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Il caso spagnolo

07/06/2012

La caduta di fiducia nella Spagna ricorda la crisi irlandese del 2009-10; ad aggravarla, la spirale perversa tra austerità e recessione innescata dalle miopi scelte europee

La situazione generale dell’economia

La Spagna è in recessione e le ultime stime sul Pil del 2012 parlano di una sua diminuzione dell’1,8%. Le prospettive appaiono peraltro peggiori di quanto mostri tale andamento, in particolare per il grande livello del debito privato, per la profonda crisi del sistema bancario e per il fatto che i mercati finanziari sono ormai sostanzialmente chiusi per il paese. Un indice più affidabile delle difficoltà è rappresentato dal livello di disoccupazione, che ha ormai raggiunto il 24% della forza lavoro, con punte altissime per quella giovanile (siamo ormai al 51,5%). La situazione critica dell’economia è ovviamente aggravata dalle misure di austerità imposte dall’Europa. Aumentano in misura rilevante le fughe di denaro, mentre si teme un bank run. Nei primi tre mesi del 2012, 97 miliardi di euro sono usciti dal paese. Tutto questo mentre l’allievo stava cercando diligentemente di fare tutto quanto comandato da Bruxelles e da Berlino.

Debito pubblico e debito privato

Il caso spagnolo si presta a provare l’infondatezza dell’analisi che i tedeschi fanno della crisi e dei rimedi conseguenti, con la loro ricetta generica che dovrebbe essere buona per tutte le situazioni. Il taglio della spesa pubblica indicato come panacea per tutti dalla Merkel e dalla Commissione europea mal si presta a coprire il caso della Spagna, che prima della crisi mostrava un rapporto tra debito pubblico e Pil inferiore a quello della stessa, virtuosa Germania. Nel 2008 tale rapporto era pari al 39,7%, per salire poi al 68,5% nel 2011. Le previsioni per il 2012 fanno riferimento a una cifra del 79,8%. Per altro verso, la percentuale deficit/Pil dell’ultimo periodo può sembrare fuori controllo –è stata dell’8,9% nel 2011- ma la ragione di tale squilibrio non è da ricercare nella scarsa disciplina dei conti pubblici; semmai nel tentativo di intervenire per evitare che la situazione precipitasse. Così “le difficoltà di bilancio della Spagna sono una conseguenza della crisi, non la sua causa” (Wolf, 2012).

L’epicentro finanziario delle difficoltà sta invece nell’elevatissimo debito privato, pari al 227,3% del Pil alla fine del 2010 e di poco inferiore alla fine dell’anno successivo. Come nel caso dell’Irlanda, i guai vengono dal settore privato e non da quello pubblico.

Come nel caso greco, il sistema finanziario internazionale, in particolare quello francese e tedesco, ha prestato irresponsabilmente montagne di denaro al paese pompando la bolla finché le cose sembravano andare bene, mentre in seguito i tentativi dello stesso sistema di trarsi bruscamente d’impaccio hanno contribuito ad aggravare la crisi. Abbiamo assistito così a una variante dello schema di Minsky, che analizzando a suo tempo le crisi finanziarie individuava un ruolo di destabilizzatore endogeno del sistema bancario; nell’analisi dell’economista si faceva riferimento alle bolle borsistiche, mentre in questo caso la bolla si svolge sul mercato immobiliare.

A livello complessivo, la spinta della Ue perché la Spagna riduca il livello del suo debito pubblico, in presenza di un tentativo di deleveraging in atto da parte del settore privato, non può che portare a una depressione rilevante e prolungata dell’economia. La Spagna è ora “in una trappola debitoria che peggiora continuamente, dalla quale l’unica via d’uscita sarà il default” (Munchau, 2012). Il bilancio pubblico dovrebbe ridurre il suo deficit sul Pil dall’8,9% del 2011 al 3% nel 2013, un calo del 5,9 % in due anni, “incredibile” per Munchau, o almeno devastante per l’economia e per gli spagnoli. Tutto questo a meno che ovviamente non arrivi dalla Merkel e dai burocrati di Bruxelles il permesso di respirare, permettendo che si mantenga un forte deficit per alcuni anni, sino a che si riduca il livello di indebitamento del settore privato. Ma ancora il 30 maggio la Commissione europea ha ribadito che il governo spagnolo, pur così ligio, non ha fatto ancora abbastanza e che avrà bisogno di portare avanti nuovi aumenti di tasse e tagli di spesa almeno sino alla fine del decennio. Una follia.

Immobiliare e sistema bancario

La crescita dell’economia spagnola, assistita da un credito facile e a buon mercato, si interrompe bruscamente nel 2008. Essa era ampiamente basata sullo sviluppo artificioso del settore immobiliare, la cui grave crisi a partire dal 2008 trascina con sé anche drammatiche conseguenze per il sistema finanziario. I crediti incagliati delle banche hanno così raggiunto l’8,4% del totale nel marzo 2012. Alcune fonti valutano che sia necessario immettere dei mezzi propri nel sistema per 50-60 miliardi di euro, mentre altre parlano di cifre intorno ai 100 miliardi di euro (The Economist, 2012) e c’è anche chi si spinge ragionevolmente sino ai 120 miliardi e oltre.

Una delle vie seguite dal governo per cercare di uscire dalle difficoltà è stata quella di fondere insieme più istituti, permettendo così che, all’interno di ogni raggruppamento, quelli deboli siano sostenuti da quelli con un bilancio migliore. Ma già l’esperienza della Bankia, frutto a suo tempo della fusione di sette banche più piccole e che ora ha bisogno di 23 miliardi di euro di nuovo capitale (circa cinque volte tanto rispetto alle prime stime), mostra le difficoltà di tale opzione (Economics blog, 2012). Il governo conservatore spagnolo, che non cessa di commettere errori su errori, sembra persistere in tale politica, meditando di fondere altre tre banche tra di loro.

Le opinioni degli osservatori sembrano unanimi nel giudicare molto difficile che la soluzione del problema di Bankia, così come delle altre banche in difficoltà, si possa trovare con le sole risorse interne al paese, come il governo sembrava pensare almeno sino a qualche giorno fa, mettendo a punto soluzioni dilettantesche al riguardo. D’altro canto, il popolo spagnolo, che è obbligato a stringere la cinghia, trova difficile digerire il salvataggio con le proprie risorse di quelle banche le cui follie lo hanno portato alla rovina (Tremlett, 2012).

Si deve comunque considerare che in Spagna (ma anche altrove) si registra ormai una stretta interdipendenza tra le banche e l’andamento dei budget pubblici e non sembra esserci modo per uscire da questa trappola al solo livello nazionale. Una parte del debito pubblico è detenuto dalle banche, che così sono esposte a potenziali e devastanti perdite (gli istituti spagnoli hanno in più molti crediti immobiliari inesigibili). A sua volta un governo debole tenta di salvare il sistema bancario, ma non ne ha i mezzi. In ogni caso appare chiaro che ormai il problema europeo e non solo spagnolo non è solo quello dei budget pubblici, ma anche di un sistema bancario in pesanti difficoltà. Si va facendo così strada, a livello internazionale, l’idea della costruzione di un sistema bancario a livello europeo, con un meccanismo di regolazione e di supervisione unico, una garanzia europea sui depositi bancari degli istituti del continente, l’intervento del fondo salva stati o di qualche altro organismo nel salvataggio delle banche spagnole e, più in generale, di quelle del continente, oltre ad un qualche rafforzamento dell’intervento della Bce ed altro ancora.

La stessa Merkel, secondo fonti di stampa, non sarebbe del tutto ostile al progetto, almeno per quanto riguarda alcune sue parti, ma porrebbe come condizione un parallelo avanzamento sul fronte di una maggiore integrazione del continente a livello economico – con un più stretto coordinamento delle politiche economiche e di quelle di bilancio - e politico - dando tra l’altro maggiori poteri al Parlamento e alla Commissione europea (Kulish, 2012). Se così fosse veramente, senza nascondersi le difficoltà e i tempi lunghi delle eventuale intesa (chissà, tra l’altro, se paesi come la Gran Bretagna o la stessa Francia aderirebbero al progetto), si potrebbe forse imboccare finalmente la via giusta per uscire dalle difficoltà. D’altro canto, il progetto di costituzione di un sistema bancario europeo presuppone necessariamente una più stretta unione politica.

Conclusioni

Da qualche anno siamo sempre allo stesso punto. La caduta della fiducia nella Spagna provocata dalle difficoltà delle sue banche ci ricorda la crisi dell’Irlanda del 2009-2010, mentre la spirale perversa tra politiche di austerità e recessione appare simile al processo che ha spinto alla caduta dell’economia in Grecia e in Portogallo (Roubini, Greene, 2012). Nulla è stato risolto ed ora con le drammatiche difficoltà di Grecia e Spagna si sono riaccesi, come era facile prevedere, i riflettori sulla crisi dell’euro e sull’impasse della costruzione europea. Di nuovo il tempo a disposizione per intervenire adeguatamente non sembra più lungo di qualche settimana.

Si uscirà da questa crisi con l’ennesimo accordo tampone che placa le acque solo per qualche settimana o si riuscirà finalmente a mettere a punto un accordo vero, che vada in direzione di un nuovo slancio nella costruzione di un’unione politica e quindi anche di un coordinamento spinto delle politiche economiche e dei bilanci pubblici, di un robusto piano per la crescita, della creazione di un sistema bancario a livello continentale? I pronostici sono molto incerti.

 

Testi citati nell’articolo

*-Economics blog, Why merging Spain’s troubled banks won’t fix the country’s debt crisis, www.guardian.co.uk, 29 maggio 2012

*°_-Editoriale, An overdose of pain, www.nyt.com, 12 aprile 2012

*-Kulish N., Germany is open to pooling debt, wirh conditions, www.nyt.com, 4 giugno 2012

*-Munchau W., There is no spanish siesta for the eurozone, www.ft.com, 18 marzo 2012

*-Roubini N., Greene M., Desperately seeking a bailout for Spain and its banks, www.ft.com, 9 maggio 2012

-The Economist, The corralito risk, 26 maggio 2012

*-Tremlett G., Bank bailout makes Spaniards question their future as euro agonies mount, www.observer.co.uk, 3 giugno 2012

*-Wolf M., The pain in Spain will test the euro, www.ft.com, 6 marzo 2012

 

 

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