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Il "fondo locusta" chiamato Fiat

11/05/2009

TEMPO fa Marchionne derise la Porsche paragonandola a un hedge fund. Adesso però vuole trasformare la Fiat in un fondo "locusta" di private equity, specializzato in attività in crisi. Punta su aziende sull' orlo del baratro per negoziare duro concessioni da creditorie dipendenti, rilevare le attività con zero capitali, finanziare la ristrutturazione con la leva fornita da altri, accorpare il tutto, e collocarlo in Borsa per sfruttare l' entusiasmo del mercato per le scommesse. Se va bene, profitti favolosi; se va male, i soldi sono degli altri. In un crescendo rossiniano, offerta per Chrysler, per Opel, scorporo Fiat Auto, trattativa per GM in SudAmerica e Saab: senza capitali, Marchionne dichiara di voler creare "il secondo gruppo mondiale". Chrysler non risolve i problemi della Fiat, perché non ne utilizzerà mai la capacità produttiva (quindi nessun impatto su costi e margini), e per anni non genererà liquidità. Da dimostrare che Fiat possa risolvere quelli di Chrysler che per almeno due anni dovrà camminare sulle sue gambe continuando a vendere jeep e pickups, dovendo sussidiare pesantemente (4.000 dollari per auto nel 2009) una rete di vendita falcidiata,e mantenere l' assistenza a tutte le vetture in circolazione. Poi, fra due anni, dovrà vendere la 500 alla sua clientela, affezionata ai Suv, con margini risicati: dai 7000 dollari di profitto per un Suv a un massimo, penso, di 600 dollari per una Punto (la Ford vende a 17.000 dollari la stessa Focus che in Europa costa 30.000 dollari). Ma questi sono problemi dei sindacati, che hanno accettato forti concessioni in cambio del 55% della società conferita al loro fondo sanitario (se perderanno il lavoro, rischiano anche la copertura medica), dei creditori (quelli garantiti recuperano appena il 28%), e del governo americano che, tra aiuti concessi e finanziamenti promessi, entro il 2013 avrà riversato in Chrysler 20,8 miliardi. Fiat non ci mette una lira. È questo il colpo di genio di Marchionne: essersi proposto come ultima spiaggia a un governo Usa disperato, dopo che Chrysler aveva ormai sondato tutte le alleanze possibili al mondo (è scritto proprio così nell' istanza di fallimento). L' operazione Chrysler è però essenziale per poter rendere attraente per la Borsa un futuro titolo Fiat Auto, scisso da Fiat Spa, da offrire come merce di scambio per comprare Opel; senza metterci capitali. Anche qui, facendo leva sui soldi pubblici da un governo tedesco deciso a salvare Opel, in cambio di una ristrutturazione soft. E poi, di fronte alla prospettiva che in Italia nasca "il secondo gruppo mondiale", come faranno le nostre banche (e, alla fine, anche il governo) a rifiutarsi di sostenere il progetto? Ma c' è anche GM sull' orlo del baratro: deve cedere attività per evitare la bancarotta. Marchionne si offre di rilevare le sue attività in SudAmerica, che permetterebbe a Fiat tagli di costi anche laggiù. Naturalmente, senza sborsare un soldo, ma offrendo a GM la carta della futura Fiat Auto con dentro Chrysler e Opel. Così, GM ha interesse affinché il Governo tedesco ceda Opel (di GM) a Fiat. Che si prenderebbe pure Saab (sempre GM), altro caso disperato, ma sicuramente con una ricca dote offerta dal governo svedese. Fiat era in mezzo al guado, ancora troppo piccola in tutti i settori (auto, componenti, autocarri, macchinari). Doveva fare una scelta. Ha fatto quella più rischiosa, da private equity, a leva. E gli Agnelli? Si sono trovati su un' ottovolante che fa il giro della morte. Ora possono solo sperare di ritrovarsi in portafoglio il 10 per cento di un impero dell' auto. Altrimenti gli resterà solo la cara, vecchia Fiat che l' anno scorso ha bruciato 6 miliardi di cassa (altri 400 milioni nel primo trimestre 2009); che ha 23 miliardi di debiti lordi, 10 dei quali da rifinanziare quest' anno, e solo 5 in cassa. E che ha fatto il 70% degli utili del 2008 trasferendo il marchio Fiat a una controllata.

Tratto da www.repubblica.it