutavano funzionari con potenzialità di élite, stabilendo rapporti stretti con le più prestigiose università; le istituzioni internazionali stabilivano rapporti stretti con le banche centrali, non solo perché queste erano chiamate nei loro vertici a cooperare con i vertici dell’Fmi (i “vice” dei ministri del Tesoro nazionali nel Board erano per lo più i Governatori delle banche centrali), ma attraverso la circolazione dei propri funzionari. Si creava in tal modo un ambiente culturale omogeneo, dotato di immensi mezzi, prestigioso;

 

(b) le guidelines per le valutazioni e le prescrizioni, per molti versi procedurali e tecniche ma per altri di sostanza politica, venivano elaborate in questo ambiente, mentre i governi, che nel frattempo si andavano deprivando di proprie e autonome capacità di elaborazione in materia economica, perdevano gradualmente il controllo in materia. Il fenomeno era favorito, dal lato delle istituzioni internazionali, dal fatto che si dovesse stabilire una relativa omogeneità nei principi di valutazione dei diversi paesi che richiedevano prestiti. Si sviluppavano quindi criteri e procedure standardizzate per le missioni di valutazione. Si costruiva in tal modo una sorta di egemonia, quando non di monopolio culturale delle istituzioni stesse nel campo delle valutazioni, sia micro che macroeconomiche;

 

(c) poiché molte istituzioni monetarie e finanziarie e grandi banche operanti a livello internazionale ricorrevano alle agenzie di rating per operazioni in paesi sottosviluppati, queste da un lato emulavano gli standard di valutazione di Fmi e Banca mondiale, dall’altro vedevano salire il loro ruolo e la loro credibilità, a dispetto degli intrecci di interesse che le legavano ad altri clienti paganti, estendendo progressivamente le proprie valutazioni agli stessi paesi avanzati.

...continua...

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Commenti

Il nuovo sistema monetario internazionale c'è già

Triffin vide giusto nel pronosticare la fine del sistema di Bretton Woods. La "visione" di Triffin era - in estrema sintesi - la seguente : a livello nazionale la moneta fiduciaria (banconote) ha completamente e silenziosamente e definitivamente sostituito la moneta merce (monete d'oro e d'argento). Triffin scriveva queste cose negli anni sessanta : ora - diceva - è il turno della moneta internazionale che è ancora (col paravento del gold exchange standard) l'oro. L'oro dovrà essere sostituito da una moneta fiduciaria internazionale, regolata da una "banca centrale" mondiale : riprendeva così, in buona sostanza, la impostazione di Keynes. E qui sbagliava, lui come tanti altri. Dal 15 agosto 1971 è nato un nuovo sistema monetario internazionale, fondato su più monete fiduciarie e sui cambi flessibili.
Vero è che questo sistema sembra ancora fondato esclusivamente sul dollaro : ma la posizione del dollaro è contendibile. Già oggi si fa avanti una rosa di monete : ci ha provato l'euro, ma con scarsi risultati perchè moneta improbabile : ci proveranno lo yuan, il real, il rublo etc..
Il "sistema" fondato sui cambi flessibili è un "sistema", anche se economisti e banchieri centrali europei si ostinano a negarlo. E ha dato ottima prova di se, da quarant'anni ormai. E' in buona misura per merito suo che si è vista la formidabile crescita della Cina, dell'India, del Sud-Est asiatico, del Brasile etc.: che le monete sudamericane sono uscite da un secolare trend di inflazione galoppante.
E' il nuovo - positivo - che avanza. L'euro è dunque solo una "isola di resistenza" al nuovo. Un progetto reazionario, dunque.

Giudizio di pertinenza e propensione alla comprensione

@ Rosanna B.

Se permetti, non sono affatto d’accordo:
1) il mio ‘post’ non è lunghissimo;
2) ha, come ho scritto, “qualche attinenza” (la gestione del FMI);
3) non mi sembra che qui ci sia una sovrabbondanza di commenti o che si tolga spazio agli altri;
4) se è lunghissimo e non ti piace, puoi limitarti a non leggerlo;
5) ma, infine, penso non ci voglia Freud per inferire che il motivo che ti ha indotto a replicare è “sottostante” ed attiene al tema ed al contenuto del mio commento precedente.

P.S.:
Non è pertinente con l’articolo di Sergio Bruno, ma lo è sicuramente con il ruolo di freno della donna nello sviluppo culturale ed economico italiano, il contenuto di questo mio – invero lunghissimo – ‘post’:
Questione Femminile, Questione Meridionale, Rivoluzione Culturale e Progetto Educativo
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2580796.html

o, per aiutare a comprendere le cause profonde della propensione femminile (e maschile) alla comprensione profonda degli argomenti e, a ben vedere, della realtà, quest’altro gruppo di ‘post’ (cominciando dal primo):

Curiosità sessuali represse e sviluppo intellettuale
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2592702.html

Restiamo sul punto, per favore

A Vincesko: non vedo l'attinenza tra il tuo lunghissimo post e la ricostruzione storica fatta da Sergio Bruno. Non c'è un limite in questo sito ai commenti fuori tema?

L'FMI

Lo propongo anche qua, poiché ha qualche attinenza.
Il mio intuito (poiché ne so poco) è incline ad escludere il complotto ex ante dei poteri forti, ma non l’evidente strumentalizzazione ex post, cui all'inizio si sono prestati un po' tutti, soprattutto le donne, persino in parte l’intelligente Barbara Spinelli. Poi si sa come è andata a finire.
Eppure, bastava fare 2+2 per escludere lo stupro.


L’“affaire” Dominique Strauss-Kahn

Prima del fatto: il giorno 12.5 scorso ho pubblicato nel blog “Percentualmente” il seguente commento:
“Luciano Barca, in questo articolo, evidenzia e giudica positivamente il cambiamento di rotta del FMI per merito del nuovo direttore generale, Dominique Strauss-Kahn.
“E’ necessario ridurre le ineguaglianze. Le indicazioni del Fmi per uscire dalla crisi”
http://www.eticaeconomia.it/e%e2%80%99-necessario-ridurre-le-ineguaglianze-le-indicazioni-del-fmi-per-uscire-dalla-crisi.html

Dopo il fatto, il 16.5, ho commentato così:

Elementi pro e contro di un “affaire” che mi ha colpito molto (vedi più sopra), perché sfortunatamente coinvolge un potente di orientamento socialdemocratico, che – l’ha detto il suo amico Fitoussi – ha urtato ambienti conservatori molto potenti perché ha cambiato la dottrina del FMI.

Aggiungo una considerazione - come dire? - esclusivamente tecnica. Io sono del parere che si possa essere succubi dei propri "istinti" e che quando questo succede non prevale certamente il raziocinio, ed emerge un lato della personalità sconosciuta agli altri, ancorché amici o parenti stretti; ma credo anche che per certi tipi di violenza (v. articolo allegato) - se di questo si tratta - sia praticamente indispensabile una qualche "collaborazione" della vittima, almeno sotto forma di acquiescenza imposta, che può essere frutto soltanto di una minaccia grave o di una forma estrema di subordinazione psicologica.

"Graffi sul torace di Strauss-Kahn"
difesa in difficoltà, niente scarcerazione"
[...]"Dominique non è stupido: uno stupro in un hotel di New York è l'ultima cosa che farebbe", ha detto l'economista Jean Paul Fitoussi.
http://www.repubblica.it/esteri/2011/05/16/news/strauss_kahn_graffi_torace-16327703

(Fitoussi – l’ho sentito in diretta – ha fatto queste dichiarazioni stamattina a “Radio3-Tutta la città ne parla”).

E ieri, 18.5:

Nell’articolo di oggi (“Dostoevskij nella suite” http://www.repubblica.it/esteri/2011/05/18/news/dostoevskij_nella_suite-16419270 ), troppo severo e giocato quasi interamente in chiave di colpevolezza (ma anche di stupidità), Barbara Spinelli scrive: “
“Ci sono tutti gli ingredienti della favola nera: c'è il Dr. Jekyll che beve la miscela che s'è fabbricato e barcolla in vie notturne tramutato in criminoso Mr. Hyde. E c'è qualcosa di talmente cupo che si stenta a non fantasticare su avversari che altro non aspettavano che il finale sbandamento. Perché gli avversari politici esistevano, sesso e violenza non occupavano tutti gli spazi di DSK. Quel che stava facendo, nel Fondo, era secondo alcuni una rivoluzione. Appena 9 giorni prima del fattaccio, Joseph Stiglitz, l'economista che da anni denuncia i misfatti del Fmi, scrisse un articolo in cui annunciava la svolta radicale che Strauss-Kahn voleva imprimere all'istituzione: la fine delle condizioni capestro imposte ai paesi poveri, il "nesso indispensabile tra equità, occupazione e stabilità economica", la volontà di mettere tale nesso al centro del governo mondiale dell'economia (discorso alla Brookings Institution, 13 aprile 2011, vedi http://www.imf.org )”.

Vedremo gli sviluppi, ma quel che è certo è che i ricchissimi - ingordi e crudeli - hanno ora un potente nemico in meno.

Bretton Woods

Dice Sergio Bruno:

“La condotta politica delle economie occidentali è passata dalla lungimiranza cooperativa di Bretton Woods alla miopia, ottusa e conflittuale di oggi.”

“La conferenza di Bretton Woods è del luglio 1944, a guerra non ultimata. Il tema della conferenza era la promozione del commercio internazionale e a tal fine della stabilizzazione dei cambi, nella convinzione, ben interpretata dall’allora segretario di stato americano Cordell Hull e da Roosevelt, che le rivalità economiche internazionali non regolate da spirito cooperativo fossero il focolaio delle guerre armate.”

E’ un punto di vista che col senno di poi, dalla parte dei “dollarizzati”, trovo assai poco condivisibile, per usare un eufemismo. Chiunque può prendere un granchio nel sottoscrivere un contratto, ma che non se ne accorga dopo quasi 70 anni, e proprio nel momento in cui i nodi vengono al pettine, mi sembra davvero eccessivo. Se davvero si vuol capire i fatti storici, come necessaria premessa politica al presente, occorre distinguere i fatti dalle teorie, comunque sostenute.

I fatti sono che gli USA imposero la loro valuta come riserva d’emissione per tutti gli altri al posto dell’oro, garantendone la convertibilità nella misura prefissata di 35 dollari per oncia, oro rastrellato dagli USA stessi sia in patria, con obbligo di legge verso i propri cittadini, che in giro per il mondo. Nelle condizioni storiche in cui si svolse la famosa conferenza di Bretton Woods si può verosimilmente ipotizzare che si trattasse di un “patto leonino”, più che di una libera e democratica cooperazione. Ma non è delle intenzioni che qui si tratta, bensì dei fatti che più pesano a tutt’oggi nell’economia politica conseguente a quelle firme in calce al trattato di Bretton Woods, in tutti i paesi del mondo, anche quelli che allora non erano rappresentati.

La sovranità degli USA, duramente conquistata sui campi di battaglia, fu strumentalmente usata per coprire con segreto di stato la verità sulla effettiva custodia di quell’oro, compreso quello ivi depositato a tutt’oggi dallo Stato Italiano, tra i primi posti al mondo per quantità. Una recente dichiarazione di un funzionario d’alto livello della FED ci rivela che ora la FED non custodisce più neppure un solo grammo di oro fisico.

Ma i fatti “pesanti” sono ben altri, e sono strettamente correlati alla dimostrazione storica che l’emissione di valore monetario garantito da oro in custodia è oggi una truffa, come probabilmente lo è sempre stata nei secoli addietro, ma questa è un’altra storia. Il decreto Nixon del 1971 che sospese unilateralmente la convertibilità del dollaro in oro è un’ammissione di colpa che nessuno può negare: gli accordi di Bretton Woods si sono rivelati una truffa, una truffa gigantesca, ma ancora di gran lunga inferiore alla truffa della gestione complessiva del denaro da parte dell’intero sistema bancario, Banche Centrali in testa a guidare questo allucinante gioco al massacro delle economie e dei loro popoli. C’è di peggio delle banche centrali attuali, giocoforza allineate alla logica della FED? Sì, sono proprio quelle ai vertici assoluti, partorite dallo stesso trattato di Bretton Woods, FMI, Banca Mondiale, Banca dei Regolamenti Internazionali (per quanto pare che in Grecia la BCE superi in cinismo lo stesso FMI). Di fronte alla gravità degli eventi, che l’attuale crisi pone inevitabilmente sotto i riflettori, il processo alle intenzioni appare ancor più irrilevante. Tuttavia è inverosimile che dietro la regia USA a Bretton Woods non vi fossero precisi piani di conquista, semmai la domanda è chi ne fossero i veri interpreti, che non son certo il popolo americano o quello inglese nella loro interezza.

Perché nel 1971, in piena “pace” da Washington consensus, non si fece una nuova conferenza di Bretton Woods, magari all’ONU, riformato in senso democratico per l’occasione? Evidentemente il matrix del potere bancario non lo consentì, e a maggior ragione non lo consente oggi, dopo trent’anni di deregulation selvaggia calata dall’alto, con risultati devastanti sulla giustizia sociale e sul percorso verso la democrazia nel mondo.

L’espansione della massa monetaria in tutti i paesi economicamente progrediti, compresa la Cina ovviamente, in una sorta di competizione al parassitismo finanziario verso i soggetti economici più deboli, rappresentano una pesante realtà destabilizzante, l’esatto contrario della convinzione che “le rivalità economiche internazionali non regolate da spirito cooperativo fossero il focolaio delle guerre armate”, ma anche l’esatto epilogo degli “accordi” di Bretton Woods, smentiti dalla storia ma non dall’intenzione persistente dei registi originali, enormemente rafforzatisi in questi anni di globalizzazione dei “liberi” mercati. Il risultato misurabile in termini d’inflazione, d’instabilità, di rischi sistemici, e soprattutto di percorsi obbligati di guerra, sta diventando veramente insostenibile, per tutti.