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Cassa Depositi e Prestiti, cambiarla per usarla bene
La riscoperta dello stato passa per la Cassa Depositi e Prestiti, uno strumento che può avere un ruolo importante per indirizzare investimenti e lanciare nuove attività che i privati non sono in grado di realizzare. Ma la gestione attuale lascia a desiderare
L’intervento dello stato in economia era passato di moda nei decenni di “pensiero unico” neoliberista, ma ora sono in molti a ripensarci. Da un lato la crisi mostra che il mercato, lasciato a se stesso, produce disastri, dall’altro le economie emergenti, in testa quella cinese, insegnano che la crescita ha bisogno di un forte ruolo dello stato.
Ma come si può realizzare l’intervento dello stato? L’operatore pubblico può essere l’architetto della strategia economica di un paese, può avere la proprietà diretta di un numero rilevante di imprese, può dare sostegno e assistenza all’impresa privata. In Europa abbiamo ora segnali significativi di una nuova attenzione a modalità di intervento nel capitale delle imprese, con un ruolo significativo di strutture quali la Caisse des Depots et Consignations francese, la Kfw tedesca e la nostra Cassa Depositi e Prestiti.
Nata a Torino nel 1850, la Cassa Depositi e Prestiti ha mantenuto un ruolo preponderante di raccolta di risorse attraverso il risparmio postale e di investimento attraverso il finanziamento di progetti degli enti locali. Nel 2003 la Cassa assume la forma di società per azioni e contemporaneamente entrano nel capitale, con il 30% del totale, gli istituti bancari. Questa “privatizzazione” dell’ente comporta, tra le sue conseguenze, quella che mentre prima i prestiti agli enti locali venivano erogati a tassi di favore, da ora in poi essi vengono concessi a prezzi di mercato, mentre le stesse banche spingono per assicurarsi una fetta sostanziale della torta.
A partire dallo stesso anno, i compiti dell’organizzazione vengono notevolmente allargati, copiando quasi alla lettera l’analogo ente francese. Essi vanno oggi in molteplici direzioni, alcuni dei quali rimasti solo sulla carta:
1) le attività più tradizionali, quali il risparmio postale e il finanziamento alla pubblica amministrazione e degli enti locali; la Cassa, in relazione anche alla crisi del credito, controlla oggi circa il 75% di tale ultimo mercato;
2) il finanziamento di infrastrutture private;
3) il supporto alle imprese attraverso strumenti di debito e di capitale. Questo avviene utilizzando alcune strutture dedicate, quali il Fondo Strategico Italiano, che interviene nel capitale di imprese con un fatturato maggiore di 240 milioni di euro e con più di 200 dipendenti, il Fondo Italiano di Investimenti, che vede anche una rilevante partecipazione del sistema bancario e che interviene invece in imprese con un fatturato tra i 10 e i 250 miliardi e un fondo ulteriore (il Plafond fund), sempre con partecipazione bancaria, che finanzia le spese di investimento e il capitale circolante delle piccole e medie imprese, sostenendo anche il ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione. È prevista inoltre la presa di partecipazioni nelle imprese più grandi del panorama nazionale;
4) i programmi di edilizia pubblica;
5) la valorizzazione del patrimonio immobiliare;
6) la protezione dell’ambiente.
Le dimensioni della Cassa ed i pericoli da evitare
L’ente potrebbe essere uno strumento prezioso per contribuire a una politica industriale nel nostro paese. Ma i presupposti perché questo avvenga devono essere fondati su una valutazione realistica di come funziona oggi la Cassa.
Il bilancio 2011 mostra attività complessive per 249 miliardi di euro per l’ente, tra le quali 19 sono costituite da partecipazioni (Eni, 26,3%, Terna, 29,9% cui si stanno aggiungendo nel 2012 i pacchetti di controllo di Fintecna-Fincantieri (100%), Snam (30%) , Sace (100%), Simest (76%)), prestiti al tesoro per 127 miliardi e agli enti locali per 92 miliardi, più partite varie minori. Tali impieghi sono finanziati per circa 14 miliardi dai mezzi propri, per 207 dal risparmio postale e per il resto da emissioni obbligazionarie. Alla fine del giugno 2012, poi, le attività complessive avevano ormai raggiunto i 296 miliardi e i mezzi propri i 15,6 miliardi.
Le dimensioni della Cassa sono inferiori a quelle degli omologhi enti francesi e tedeschi. Un aumento del livello di attività della struttura italiana appare auspicabile e già in parte in atto. Peraltro, va considerato che la base di capitale appare piuttosto ridotta e che la gran parte dei finanziamenti provengono dai risparmi postali, che non bisogna compromettere con una politica troppo avventurosa.
Questo significa che la crescita delle dimensioni deve essere piuttosto prudente, mentre sarebbe molto importante selezionare con attenzione i settori su cui concentrare l’attività. La politica perseguita dall’attuale management sembra invece andare in troppe direzioni e con una strategia che appare piuttosto casuale o forse radicata in alcuni interessi ben precisi. Per altro verso, si è scatenata da parte di molti gruppi affaristici e parapolitici la caccia per mettere le mani sul “tesoro”. Le decisioni più significative appaiono oggi nelle mani di una serie di lobby.
Da più parti, da destra e da sinistra, si accusa la Cassa di voler diventare una nuova IRI. A nostro parere non ci sarebbe nulla di male in questa ipotesi; i problemi stanno semmai nelle scelte specifiche da portare avanti. Certo, bisogna evitare che essa sprofondi nelle degenerazioni in cui a un certo punto sia l’Iri che l’Eni si sono infilate. Ricordiamo che dopo decenni di grande contributo dell’Iri allo sviluppo economico del nostro paese, l’ente diventa una struttura docile nelle mani dei politici di turno, un carrozzone dedito al sottogoverno; l’Eni, per altro verso, usava i partiti come dei taxi ed era nei suoi uffici che si elaborava la politica estera del paese.
Cosa non va nelle scelte dell’attuale management
Una serie di mosse recenti da parte del gruppo dirigente della Cassa appaiono molto discutibili:
- essa si sta impegnando per entrare nel capitale di diverse utilities di rilevanti dimensioni, da Hera all’Acea, accompagnando anche i loro processi di accorpamento con altre strutture. Impegnare una parte delle scarse risorse disponibili per il sostegno a degli organismi politico-burocratici che in genere hanno come linea di comportamento un aumento rilevante delle tariffe ed un peggioramento del livello del servizio non appare avere molto senso; la creazione di grandi strutture “multiutility” presenta l’ulteriore inconveniente di separare sempre più tali aziende dalle possibilità di un loro controllo sociale da parte del territorio. Si potrebbe invece fare come in Germania per il settore dell’energia, dove si sta tornando alla proprietà pubblica e comunale di tali enti;
- da qualche tempo la stampa parla di un ingresso della Cassa, in posizione di minoranza, nel capitale di una società che dovrebbe nascere dallo scorporo della vecchia rete telefonica di Telecom Italia. Sarebbe un regalo a Telecom che incasserebbe qualche miliardo di euro senza grandi sforzi. Non si capisce a quale obiettivo strategico potrebbe rispondere un’operazione del genere. Per altro verso, appare assennata l’idea di partecipare come azionista di Metroweb allo sforzo per la messa in piedi della banda larga;
- sembra certamente corretta in generale l’idea di sostenere, attraverso prestiti e l’ingresso nel loro capitale, lo sviluppo delle piccole e medie imprese ed anche di quelle più grandi. Va sottolineato, peraltro, che appaiono troppo larghi i settori di intervento – nel caso del fondo strategico vengono sottolineati come prioritari i comparti della difesa, della sicurezza e delle assicurazioni, scelte che appaiono del tutto fuori luogo -, mentre per essere in qualche modo efficace lo sforzo dovrebbe concentrarsi su pochi settori, da una parte quelli con rilevanti prospettive di sviluppo, dall’altra alcuni comparti ben individuati nell’area delle nuove tecnologie. Questa appare un’area verso la quale aumentare quanto possibile le risorse da impiegare. Per altro verso, l’impegno nel capitale di piccole e medie imprese (e anche di quelle più grandi) dovrebbe essere retto da solide motivazioni economiche, industriali e tecnologiche, mentre alcuni casi fanno pensare a fattori politico–clientelari.
- anche per quanto riguarda la concentrazione nelle sue mani dei pacchetti di controllo di alcune grandi imprese di proprietà pubblica, l’idea in generale appare corretta. Ma ci si domanda da una parte in quali aziende sia giusto intervenire, dall’altra quale sia la capacità della Cassa di incidere sulle loro scelte strategiche. Il rischio è di impegnare risorse pubbliche per permettere a qualche gruppo politico-manageriale-affaristico di gestire in tutta pace i propri affari, senza essere disturbato. By the way, chi controlla oggi veramente l’Eni, la Snam o la Terna?
- piuttosto problematica appare anche l’idea, lanciata da varie parti, di coinvolgere la Cassa, attraverso le più varie operazioni di ingegneria finanziaria, nei tentativi più fantasiosi volti alla riduzione del livello del debito pubblico italiano;
- per quanto poi riguarda il settore edilizio, a fronte del piano della Cassa francese che prevede la costruzione di 150.000 alloggi popolari all’anno, il contributo della nostra Cassa in Italia appare irrilevante;
- più in generale, essa sembra spingere la sua attività in maniera disordinata verso le più varie direzioni, facendo un po’ di tutto, senza un preciso piano, che dovrebbe invece puntare a concentrare l’attenzione su pochi obiettivi prioritari, in direzione soprattutto del sostegno a uno sviluppo ecosostenibile del paese.
Un presupposto fondamentale di questa svolta appare il cambiamento dell’attuale gruppo dirigente. Un altro, quello di arrivare a “ripubblicizzare” la Cassa, riducendo, tra l’altro, il peso e l’influenza per molti aspetti negativa del sistema bancario e rendendo più direttamente collegabili i suoi processi decisionali agli obiettivi generali della politica del paese.
Al caso della Cassa Depositi e Prestiti è dedicata la trasmissione di Report, Rai Tre, di domenica 14 ottobre.
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