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Ceci n'est pas une union bancaire

08/04/2014

L'accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio europeo sul disegno di unione bancaria dovrebbe diventare definitivo a metà aprile. Ben lungi dal favorire una ricapitalizzazione coordinata del sistema bancario europeo, l'accordo sancisce il principio caro a Berlino & Co dell'“ognun per sé”

Dopo lunghi ed estenuanti negoziati, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno trovato l'accordo (1) su un disegno di unione bancaria che riflette quasi interamente le priorità tedesche. Se confermato in seduta plenaria a metà aprile, l'accordo diventerà definitivo. I tre pilastri su cui si regge il nuovo impianto sono il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti (creditori) in caso di fallimento bancario, la centralizzazione della supervisione bancaria a Francoforte e l'istituzione di un mini fondo comune per la risoluzione bancaria.

Possono sembrare temi piuttosto tecnici e complessi, ma la loro straordinaria rilevanza politica impone che si provi a spiegarli al pubblico. Il coinvolgimento di azionisti e creditori consente di limitare l'entità dell'intervento pubblico nel caso di fallimenti bancari. Se una banca è in difficoltà, i primi a dover prestare aiuto saranno gli investitori privati e non il settore pubblico. È uno sviluppo per certi versi positivo, ma largamente insufficiente nel contesto attuale. Essendo il capitale obbligazionario solo una frazione dei passivi delle banche, tale misura ridurrà solo al margine il costo sociale dei salvataggi bancari. Su insistenza dei paesi creditori, inoltre, l'istituzione di una garanzia comune dei depositi è stata totalmente esclusa dalle trattative e rimarrà competenza nazionale. Non si tratta, dunque, di una misura adatta a risolvere crisi di natura sistemica. Per queste, il governo (e il contribuente) di ogni Stato rimarranno garanti.

L'introduzione di un'unica supervisione bancaria per l'area euro rappresenta un cambiamento senz'altro più significativo. Se fino ad oggi sono state le autorità nazionali a vigilare sulle banche dell'area euro, in futuro se ne occuperà un solo organismo federale. Sarà di conseguenza l'Europa, con un ruolo centrale esercitato dalla Banca centrale europea (Bce), a stabilire se una banca in difficoltà deve fallire oppure no. Questo trasferimento di poteri rappresenta una cessione di sovranità di portata storica. Non a caso, sono stati necessari circa cent'anni per introdurre un sistema di supervisione federale negli Stati uniti.

A fronte di una tale cessione di sovranità e della mancanza di una garanzia comune dei depositi, è il terzo elemento dell'unione bancaria - il fondo comune di risoluzione - a risultare gravemente inadeguato. Si tratta di un fondo finanziato dalle banche stesse e già esistente nella maggior parte dei paesi europei. Alcuni parametri saranno armonizzati e il fondo gradualmente messo in comune con l'obiettivo di renderlo pienamente operativo tra ben otto anni. Nel 2022, dovrebbe ammontare a 55 miliardi di euro, una cifra insignificante rispetto al bilancio delle banche dell'area euro e pari a circa l'1% dei depositi. Anche a regime, il fondo non sarà sufficiente a coprire le perdite di più di una banca di media grandezza. Per fare un esempio recente, la garanzia concessa dal governo Belga per la sola banca Dexia è stata di 80 miliardi di euro!

Su proposta del Parlamento, al fondo sarà concesso di finanziarsi sui mercati, ma solo sulla base delle future entrate e senza alcuna garanzia aggiuntiva. È uno sviluppo positivo, ma assolutamente marginale a fronte di stime per la ricapitalizzazione delle banche dell'area euro che vanno dai 500 ai 1000 miliardi. Tali cifre possono sembrare eccessive, ma non lo sono se si considera che i 128 istituti di credito che passeranno sotto la supervisione della Bce detengono più di quattro quinti degli assets del sistema bancario della zona euro, una cifra pari a 26000 miliardi. La crisi dello spread, dunque, potrebbe ritornare in autunno, quando gli esiti dell'asset quality review della banca centrale europea saranno resi noti, evidenziando criticità che non potranno essere risolte da questa unione bancaria.

Non è un caso che durante i negoziati degli ultimi due anni, Francia e Italia avessero proposto a più riprese che il fondo comune di risoluzione potesse attingere direttamente dal Meccanismo di Stabilità Europeo, il cosiddetto 'fondo salva stati', che ha una capacità di 500 miliardi. Non sarà così. Come nel caso di Spagna e Irlanda, i costi per il salvataggio delle banche continueranno a gravare sul bilancio pubblico (dunque sul contribuente) e il possibile ricorso al Meccanismo di Stabilità Europeo rimarrà condizionale ad un duro programma di aggiustamento monitorato dalla troika.

Dati gli enormi limiti del compromesso raggiunto, l'espressione 'unione bancaria' è ingannevole, per certi versi al limite della disinformazione. L'accordo non favorirà una ricapitalizzazione coordinata del sistema bancario europeo. Al contrario, sancisce il principio molto caro a Berlino & Co. dell'“ognuno va per sé”. Da un punto di vista legale, si tratta in gran parte di una formalizzazione di prassi già consolidate, come il ricorso al fondo 'salva' stati. Totalmente estranei al negoziato, infine, sono rimasti la garanzia comune dei depositi, da molti analisti considerato l'elemento centrale di una credibile unione bancaria, e l'introduzione graduale di un safe asset comunitario come eurobond o eurobill su cui un'unione bancaria deve di fatto reggersi.

È sotto il profilo politico, invece, che l'accordo rappresenta un cambiamento di portata storica, ma solo in termini di cessione di sovranità. Come nel caso dell'introduzione della moneta unica, questa non è stata bilanciata da maggiore integrazione sul piano fiscale. Anche in questo caso, purtroppo, l'esistenza di un vero meccanismo di assicurazione comune non è un optional, ma un elemento imprescindibile all'interno del quadro macro-finanziario finemente pensato dagli architetti dell'unione economica e monetaria. In pratica, si sta ricommettendo lo stesso errore del passato. Questa unione bancaria, su cui tanto l'élite di Maastricht aveva puntato, non potrà funzionare e rappresenta solo l'ultima di una lunga serie di prevedibili (e previsti) insuccessi. Continuare a negarlo non serve. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Si deve ripartire da Strasburgo. Semplicemente dicendo no a questa surreale unione bancaria e mettendone una vera sul tavolo.

 

(1) www.europarl.europa.eu/news/en/news-room/content/20140319IPR39310/html/Parliament-negotiators-rescue-seriously-damaged-bank-resolution-system

 

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Commenti

Unione bancaria

Non sono esperto di questioni bancarie, ma, almeno sul piano dei principi, salta agli occhi la contraddizione tra la cessione del controllo al livello europeo e la conservazione delle responsabilità ai livelli nazionali. Può darsi che il controllo europeo sia migliore di quelli nazionali, ma un domani su questa base potrebbero emergere contenziosi e azioni di responsabilità nei confronti della BCE. Sbaglio di molto?

Banca privata, il peccato sistemico originale

E' quasi incredibile che non si sfiori neppure l'argomento della statalizzazione delle principali banche, quasi si parlasse di un lontano medioevo da esorcizzare con l'oblio.
E già, la banca è un'impresa, e il pensiero unico in economia, il teoliberismo, ha orrore dell'impresa pubblica.
Ma la banca non è un impresa naturale, anzi non è affatto un'impresa, perchè per sua natura presta un servizio obbligatorio, senza il quale non esiste società civile: la gestione del denaro.

La vera bestemmia è la "Banca S.p.A.", questa è la verità che ormai solo un bambino innocente (e ritenuto irresponsabile) potrebbe pronunciare in pubblico senza essere censurato. Eppure è così evidente!

Come si può separare le banche "commerciali" dalle banche d'affari se non si capisce che la gestione della moneta è cosa diversa dal gioco d'azzardo? La realtà è che non lo si vuole capire, altrimenti la truffa finanziaria apparirebbe in tutta la sua oscena nudità, e cosa ben più grave farebbe saltare il sistema di cui vivono le "società avanzate", cioè il parassitismo stile USA, basato sui "rapporti di forza". Questa non è civiltà, è barbarie, ma soprattutto non è sostenibile.

Garanzia

In Italia MPS non è stata salvata, anzi, e nessuna banca è stata salvata dallo Stato, esistono spiegazioni precise per questo. E' l'unico caso in cui lo Stato si è dimostrato capace. I Montibond pagano ottime cedole allo Stato. Solidarietà europea o nazionale il principio è alquanto debole comunque. MPS che nazionalità ha ora che i fondi Americani sono il primo azionista: è italiana perchè ha sede legale in Italia? O Americana? a chi gli si chiedono i dindini? A Obama?
L'unico criterio certo e far intervenire azionisti e obbligazionisti senior. E' chiaro che il sistema bancario va protetto ma il focus dovrebbe essere la natura e il controllo su volume e composizione degli attivi, ovvero sulla prudente gestione. Si è cercata una mediazione perché nessuno si fida pienamente dell'altro paese. E' un compromesso accettabile, migliorabile. Ma è un inizio.
Qualsiasi discorso a babbo morto comporterà sempre lo scarico sulla collettività delle perdite. RIcordiamocelo la banca intrinsecamente è il più rischioso tipo di impresa che esista, per definizione. Quello che sfugge a molti è la differenza che si è persa tra banca ordinaria e merchant bank. Quella separazione, questo è il ganglio è stata evitata. I rischi in questo modo saranno sempre socializzati, che a pagarli sia un finlandese o un italiano non si capisce che differenza faccia.

unione bancaria: elementi essenziali

Come la crisi recente ha dimostrato, non esistono sistemi bancari la cui stabilita' non sia di fatto garantita dallo Stato, e quindi dal contribuente. I meccanismi di mercato, semplicemente non bastano. All'interno di un'unione monetaria, un'unione bancaria vera comporta una condivisione minima della capacita' fiscale, quale quella del fondo 'salva' stati (MES), che di fatto e' l'unica disponibile al momento. Il MES potrebbe a sua volta essere garantito dalla BCE, se lo si volesse.

Secondo, all'interno di una vera unione bancaria la garanzia dei depositi e il fondo di risoluzione devono essere comuni, e non nazionali. Per essere credibili devono essere adeguatamente finanziati e poter attingere a una capacita' fiscale comune se necessario. Quest'ultima dovrebbe condurre all'introduzione di un safe asset comune denominato in euro (eurobond?).

Tutto questo non solo non c'e' nell'accordo raggiunto, ma non e' stato discusso. Rimane comunque vero che anche questo potrebbe non bastare a far funzionare un' unione monetaria nel medio periodo (come credono in molti). Ci vuole un bilancio comunitario adeguato (trasferimenti importanti all'interno dell'area euro), nuove regole fiscali, una banca centrale come la fed, regolamentazioni finanziarie ben piu' stringenti, maggiore coordinamento delle dinamiche dei prezzi, e piu' convergenza in termini di produttività. Di strada da fare, insomma, ce n'e' tanta, probabilmente troppa per i leaders e l'elite che abbiamo e a causa di quelli che li hanno preceduti.

Garanzie

Vedo che si continua mischiare confusamente mele con pere. Le garanzie con i crediti. E' come confondere una fidejussione che è una garanzia, poniamo per 10.000 euro e per la quale una banca o lo Stato incassa una commissione con un mutuo per 10.000 euro. In quest'ultimo caso la banca o lo Stato eroga la cifra pattuita per l'intero e incassa gli interessi e il capitale a scadenza. E' un genere di confusione che si ritrova in moltissima letteratura anche di think Thank economici. LE GARANZIE SONO GARANZIE E I CREDITI CREDITI. DUE COSE DISTINTE E SEPARATE:
Si scrive troppo e si legge male. Aggiungiamo che per l'Italia sino ad ora a pagare se escludiamo MPS che restituirà i suoi Monti bond sono stati esclusivamente i soci delle banche con aumenti di capitale tutte da Unicredit a Carige. Che poi sbilanciamoci si preoccupi del possibile fallimento delle banche è curioso. Ricordiamo che resta la tutela dei depositi sino a 100.000 euro. Le banche come diceva Einaudi andrebbero affamate e non assicurate per il loro azzardo morale. E' questo lo spirito della riforma. Altrimenti si ritorna al too big to fail. L'ESM è finanziato con i soldi dei contribuenti e non facendo cadere soldini dagli alberi ricordiamocelo. E si chiama fondo Salva Stati non fondo salva banche. Più che altro il controllo andrebbe spostato sulla tipologie e qualità degli di attivi presenti in bilancio e sul trading proprietario concesso alle banche.