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Una tassa sul patrimonio delle banche

10/04/2013

Ragioni politiche ed economiche a sostegno della proposta di tassare gli stati patrimoniali delle banche. Una misura che potrebbe far incassare circa 2 miliardi di euro, aiuterebbe a stabilizzare il sistema finanziario e riequilibrerebbe il peso della crisi

A seguito del meeting G20 di Pittsburgh nel 2008, i governi richiesero al FMI di preparare un rapporto riguardo alle diverse possibilità in cui il settore finanziario potesse contribuire ai costi sostenuti per la sua stessa stabilizzazione. Il rapporto [1] successivamente presentato dal FMI sosteneva che tale “contribuzione per la stabilità finanziaria” dovesse assumere la forma di un’imposta, la cui base imponibile fossero gli stati patrimoniali delle istituzioni finanziarie. Tale scelta fu giustificata sulla base della facilità di attuazione nonché diretta connessione con i “sintomi” del rischio sistemico generato da alcune di queste istituzioni, quali l’eccessiva dimensione o l’interconnessione internazionale di alcune banche “too big to fail”.

Nonostante il rapporto ne sottolineasse l’importanza, la mancanza di un coordinamento internazionale nell’attuazione di tale tassa ha impedito un’attuazione di tale misura su scala globale, al contrario ad esempio della tassazione sulle transazioni finanziarie – la celebre Tobin Tax – recentemente approvata dal Consiglio dell’Unione europea [2]. Molti Stati hanno tuttavia individualmente approvato tasse di questo tipo. Ad esempio il Regno Unito ha introdotto nel 2011 un’imposta sulle passività delle banche oltre i 20 miliardi di sterline (circa 23 miliardi di euro) [3]. Simili iniziative sono state adottate in Francia, Germania e Paesi Bassi. L’Italia è uno dei pochi paesi a non aver adottato misure simili [4].

Eppure anche in Italia una misura potrebbe essere utile per due ordini di motivi. Il primo è di natura politico-sociale. Anche in Italia le banche, nonostante non si siano lanciate in cartolarizzazioni come negli Stati Uniti o non abbiano finanziato bolle immobiliari come in Irlanda, Spagna e Regno Unito, nella decade prima della crisi hanno esteso le loro operazioni oltre le tradizionali operazioni di credito e raccolta. Il caso MPS, al di là degli aspetti penali e dall’influenza dei partiti, ha origine infatti in operazioni di fusione / acquisizione – nel caso specifico la scalata ad Antonveneta – risultate poi fallite e che hanno portato a varie operazioni di “soccorso” per coprire le perdite [5]. Negli anni precedenti la crisi del 2008 fusione e acquisizione nel mercato bancario sono state comuni, e il conseguente crollo dei titoli azionari ha creato non pochi problemi a tutte le maggiori grandi banche [6]. Senza contare che l’espansione in alcuni mercati dell’Est Europa ha creato non pochi problemi nel 2008-2009 quando la crisi anche in quei paesi si è fatta sentire [7]. Inoltre, a prescindere dal ruolo nella trasmissione e amplificazione della crisi, le banche italiane rappresentano una fondamentale forza economica nel paese, e le operazioni del governo a loro sostegno hanno comportato interventi pari al 5.5% del PIL italiano, certamente non paragonabili alle spese di altri paesi europei o degli Stati Uniti, ma pur sempre considerevoli [8]. Per parafrasare Bersani, è lecito che “chi ha (ricevuto) di più, contribuisca di più”.

Il secondo ordine di motivi è di tipo prettamente economico. La tassa andrebbe infatti inquadrata all’interno di una più vasta operazione volta a ridurre i costi del debito pubblico e stabilizzare i mercati finanziari. Come propongono Bellofiore e Toporowski [9], il governo potrebbe infatti emettere una grande quantità di titoli a breve termine (i nostri Bot) con cui finanziare un’operazione di acquisto di Btp, provocando così un aumento dei prezzi di tali titoli. Una politica analoga è stata compiuta dalla Fed, con l’obiettivo di abbassare i tassi di interesse a lungo termine [10]. Questa operazione avrebbe un effetto positivo sul sistema bancario, poiché la rivalutazione provocherebbe miglioramento degli attivi delle banche e la possibilità di poterli vendere a prezzi di mercato crescenti nel caso di problemi di liquidità, e abbassando i tassi di interesse a lungo termine potrebbe favorire l’estensione del credito alle imprese. Inoltre l’abbassamento dei tassi di interesse – e di conseguenza dello spread – sui Btp offrirebbe la possibilità allo Stato di finanziarsi per operazioni di più lungo termine. In questo modo si potrebbero finanziare più facilmente investimenti pubblici necessari a rilanciare l’economia o altre simili operazioni, come la proposta di Bersani di ripagare i debiti della PA tramite emissione di Btp [11]. La tassa sarebbe così una sorta di “ticket” che le banche pagherebbero per un’operazione di stabilizzazione del sistema a finanziario.

Una simile tassa avrebbe peraltro costi limitati e potrebbe favorire un ruolo più positivo delle banche per la crescita. Tassare gli stati patrimoniali delle banche, infatti, non riduce sensibilmente la possibilità per le banche di fare credito. In primo luogo, l’abbassamento dei tassi di interesse e la stabilizzazione del sistema finanziario renderebbero l’ambiente più favorevole all’estensione del credito in generale. Inoltre, la tassa andrebbe formulata in modo tale da incoraggiare il credito produttivo, ad esempio aggiungendo detrazioni dalla base imponibile per credito alle piccole e medie imprese e/o alle famiglie. Infine, si tratterebbe di tasse con aliquote molto basse. Al contrario delle politiche di austerità, tassare gli stati patrimoniali delle banche avrebbe quindi un impatto diretto negativo davvero minimo sulla crescita come lo stesso rapporto iniziale del Fmi suggeriva.

Quanto si potrebbe ottenere da una tassa del genere? Le banche italiane in aggregato (quindi includendo banche commerciali, banche d’affari, e cooperative) avevano attività, secondo i dati della Banca d’Italia [12], pari a circa 4200 miliardi di euro a dicembre 2012. Applicando un’aliquota bassa dello 0,03%, l’aliquota applicata in Germania sulle banche di media grandezza, si otterrebbe un gettito di circa 2,1 miliardi di euro. Non si tratta certamente di cifre da capogiro, ma nemmeno irrisorie. Si tratterebbe poi di una cifra importante ma non eccessiva per i redditi del settore bancario: secondo i dati Ocse [13], nel 2009 – annus horribilis per le banche di tutto il mondo – , i profitti delle banche italiane ammontavano a circa 11 miliardi di euro a fronte di attività 3400 miliardi di euro: questo porterebbe ad un gettito di circa 1.2 miliardi, ovverosia circa il 10% dei profitti. Ma se si prende un anno migliore come il 2006 tale rapporto passa al 3%. Naturalmente si potrebbe progressivamente aumentare l’aliquota in modo da dare alle banche il tempo di adeguare le loro operazioni alle nuove imposizioni fiscali, come ad esempio è stato fatto in Regno Unito, dove dal 2013 l’aliquota per la parte di passività a breve termine è dello 0,105%. Toporowski e Bellofiore suggeriscono cifre ancora più alte intorno all’1-1,5%.

In sintesi adottare una tassa sugli stati patrimoniali delle banche:

1) è un’operazione politicamente sensata, poiché farebbe contribuire in maniera diretta il settore più direttamente legato alla crisi;

2) in particolare costituirebbe un contributo nell'ambito di un più vasto programma mirato ad abbassare i tassi di interesse a lungo periodo;

3) favorirebbe un ruolo positivo del credito bancario, oggi più che mai necessario a rilanciare l’economia;

4) non imporrebbe un costo eccessivo sulle banche.

Naturalmente tutto questo non è sufficiente per far ripartire la crescita: la fine delle politiche di austerità in sede europea e il cambiamento del comportamento Bce come prestatore di ultima istanza sono senza dubbio elementi ben più fondamentali. Rimane comunque utile pensare a strategie che i singoli Stati possono adottare per provare a stabilizzare il sistema finanziario e gestire in modo più “creativo” il proprio debito pubblico. Tassare gli stati patrimoniali delle banche può essere una parte importante di questo progetto.

 

[1]www.imf.org/external/np/g20/pdf/062710b.pdf

[2]www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/134949.pdf

[3] Le aliquote in vigore dal 2012 in poi sono 0,088% per le passività a breve termine e 0,0375% per quelle a lungo termine www.kpmg.com/Global/en/IssuesAndInsights/ArticlesPublications/Documents/bank-levy-9v2.pdf

[4]http://archive.nbuv.gov.ua/portal/Soc_Gum/VUABS/2012_2/33_03_01.pdf

[5]http://temi.repubblica.it/micromega-online/brancaccio-monte-paschi-e-solo-la-punta-delliceberg/

[6]http://keynesblog.com/2013/02/01/monte-dei-paschi-una-privatizzazione-disastrosa/

[7]http://archivio.lavoce.info/articoli/pagina1001052.html

[8]http://opendatablog.ilsole24ore.com/2012/07/dopo-il-crack-lehman-spesi-4-700-miliardi-per-il-salvataggio-delle-banche/#axzz2NRH9eF28

[9]www.criticamarxista.net/articoli/5_2011bellofiore.pdf

[10] www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-20/lascia-tassi-fermi-amplia-183507.shtml?uuid=AbwoJavF

[11]www.huffingtonpost.it/2013/02/06/elezioni-2013-ora-tocca-a-bersani-fare-la-proposta-shock-50-miliardi-di-btp-ripagare-imprese_n_2632234.html

[12]www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/pimsmc/2013/sb12_13/en_suppl_12_13.pdf

[13]http://stats.oecd.org

 

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Commenti

testimonianza



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@Alessandro Messina

Grazie del commento.
Innanzitutto non penso di fare confusione tra attivi e patrimonio. I crediti delle banche sono attivi nello stato patrimoniale.Cosa intende per patrimoni? Utilizzo definizioni di bilancio piuttosto basilari.
E in ogni caso le critiche che vengono mosse non mi è chiaro perché derivino da tale confusione.

Nel merito:

1) Se il 75% degli attivi delle banche sono credito, rimane un 25% che non lo è. Specifico inoltre che sarebbe giusto fare una tassazione con aliquote differenziate a seconda del tipo di attività. Crediti alle imprese andrebbe senza dubbio tassati in misura proporzionalmente minore di altre attività finanziarie.

2) Penso invece che una tassa sui patrimoni sia decisamente più utile e benefica di una Tobin Tax. E soprattutto estremamente più facile da attuare. La Tobin Tax dovrebbe avere un effetto disincentivante sulle transazioni finanziarie. Ossia rendere più costosa la compravendita di titoli (in realtà la Tobin Tax dovrebbe essere soprattutto una tassa sulle transazioni sulla valuta estera, ma la sua applicazione in Europa è diversa). Ciò non necessariamente contribuisce alla stabilità di tali transazioni. Inoltre è estremamente facile, nel mondo bancario di oggi fatto di banche internazionalizzate evaderla, dal momento che è possibile per le banche fare una transazione intraeuropea utilizzando canali extraeuropei. Lo stato patrimoniale di una banca è invece dichiarato per legge ogni anno nel bilancio reso pubblico a fini fiscali. Operazioni di maquillage sono sempre possibili ma più difficile su basi sistematica. Tuttavia le due tasse non sono alternative, si può studiare una combinazione delle due.

3) Ho specificato che la tassa sarebbe comunque a percentuali basse. Non colpirebbe in misura così sensibile le banche, e non vedo perciò per quale motivo dovrebbe ridurre la possibilità di fare credito in maniera sensibile. Questo specie se appunto si tassano di più attività di tipo speculativo rispetto al credito. Potrebbe anzi essere un potente incentivo a fare credito.

4) Il rapporto FMI propone proprio la tassa perché non ridurrebbe sensibilmente il credito, e la tassa avrebbe quindi effetti recessivi trascurabili. Inoltre in tutti gli Stati dove è applicata tali effetti enormi sull'erogazione di credito non si vedono. Il credit crunch peraltro c'è già: le banche al momento non fanno credito non per le tasse ma a causa delle loro operazioni speculative (nel caso di paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna) oppure a causa della recessione che sta rendendo molti crediti inesigibili (in Italia) o una combinazione delle due (Spagna). Una tassa del genere non cambierebbe poi molto, e se potesse essere inquadrata in una vasta operazione di stabilizzazione dei mercati finanziari potrebbe anche essere accettata dalle banche.

5) Sui tassi di interesse potrebbe invece avere ragione. È sicuramente possibile che una tassa possa essere interamente scaricata sui debitori in termini di interessi sul credito. Ma questo vale per tutte le tasse.

6) In ogni caso penso che sia meglio tassare le banche che le piccole-medio imprese o i lavoratori. In termini di effetti recessivi al momento credo che non ci sia paragone...

una proposta pericolosa

Cosi come formulata in questo articolo, la proposta avrebbe due immediati effetti negativi sull'economia reale: contrazione dei crediti (credit crunch) e aumento dei tassi di interesse per imprese e famiglie. Ciò è dovuto alla confusione che c'è nell'articolo tra patrimonio e attivo delle banche. In particolare, nel caso italiano, va ricordato che il 75% degli attivi sono rappresentati da crediti all'economia reale, non da finanza. È su quest'ultima che occorrerebbe concentrarsi. Personalmente credo di più nell'utilita di una tassa sulle transazioni (a la Tobin), che contribuisce meglio alla stabilita del sistema. Tassare l'attivo o anche solo il patrimonio di banche dedite all'economia reale, come le BCC o come Banca etica, mi sembrerebbe un altro modo per affossare l'economia italiana e penalizzare i modelli virtuosi di banca rispetto a quelli tutti devoti alla finanza e alla speculazione.