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Draghi apre al quantitative easing “all’americana”

19/11/2014

Draghi ha incassato l’ok ad una politica di quantitative easing “all’americana”, estesa cioè anche ai titoli di stato. Un importante passo avanti, ma non sufficiente

Pare che all’ultimo meeting della Bce Mario Draghi, forte anche del sostegno della Merkel, abbia ancora una volta avuto la meglio sui “falchi” facenti capo al famigerato presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ormai sempre più isolati. “Pare” perché il condizionale è d’obbligo quando si parla dell’istituto capitanato da Mario Draghi, data la scarsa trasparenza dei processi interni della banca; e anche perché per ora stiamo parlando di semplici dichiarazioni. Stando a quanto detto da Draghi in una conferenza stampa a margine dell’incontro, comunque, pare che il presidente della Bce abbia ottenuto il “consenso unanime” da parte del board della banca centrale per a) far salire il bilancio della Bce “verso i livelli d’inizio 2012” (quelli raggiunti dopo il primo giro di rifinanziamenti a lungo termine offerti alle banche all’interno del programma Ltro), il che di fatto equivale a un impegno ad acquistare titoli fino a 1.000 miliardi di euro circa; e b) avviare nuove “misure non convenzionali” – leggi quantitative easing –, se necessario.

Come interpretare le dichiarazioni di Draghi? Se da un lato il fatto stesso di prendere in considerazione una politica di quantitative easing, fino a poco fa un tabù assoluto, rappresenti un passo avanti nella “normalizzazione” dell’Europa – è tanto, troppo tempo che il continente è ostaggio di paranoie iperinflazionistiche, alimentate soprattutto dai tedeschi, che non hanno nessun fondamento nella realtà e che hanno inflitto al “vecchio mondo” costi economici ed umani divenuti ormai insostenibili –, dall’altro è presto per dichiarare che siamo sull’orlo di una svolta decisiva nella gestione della crisi, come hanno fatto alcuni commentatori. Per quanto riguarda l’espansione del bilancio della Bce attraverso un’ulteriore iniezione di liquidità nelle banche, per 1.000 miliardi circa, non c’è motivo di ritenere che questo avrà alcun impatto significativo sull’economia reale: in un contesto deflazionistico come quello in cui versa l’eurozona, in cui il problema principale è la stagnazione della domanda, le politiche monetarie non sono sufficienti a rimettere in moto l’economia. Non serve tirare in ballo la teoria economica; basta guardare alla storia recente: è dall’inizio della crisi che la Bce continua a immettere liquidità a palate nelle banche – il picco fu raggiunto all’inizio del 2012, appunto –, senza che questo abbia provocato beneficio alcuno per le famiglie e le imprese, come sappiamo bene. Insistere su questa strada appare masochistico, soprattutto considerando i numerosi e ben documentati effetti collaterali che le politiche monetarie espansive di questo tipo hanno in termini di aumento delle disuguaglianze e creazione di nuove bolle speculative. Ai fini del rilancio della domanda, sarebbe molto più utile prendere quei 1.000 miliardi e metterli direttamente nelle tasche delle persone (vedi tutto il dibattito sul cosiddetto helicopter money, letteralmente “denaro lanciato dagli elicotteri”, particolarmente vivace oltreoceano) o concederli agli stati per realizzare politiche fiscali espansive.

E questo ci porta alla seconda parte del discorso di Draghi: l’apertura al quantitative easing. Poiché Draghi aveva già incassato nei mesi scorsi l’ok ad una forma di quantitative easing “light” finalizzata all’acquisto, a partire da questo mese, di titoli privati, detti ABS (asset-backed-securities) – una variante di quei “pacchetti” di debiti e mutui cartolarizzati che innescarono la crisi finanziaria del 2008 –, è legittimo ritenere che per “ulteriori” misure non convenzionali Draghi si riferisca all’acquisto di titoli di stato. In realtà il programma Omt (Outright Monetary Transactions), attivato dalla Bce nel 2012 ma mai implementato (e al momento al vaglio della Corte di giustizia europea, dopo la “bocciatura” della corte costituzione tedesca), già prevede l’acquisto illimitato di titoli di stato da parte della banca centrale. Ma l’Omt rappresenta uno strumento puramente “emergenziale”, che legittima la banca centrale ad intervenire solo a favore di quei paesi che sono sotto attacco speculativo o a rischio di instabilità, e comunque solo a patto che il paese ricevente acconsenti ad un rigido programma di austerità fiscale e “aggiustamento strutturale”. In questo senso, se è vero che il programma Omt rappresenta un passo avanti rispetto al mandato della Bce, che vieta l’acquisto di titoli di stato senza se e senza ma, essa è lungi dal trasformare la Banca centrale europea in una “normale” prestatrice di ultima istanza.

Le ultime dichiarazioni di Draghi – che sembrano aprire all’acquisto di titoli di stato come ordinario strumento di politica monetaria invece che come strumento di ricatto nei confronti dei governi (anche se rimane la pressione sugli stati membri affinché implementino le famigerate “riforme strutturali”) – sembrerebbero dunque rappresentare un ulteriore passo avanti nella “normalizzazione” della Bce. Ma sarebbe un errore pensare che questo rappresenti di per sé una soluzione ai problemi dell’eurozona. Gravano ancora molte incognite, infatti, su come potrebbe essere applicato il quantitative easing all’interno della cornice dell’eurozona: chi ne beneficerebbe? In che misura? Sulla base di quali parametri? Ma il problema vero rimane un altro: che una politica monetaria espansiva, anche se estesa ai titoli di stato, rischia di avere un impatto minimale sull’economia reale e sulle finanze pubbliche degli stati membri (ad eccezione di una riduzione dei tassi di interesse, già relativamente bassi) se non è accompagnata da altre misure, a partire da una politica fiscale altrettanto espansiva.

Come perseguire tale obiettivo alla luce degli attuali vincoli politici ed istituzionali dell’eurozona, però? Una politica di stimolo fiscale praticata a livello nazionale richiederebbe una revisione dei vincoli di bilancio (Patto di stabilità e Fiscal Compact) e/o l’esclusione degli investimenti infrastrutturali dai calcoli di bilancio, cosa che al momento non sembra probabile (vedi il recente scontro tra Bruxelles e Roma per la deviazione dell’Italia di qualche decimo di punto percentuale dagli obiettivi di riduzione del deficit previsti dal Fiscal Compact). Inoltre è innegabile che un ulteriore aumento del debito rappresenterebbe effettivamente un problema per quegli stati, come l’Italia, che già presentano un rapporto debito-Pil ai limiti della sostenibilità.

Una soluzione, come ha ribadito qualche giorno fa Yanis Varoufakis sull’Economist, potrebbe essere quella di affidare alla Banca europea per gli investimenti (Bei), in collaborazione con la Bce, un grande piano di investimenti paneuropeo, pari all’8% del Pil dell’eurozona. In breve, la Bei raccoglierebbe il denaro necessario sui mercati, come fa già da anni, e la Bce si farebbe carico di tenere giù i tassi di interesse della stessa acquistandone i titoli sul mercato secondario (ad un ritmo ipotizzabile di 1.000 miliardi di euro l’anno per i prossimi anni). Si tratterebbe, in sostanza, di una forma di quantitative easing che avrebbe una ricaduta diretta sull’economia, a differenza della sua variante “classica”. Inoltre, come viene giustamente fatto notare in un recente articolo dell’istituto Bruegel, questa soluzione permetterebbe di “superare a destra” in un colpo solo sia l’ostacolo della mutualizzazione (perché i fondi non proverrebbero dagli stati membri) che quello dei vincoli di bilancio e dell’alto livello di debito pubblico di molti paesi (perché i fondi della Bei non vengono conteggiati nel calcolo del deficit/debito degli stati membri). Si tratterebbe di una soluzione simile – ma adattata alle problematiche politico-istituzionali specifiche dell’eurozona – a quella politica di overt money financing – finanziamento diretto dei deficit di uno stato da parte della banca centrale – che Adair Turner, ex presidente della Financial Services Authority britannica, ha indicato qualche giorno fa sul Financial Times come la soluzione più ottimale nell’attuale contesto delle economie avanzate, proprio perché comporterebbe un aumento del deficit, e dunque della domanda, senza far aumentare il debito pubblico (una conclusione recentemente avallata persino dall’Economist).

Per quanto riguarda la speranza che una politica più accomodante da parte della Bce possa portare a un deprezzamento significativo e duraturo dell’euro nei confronti del dollaro (favorendo così le esportazioni europee), si tratta di una pia illusione: se l’euro registra un valore così alto è perché l’eurozona presenta già un surplus delle partite correnti da capogiro – e secondo molti eccessivo – nei confronti del resto mondo, in buona parte imputabile al crollo della domanda interna e all’alto tasso di disoccupazione in Europa (o in altre parole alla crisi). In questo senso, pensare che un po’ di svalutazione competitiva possa essere una risposta alla crisi rappresenta una pericolosa inversione di causa ed effetto.

Infine, è impossibile non cogliere un nesso tra la mossa di Draghi e la recente decisione della Federal Reserve di portare a termine il suo programma di quantitative easing. Come ha dichiarato il presidente della Bce in conferenza stampa: “Il nostro bilancio si allargherà mentre quelli degli altri tenderanno a contrarsi, perché ci troviamo in fasi differenti del ciclo economico”. Fin qui siamo d’accordo. Ma l’impressione – e speriamo che Draghi ci smentisca – è che le dinamiche in gioco siano più complesse, e che ci si trovi in presenza di una situazione in cui le politiche monetarie sono sempre più rivolte ai mercati finanziari che all’economia reale. Come fa notare l’economista Christian Marazzi, tutti si aspettavano un aumento dei rendimenti sui Treasury bonds come conseguenza della fine della fine della politica di creazione di liquidità da parte della Federal Reserve. Invece, grazie agli smottamenti borsistici, i rendimenti sui buoni del Tesoro statunitense sono diminuiti, benché per poche ore. Scrive Marazzi:

"Questo dimostra che i mercati finanziari vogliono che le banche centrali, a partire da quella americana, continuino a mantenere bassi i tassi d’interesse. Tant’è vero che ora ci si attende un aumento dei tassi non prima del marzo 2016, una previsione supportata da due esponenti autorevoli della Fed e della Banca d’Inghilterra che si sono precipitati a dichiarare che in un contesto di crescita debole, di riduzione della produzione industriale (in Germania, ma anche nei paesi emergenti) e del volume del commercio mondiale, dei prezzi delle materie prime, della situazione occupazionale (anche negli Usa, dove la creazione di nuovi posti di lavoro è più che compensata dal numero di disoccupati scoraggiati), sarebbe auspicabile che la Fed continuasse con il suo programma di quantitative easing. Questo dimostra che i mercati finanziari possono continuare a funzionare a una sola condizione, e cioè che lo stato intervenga, e continui a intervenire attivamente in loro sostegno con misure di politica monetaria non convenzionale, benché l’efficacia della creazione e iniezione di liquidità per uscire dalla “stagnazione secolare” sia lungi dall’essere dimostrata. La liquidità creata dalle banche centrali, di fatto, non “sgocciola” nell’economia reale, restando all’interno dei circuiti finanziari e alimentando una spirale autoreferenziale sul valore degli attivi finanziari".

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Commenti

Draghi ammette

Draghi ammette che il QE per l'acquisto dei titoli di debito pubblico rientra nei poteri della BCE. Tuttavia, neanche oggi la BCE ha deciso di adempiere finalmente i suoi doveri statutari fissati dall'art. 2:

“Rispondendo alle domande di giornalisti, Draghi ha detto che il direttorio "ha discusso dell'acquisto di titoli di Stato", che "ricade nel mandato" della Bce. Nell'ambito di un ‘quantitative easing’, d'altra parte, possono rientrare "tutti gli asset tranne l'oro".
http://www.repubblica.it/economia/2014/12/04/news/bce_tassi_quantitative_easing_draghi-102109933/

Risposta a Thomas Fazi

@Thomas Fazi

1) Premesso che l’arrogante Corte Cost. tedesca - ancorché non si sia limitata a presentare il ricorso alla Corte di Giustizia, ma abbia, in ben 40 pagine, indicate anche le soluzioni - non ha nessun potere di interpretazione dei trattati UE, traggo da: “Karlsruhe: doppia sfida all’Europa” - 18.02.14 - di Pietro Manzini http://www.lavoce.info/karlsruhe-europa-bce-euro/
“Lo scorso gennaio, la Corte costituzionale tedesca ha posto alla Corte di giustizia UE due questioni relative alla legittimità della decisione della Bce sul programma cosiddetto Omt(Outright Monetary Transaction), che prevede la possibilità da parte del sistema delle banche centrali europee di acquisto illimitato di titoli di debito pubblico nel mercato secondario a favore di quegli Stati che aderiscano alle politiche di condizionalità fissate dall’European stability mechanism. Con la prima questione, la Suprema Corte tedesca vuole sapere se la decisione rientra nella politica monetaria, ovvero se deve ritenersi di politica economica; con la seconda, invece, vuole che gli eurogiuridici di Lussemburgo stabiliscano se il programma Omt è compatibile con il divieto di facilitazione finanziaria previsto dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento della UE”.

Da cui emerge che le contestazioni della Corte non riguardano il potere della BCE – sancito dal dettato chiarissimo dell’art. 21 – di acquistare titoli sovrani sul mercato secondario, ma soltanto se questi possano essere illimitati e se rispondano al mandato della BCE di gestire la politica monetaria.

2) Segnalo, sul tema, questo commento che mi sembra interessante e forse dirimente (peraltro esso è in linea con le motivazioni addotte dalla stessa BCE):

nextville •
L'atto della BCE in questione è l'OMT, che non è un trasferimento di liquidità alle banche (come gli LTRO, che nessuno ha impugnato) ma un programma (per ora solo annunciato) di acquisto di titoli di stato sul mercato secondario. Dal punto di vista giuridico, la BCE non può fare acquisti sul mercato primario e in generale agire con lo scopo di finanziare gli stati (ex art.123 TFEU), ma può (ex art.18 ESCB Statute) fare acquisti di titoli di stato (e altri titoli) sul mercato secondario (cioè non direttamente alle aste pubbliche, ma sul mercato privato dei titoli già emessi) per ragioni di politica monetaria - es. per fare Quantitative easing. Ad es. può, per scongiurare un rischio deflazione, non solo abbassare i tassi ma anche aumentare la liquidità tramite acquisti sul mercato.
L'OMT è quindi legittimo se gli acquisti di titoli di stato dei paesi membri sono fatti sul secondario e giustificati da ragioni monetarie. La ragione portata dalla BCE a giustificazione dell'OMT non è un generico "to preserve the euro", ma è più precisamente l'esigenza (fortissima nell'estate 2012) di "riparare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria" che aveva cessato di funzionare per l'interferenza del rischio di ridenominazione, cioè perché i mercati temevano che alcuni paesi deboli (tra cui Italia e Spagna) fossero costretti a uscire dall'euro e quindi fossero costretti al default sul loro debito (non essendo più in grado di pagarlo con una moneta destinata a rapida e pesante svalutazione). Questo genere di rischi crea un "bad equilibrium", cioè una situazione che si autoalimenta portando al disastro (= l'aspettativa che un paese sia costretto a uscire fa salire a tal punto i suoi tassi da generare l'evento). Per poter ripristinare la sua capacità di controllo sulla moneta tramite le tradizionali manovre sui tassi -- quindi per ragioni di politica monetaria (e non fiscale) -- la BCE ha minacciato di usare un potere che certamente ha (ex art.18 ESCB Statute) di fare acquisti sul mercato secondario di titoli di stato. Tale minaccia da sola è bastata a eliminare il bad equilibrium e a far tornare progressivamente i mercati alla normalità. E' proprio questo successo che dimostra che era in atto un bad equilibrium e che la BCE doveva sventarlo, perchè senza sventarlo non sarebbe più stata in grado di ottemperare al suo mandato primario, che è mantenere la stabilità dei prezzi.
http://studiocataldi.mailupnet.it/f/tr.aspx/?:5Um8d=wstwsu5:5h.=t2yyof-=bhfj/nvkiq3eni5cc40h2f709:fvb6qgma:gl:5c69&x=pv&o2mdnh8imo8cidc70:4mwuo_u10gbNCLM

3) Gli articoli riportati sopra, infine, fotografavano la situazione di quasi un anno fa; nel frattempo, i dati della deflazione e della crisi economica permangono negativi, se non aggravati, anche e soprattutto in termini prospettici. Il che giustifica – come preannunciato da Draghi – l’adozione di “misure non convenzionali” (per la BCE, poiché per tutte le altre banche centrali sono del tutto ordinarie in periodi di crisi), anche per NON disattendere ulteriormente entrambi i suoi obiettivi statutari (art. 2).

Cordiali saluti.

Mandato della Bce

Ciao Vincenzo: bè, la legalità dell'acquisto di titoli di stato da parte della Bce (anche sul mercato secondario) è quantomeno dubbia, come dimostra la sentenza della Corte di giustizia tedesca, ora al vaglio della Corte di giustizia europea.

Errata corrige

Errata corrige: Aggiungere "selettivamente" nella frase:
"che è la stessissima cosa che acquistare, selettivamente, 750 mld di titoli italiani".

QE, gli obiettivi ed i poteri della BCE e della FED

Citazione: “In questo senso, se è vero che il programma Omt rappresenta un passo avanti rispetto al mandato della Bce, che vieta l’acquisto di titoli di stato senza se e senza”.

E’falso che lo statuto della BCE vieti l’acquisto di titoli di Stato. Questo divieto (art. 21 dello Statuto) è limitato al mercato primario, esattamente come per la FED, che NON può acquistare titoli del Tesoro direttamente dal Tesoro, ma soltanto sul “mercato aperto” (open market) (cfr. allegato in fondo).
L’art. 21 dello statuto della BCE, infatti, così recita: “21.1. Conformemente all'articolo 123 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche centrali nazionali, a istituzioni, organi o organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali.”
Per uscire dal pantano (recessione – che colpisce tutti, tranne la Germania, anche se… - e deflazione, che avvantaggia i Paesi creditori – Germania e satelliti), la BCE deve acquistare titoli di Stato, ma la Germania non vuole e la BCE ubbidisce, violando il suo statuto (artt. 2-Obiettivi e 7-Indipendenza).
Anche la BCE è obbligata statutariamente a: a) controllare l’inflazione che deve essere “sotto il 2%, ma vicino” (ed ora è prossima allo zero ed in alcuni Paesi sotto zero); e b) “sostenere le politiche economiche generali dell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione” (tra cui un elevato livello di occupazione). In condizioni normali, la BCE NON ha gli stessi poteri della FED, i cui 4 obiettivi sono sullo stesso piano ed al primo posto è menzionata la piena occupazione; ATTUALMENTE, invece, i poteri sono gli stessi, perché la condizione sospensiva, costituita dal raggiungimento dell’obiettivo principale, in deflazione è (più che) soddisfatta, quindi la BCE è obbligata dal suo statuto a raggiungere il secondo obiettivo - “crescita economica e un elevato livello dell’occupazione” -, che – stante l’inflazione dell’Eurozona prossima allo zero – è, peraltro, del tutto concordante e convergente con l’obiettivo principale, che ora è quello di riportare l’inflazione da quasi zero a poco sotto il 2% (cfr “Allegato alla petizione al Parlamento Europeo: la BCE non rispetta il suo statuto”).
La BCE dovrebbe varare un QE (senza sterilizzazione) per almeno 3.000 mld per tutta l’Eurozona. La base di ripartizione dei 3.000 mld potrebbe essere: a) o unica: il PIL; oppure, meglio, b) multipla: ad esempio, metà in base al Pil e metà in base all’eccedenza rispetto al limite del 60% debito/Pil), quindi all’Italia andrebbe il 20-25% del QE (3.000x0,25=750mld), che è la stessissima cosa che acquistare 750 mld di titoli italiani, per alleviare sensibilmente la spesa per interessi passivi e liberare così risorse congrue per varare un’adeguata politica fiscale per la crescita economica e dell’occupazione.
La FED acquista sul mercato aperto (mercato secondario) titoli a bassissimo interesse e a lunga scadenza di solito subito dopo l'emissione, attraverso i “dealer”. E’ chiaro che la BCE dovrebbe fare la stessa cosa “mascherata”, anche noi abbiamo i “dealer”, per l’Italia, ad esempio, sono una ventina: cinque banche americane (Goldman Sachs, Merril Lynch, JP Morgan, Morgan Stanley, Citigroup), due banche tedesche (Deutsche Bank e Commerzbank), due banche svizzere (UBS Bank e Credit Suisse), una banca olandese (ING Bank), una banca giapponese (Nomura), due banche britanniche (Barclays e Royal Bank of Scotland), tre banche italiane (Banca Intesa, Unicredit e Banca Montepaschi di Siena), e quattro banche francesi (Credit Agricole, BNP Paribas, Societe Generale, HSBC).

PS:
Allegato
1 - Motivazioni della petizione
2 - Statuto BCE
3 - Obiettivo inflazione sotto 2%, ma vicino
4 - Federal Reserve Act (e divieto acquisto diretto titoli Tesoro USA)
5 - Trattato di Lisbona
6 - Trattato di Maastricht
Allegato alla Petizione al Parlamento europeo: la Bce non rispetta il suo statuto
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2821720.html