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Il miliardario Del Vecchio e la politica fiscale

28/07/2011

Una storia di successo, l’idea di giustizia e la crisi italiana. Ovvero perché tassare i patrimoni e le successioni (e meno i redditi) è giusto, efficiente e necessario

Secondo la rivista americana Forbes (2011), Leonardo Del Vecchio è il secondo uomo più ricco d'Italia, dopo Michele Ferrero con un patrimonio netto di 11 miliardi di dollari e 71º nella classifica mondiale. A differenza di quest’ultimo, l’intera ricchezza accumulata è esclusivamente riferibile al suo operato non avendo ereditato alcuna attività di qualche valore. Il patrimonio è ascrivibile in primo luogo al possesso della società di diritto lussemburghese Delfin S.à.r.l. che controlla il 68,5% di Luxottica Group Spa, multinazionale attiva nella produzione di occhiali e quotata sulla Borsa di Milano e detiene, tra le altre, partecipazioni in Unicredit e Assicurazioni Generali. Secondo la stessa rivista, la retribuzione percepita nel 2009 come Presidente di Luxottica assomma a “soli” 1,2 milioni di euro.

L’ing. Del Vecchio è arrivato al centro degli equilibri del potere economico e finanziario italiano e gode di buona reputazione; è stato oggetto di cronaca non favorevole soltanto in occasione di alcune contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria dello stato per irregolarità fiscali. Anche per tale ragione, la sua vita è emblematica di molti aspetti del capitalismo contemporaneo, non solo italiano.

Dalla biografia riportata in Wikipedia si legge che, orfano, trascorse i primi anni di vita nel collegio dei Martinitt a Milano e iniziò presto a lavorare come apprendista incisore in una fabbrica di stampi per ricambi automobilistici e montature per occhiali. Nel 1958, a 23 anni, si mette in proprio aprendo una bottega di occhiali in provincia di Belluno; dopo alcuni anni fonda la società Luxottica. A partire dal 1995 gli vengono conferiti numerosi titoli accademici honoris causa, tra i quali, nel 2006, la laurea in Ingegneria dei materiali dal Politecnico di Milano.

Nei suoi 60 anni di lavoro, che includono i primi come apprendista incisore, ha accumulato in media ogni giorno, oltre 500.000 euro. I dati relativi alle imposte versate al fisco nello stesso periodo come persona fisica non sono noti, ma è ragionevole ipotizzare che, se si esclude una transazione di 300 milioni di euro effettuata nel 2009 con l’erario per sanare operazioni di esterovestizione di redditi provenienti da attività italiane, l’aliquota media sia del tutto marginale (probabilmente il totale delle tasse pagate in 60 anni è inferiore a 80 milioni di euro, pari all’1% della ricchezza accumulata).

Il risparmio medio giornaliero dell’ing. Del Vecchio è pari al reddito da lavoro di 25 anni di molti dipendenti italiani. Il confronto non è tra grandezze omogenee, perché in un caso si parla di accumulo di ricchezza, cioè al netto delle spese di mantenimento (non irrisorie atteso che Del Vecchio è proprietario, tra l’altro, di uno yacht di 62 metri), nell’altro di reddito prodotto per il sostentamento del dipendente e della sua famiglia. L’aliquota minima d’imposta sul reddito delle persone fisiche è pari al 23% ed è più elevata per i percettori di un reddito annuo di 25.000 euro.

Il confronto sollecita una serie di domande, morali ed economiche che vanno oltre il caso dell’ing. Del Vecchio, le cui qualità imprenditoriali sono fuori discussione; esso è qui riportato esclusivamente come esemplificazione estrema della distribuzione della ricchezza presente nel nostro Paese.

1. È eticamente accettabile un sistema economico e sociale come l’attuale che consente enormi disparità nel livello di ricchezza dei propri cittadini? La questione che va affrontata è se nel sistema capitalistico la scala di ordinamento delle persone in base ai meriti riconosciuti dal mercato risponda a requisiti di valutazione oggettivi ed equi, intendendosi con quest’ultimo attributo la sintesi di valori socialmente condivisi (ad esempio competenza, onestà, professionalità, correttezza, impegno).

2. È eticamente accettabile un sistema fiscale che consente, a fronte di un enorme accumulo di ricchezza, di versarne all’erario soltanto una quota molto ridotta? Per la maggior parte delle persone ricche, l’accumulo patrimoniale proviene da attività imprenditoriali e si manifesta soltanto in minima parte sotto forma di reddito, che costituisce la base imponibile su cui si calcolano le imposte dirette nel nostro Paese; viceversa il reddito è l’unica o la principale fonte di ricchezza per la maggior parte dei lavoratori. Tale disparità di trattamento rende il sistema fiscale fortemente regressivo all’aumento della capacità contributiva, tra l’altro in contrasto con il dettato della Costituzione repubblicana.

3. È eticamente accettabile un sistema fiscale che non prevede tasse sulla successione ereditaria? Anche accettando l’ordinamento dei redditi dato dal mercato, non si capisce perché la scelta dei propri genitori possa costituire un fattore premiante, talvolta gigantesco. Quando l’asse ereditario dell’ing. Del Vecchio sarà suddiviso fra i suoi sette figli, ciascuno di essi entrerà in possesso di oltre un miliardo di euro, pari al reddito di 50.000 anni di lavoro di un lavoratore dipendente di medio livello.

4. È economicamente razionale favorire una distribuzione del reddito fortemente concentrata? È statisticamente assodato che la propensione al consumo delle persone diminuisce al crescere della ricchezza e in situazioni di non pieno utilizzo dei fattori produttivi, un aumenti dei consumi può favorire la crescita. Si tratta di una ben nota teoria economica, di tratto keynesiano (cioè del principale economista del secolo scorso) per cui nelle fasi di crisi, le politiche redistributive del reddito e della ricchezza favoriscono la ripresa produttiva.

5. È economicamente razionale accrescere l’indebitamento dello stato per consentire alla fascia di popolazione più benestante di essere sostanzialmente esente dal finanziamento della spesa pubblica? Il debito pubblico italiano ha raggiunto il 120% del Pil, la quota più elevata dei paesi europei, a eccezione della Grecia, e nelle ultime settimane lo stato paga un premio al rischio sui propri titoli superiore di circa 3 punti percentuali a quello degli analoghi titoli tedeschi, con una maggiore spesa per interessi dell’ordine di 50 miliardi di euro. Tale situazione finanziaria costringe lo stato a tagliare le spese relative ai servizi pubblici, impoverendo l’intera collettività nazionale.

Le risposte ai suddetti quesiti segnalano l’importanza di introdurre un’imposta diretta annuale sul patrimonio e sulle successioni che in prospettiva vada a sostituire una parte consistente del gettito proveniente dall’imposta sul reddito.

Secondo l’ultima indagine sulla ricchezza del nostro Paese pubblicata dalla Banca d’Italia nel dicembre del 2010, la ricchezza netta media delle famiglie italiane è pari a circa 350.000 euro (140.000 euro quella pro capite) e “la distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione”: il 10% delle famiglie più ricche detiene il 45% della ricchezza complessiva mentre la metà più povera detiene solo il 10% della ricchezza totale. In valore assoluto ciò significa che in media circa 2,5 milioni di famiglie hanno un patrimonio dell’ordine di 1,5 milioni, 10 milioni di nuclei dispongono di una ricchezza lievemente superiore a quella media italiana, mentre è molto bassa la ricchezza di metà della popolazione.

A partire da questi dati si può ipotizzare l’introduzione di un’imposta patrimoniale annuale che colpisca in modo progressivo la ricchezza superiore a una determinata soglia. Ipotizzando un valore di 500.000 euro, la base imponibile complessiva sarebbe dell’ordine di 3.000 miliardi di euro. Un sistema a quattro aliquote potrebbe avere la seguente struttura:

• 5 per mille per la quota compresa tra 500.000 e 1 milione di euro

• 10 per mille per la quota compresa tra 1 e 3 milioni di euro

• 15 per mille per la quota compresa tra 3 e 10 milioni di euro

• 20 per mille per la quota eccedente

Tale sistema porterebbe a un maggior gettito per l’erario dell’ordine di 40 miliardi di euro l’anno. Ove si consentisse di dedurre dall’imposta sul reddito la patrimoniale versata all’erario, il gettito netto sarebbe inferiore. Si tratta di sacrifici complessivamente limitati per la parte più benestante della popolazione: ad esempio la patrimoniale per una famiglia con una ricchezza netta di 1 milione di euro sarebbe pari ad appena 2.500 euro.

L’imposta sulle successioni potrebbe seguire la medesima scala con aliquote molto più elevate.

L’introduzione di queste misure – e un insieme di altre operazioni sul bilancio pubblico – porterebbe al risanamento finanziario, a una riduzione consistente della spesa per interessi e renderebbe possibile una significativa riduzione dell’imposizione sul reddito, che ha raggiunto livelli eccessivi per il ceto medio produttivo che paga le tasse.

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Commenti

risparmi?

Sono molto interessata a trovare un modo per rendere il nostro sistema più equo rispetto alla ricchezza prodotta. Quindi ho letto con molto interesse l'articolo di Pitagora sui patrimoni dei super-ricchi italiani.
Vorrei però capire meglio e quindi pongo una domanda: gli 11 miliardi di Del Vecchio sono in larga parte ascrivibili al possesso di una società, come scrive Pitagora. In che senso è allora corretto attribuire a persone fisiche patrimoni che sono di una società e quindi fare ragionamenti sulla propensione ai consumi delle persone fisiche e sulla regressività del sistema fiscale come fa Pitagora nel suo articolo?
Il patrimonio citato è di una società e tale patrimonio - se capisco bene - attende in realtà di essere valutato dal mercato in occasione di cessioni e eredità.
Quindi a rigor di logica la mia impressione è che si ha in mano una forte argomentazione a favore della tassazione patrimoniale solo quando si parla di tassazione del patrimonio in occasione di vendite e eredità. E' in questi momenti che si fa una valutazione del patrimonio più "oggettiva" e quindi ha senso prelevare una quota per "pagare" i servizi e infrastruttre di cui la società si è avvalsa per produrre quel patrimonio che finisce poi nelle tasche di qualcuno. Sempreché il denaro di quei patrimoni non sia in realtà già stato tassato prima di essere accantonato sotto forma di patrimonio.
Confesso di essere ignorante in tema di bilanci e regimi fiscali. Spero che le mie osservazioni colgano qualcosa di vero e qualcuno di possa spiegare perchè ha senso attribuire il patrimonio di una società a chi è in possesso di quella società.

Articolo "il miliardario Del Vecchio e la politica fiscale

Musica per le mie orecchie, ma vorrei segnalarvi che state correndo il rischio d'essere tacciati di COMUNISMO!
Continuo a seguire con grande piacere le vostre puntuali analisi, che smentiscono l'impressione - favorita dal Governo e da questa opposizione - che siano impossibili le alternative a questo corrotto e decadente sistema.