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Banca delle Marche, scandali di provincia
“non è soltanto a Parigi che il crimine fiorisce, anche noi qui al paese abbiamo dei bei delitti…” (da una canzone di Georges Brassens)
Non c’è solo il caso Monte Paschi in Italia. Anche nelle provincie più appartate della penisola si registrano episodi che, forse più di quelli al centro dell’attenzione mediatica, suggeriscono il quadro di un paese che sembra sprofondare sotto il peso del malaffare e della cattiva gestione di tutti i giorni. C’è un’eccessiva vicinanza tra potere economico e politico e un ceto di funzionari pubblici e privati che sembra dedito prevalentemente ai propri interessi monetari, mentre sono carenti i meccanismi di controllo all’interno del sistema.
Prendiamo, ad esempio, il caso della Banca delle Marche, le cui vicende non hanno avuto grande attenzione sui media, ma che, nell’ultimo periodo, è stata al centro di problemi di non poco conto. La banca, come apprendiamo dal sito internet dell’azienda, è stata costituita tra il 1994 e il 1995 attraverso un processo di fusione tra le Casse di Risparmio di Macerata, Pesaro e Jesi. Gli azionisti principali sono le Fondazioni che fanno riferimento alle tre entità citate. Esse detengono complessivamente il 55,8% del capitale, mentre il gruppo Intesa San Paolo possiede il 5,8% e la Fondazione Carifano il 3,3%. Circa il 32% dello stesso capitale è poi distribuito tra circa 40.000 azionisti. La banca è presente, oltre che nella Marche, in Umbria, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo e Molise e può contare su circa 3.000 dipendenti. Il sito sottolinea anche come la banca si classifichi al nono posto nella lista delle grandi banche del paese, al terzo posto come redditività, ancora al terzo posto come produttività. Sin qui le notizie ufficiali. Ricordiamo anche che la banca è un importante motore dello sviluppo dell’area marchigiana.
Ma sui media locali e nazionali troviamo notizie di un altro tenore. Cominciamo dal luglio scorso. Dal sito www.cronachemaceratesi.it del 25 luglio 2012 apprendiamo che si era alla vigilia delle dimissioni di Massimo Bianconi, l’allora direttore generale del gruppo, nonché suo leader indiscusso, dimissioni poi confermate. Ci informa l’articolo, che riporta peraltro notizie anticipate in un articolo dello stesso giorno del Corriere della Sera, che le dimissioni erano da collegare a una raccomandazione fatta in tal senso della Banca d’Italia, dopo le ispezioni presso gli uffici dell’istituto marchigiano.
Tali ispezioni avevano in particolare riguardato gli affari immobiliari di Bianconi. Sua moglie aveva comprato due anni e mezzo prima una palazzina nel quartiere Parioli a Roma per 7 milioni di euro. Il venditore era stato Vittorio Casale, immobiliarista, che aveva la sede sulla stessa strada e che era poi fallito. Da rilevare che la Banca delle Marche aveva copiosamente finanziato lo stesso gruppo. La transazione aveva avuto una coda con un giro di assegni anomalo e peraltro l’operazione era stata almeno in parte finanziata da un’altra banca, anch’essa poi finita nel mirino della Banca d’Italia.
Come appare dal commento di un lettore allo stesso articolo datato 25 luglio, erano anche emerse della altre operazioni dubbie. Viene in effetti ricordato che altri giornali nazionali, in particolare l’Espresso, avevano segnalato rapporti poco chiari tra il direttore della banca e persone quali Coppola e Ricucci. Dalla stessa fonte apprendiamo che nel 2006 la moglie di Bianconi aveva acquistato per 1,5 milioni di euro un immobile che il giorno dopo aveva affittato a una banca, secondo il metodo a suo tempo collaudato dallo stesso Ricucci. A Londra poi la famiglia Bianconi possiederebbe immobili per 2 milioni di euro.
Nessuno sembrava sapere, d’altro canto, quanto guadagnasse Bianconi. Si è soltanto a conoscenza che il nuovo direttore, Luciano Goffi, guadagna più o meno un terzo del suo predecessore. Veniamo poi informati che il vecchio capo lasciava la banca con una cospicua liquidazione.
Poi arriva settembre, e la Banca d’Italia infligge una multa di 208 mila euro ai membri del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e al direttore generale per “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni”. Ancora il sito www.cronachemaceratesi.it, in data 6 settembre 2012, informa che la Banca d’Italia suggerisce anche la sostituzione del vicepresidente della Banca, Federico Tardioli, perché il soggetto appariva privo di uno dei requisiti indispensabili per ricoprire il ruolo; in effetti il mestiere di Tardioli, prima di entrare nel mondo della Banca delle Marche, era stato quello di anestesista all’ospedale di Jesi. La stessa richiesta di dimissioni Banca d’Italia avanzava poi per due consiglieri della Cassa di Risparmio di Loreto, un’entità controllata dalla Banca delle Marche, perché anch’essi apparivano privi dei requisiti professionali minimi.
Naturalmente il nuovo direttore ha fatto poi le cose che fanno di solito i manager nuovi arrivati, licenziando i dirigenti fedeli al vecchio assetto e maneggiando gli scheletri nell’armadio. Con l’arrivo del 2013, si ventila la dipartita di tre vicedirettori dell’istituto e l’arrivo di nuovi dirigenti di fiducia del direttore. A questo episodio sembra collegata la modifica improvvisa in bilancio dei criteri di valutazione dei crediti a rischio e delle quote di accantonamento. Così, mentre a suo tempo, sotto la vecchia direzione, era stato annunciato un utile per il primo semestre pari a circa 43 milioni di euro, ora si pensa che l’esercizio 2012 si chiuderà, a sentire le voci, con una perdita di ben 300 milioni di euro, un’enormità per una banca di quelle dimensioni.
Nel gennaio 2013 ecco che Moody’s declassa la banca di cinque livelli in una volta sola. L’agenzia di rating sottolinea il basso livello di capitalizzazione dell’istituto, la presenza di un ridotto grado di copertura dei crediti dubbi, un’alta concentrazione di crediti sul settore immobiliare, come riferisce sempre il sito www.cronachemaceratesi.it questa volta in data 26 gennaio 2013; avrebbe pesato sul declassamento anche l’annuncio effettuato dalla stessa banca di una perdita per il 2012.
La linea ufficiale dell’azienda di fronte a questi avvenimenti appare quella di minimizzare, negare, tranquillizzare. Al momento dell’uscita di Bianconi l’azienda parla di “un accordo pienamente consensuale, il cui percorso era già stato definito da tempo…le scelte private di Bianconi non sono mai entrate in conflitto con le scelte di Banca Marche”. In un comunicato a proposito dell’intervento di Moody’s essa vede nel declassamento del rating “uno stimolo per la crescita” e nelle dimissioni dei dirigenti “un naturale ricambio della squadra di direzione”.
Le ultime notizie – si veda un articolo pubblicato il 7 febbraio dal Resto del Carlino, pagine di Macerata – fanno riferimento a due indagini in corso, la prima da parte della magistratura, attesa ad accertare la posizione di alcuni clienti dell’istituto particolarmente esposti, e una interna alla banca con lo stesso obiettivo. Si sarebbero concessi troppi finanziamenti a un numero limitato di persone. La stampa locale ora teme che la Banca non ce la faccia a risalire la china da sola e che quindi, dovendo forse essere costretta a un aumento di capitale, sia obbligata a far entrare nella compagine azionaria in posizione preminente qualche istituto di dimensioni nazionali, come del resto auspica Moody’s.
Quello che sorprende è il generale silenzio intorno a questa vicenda. Dei media e della politica, soprattutto regionale. Lo sottolinea un comunicato di Rivoluzione Civile delle Marche del 30 gennaio 2013, seguito da un commento del comitato locale di Chiaravalle e della bassa valle esina. C’è una convivente disattenzione da parte degli enti locali e delle fondazioni, afferma il comunicato, sulla governance dell’istituto. In particolare, sulla sostituzione del direttore generale Bianconi, fino all’ultimo omaggiato in tutti i modi dalla politica regionale e “compreso” dalle organizzazioni sindacali di categoria. Una cronaca di ordinaria cattiva amministrazione, una gestione sbagliata degli affari di una comunità, che potrebbe avere gravi conseguenze. E che lascia dubbiosi sulla possibilità che il paese trovi in sé le forze per scuotersi dalla crisi.
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