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Austerity, economisti alla rissa politica

30/10/2013

Mentre il dibattito politico sull'austerity è assente, in campo accademico lo scontro è al calor bianco. Così l’economia è diventata ideologia e lo scontro teorico è divenuta bagarre politica

Quello cui ci troviamo davanti in questi anni è un fenomeno alquanto bizzarro. Il dibattito politico sull’austerity è stato largamente assente in praticamente tutti i paesi europei. Socialisti e conservatori, chi con entusiasmo, chi con qualche remora, hanno accettato tagli e tasse senza nemmeno discutere la validità di tali ricette economiche. Diversa invece la situazione in campo accademico, dove lo scontro tra neo-lib (e neo-con) e keynesiani è ormai al calor bianco. Non più solo uno scontro di idee, ma uno scontro personale e soprattutto, appunto, politico. In discussione ormai non sono solo certe politiche, ma sistemi di pensiero, onestà intellettuale e ruolo degli intellettuali nella società.

Con buone ragioni, a mio parere. Per oltre trent’anni l’economia mainstream è stata presentata come una scienza esatta, super partes. Magnificava il mercato e demonizzava l’intervento pubblico quando non la politica tout court, perché così dicevano i numeri. Che questi numeri non fossero proprio una rappresentazione fedele della realtà contava poco. L’economia è diventata una forza decisiva per impostare il dibattito politico, formare la pubblica opinione, incatenare le scelte degli Stati – basti pensare, ben prima della presente austerity, ai parametri di Maastricht. Una scienza strumentale ad un certo tipo di sistema di potere e che dunque si è sviluppata e strutturata su criteri certo non solo legati al merito accademico: i leoni alle porte delle facoltà di economia imponevano l’accettazione di una metodologia e di un sistema di pensiero quasi totalizzante. Non solo. Come ben spiegato da Haring e Douglas [i], gli incentivi alla ricerca, soprattutto nel mondo anglosassone, erano e sono tali da portare ad un tipo di produzione scientifica politicamente connotato. Ad esempio, come racconta Branko Milanovic [ii], trovare i fondi per fare ricerca sulla diseguaglianza è una impresa assai complicata negli Stati Uniti. Temi, come dire, troppo sensibili.

La cosa non è certo migliorata con la crisi, tutt’altro. Dopo un iniziale periodo di politiche keynesiane, si è cambiato velocemente rotta. In concomitanza con la crisi greca sono cominciati a circolare i primi importanti contributi accademici in favore dell’austerity. Prima Alesina e Ardagna [iii] che sostenevano come una contrazione della spesa pubblica potesse influire positivamente sulla crescita del Pil, poi Reinhart e Rogoff [iv] che stabilivano una relazione causale tra debito pubblico troppo alto e bassa crescita. Senonché pian piano è venuta a galla qualche verità un po’ scomoda per i fautori dell’austerity. In primo luogo l’impatto delle politiche restrittive era stato calcolato usando un moltiplicatore sbagliato – e dunque tutte le previsioni sull’andamento del Pil erano state sovrastimate. Ma anche l’impianto teorico fornito dai vari paper che rigettavano il ruolo della spesa pubblica e tutto il contributo keynesiano alla macroeconomia si rivelava clamorosamente fallato. A parte il famoso errore di Excel nell’articolo di Reinhart e Rogoff, i problemi di fondo sono ben altri: dati inseriti e/o esclusi ad arte, pesi dei dati quantomeno dubbiosi, relazioni di causalità invertite. In entrambi i casi si tratta di una evidenza empirica scadente spacciata come incontrovertibile, ed usata poi politicamente per imporre un certo tipo di politiche pubbliche. La maggior parte delle critiche si sono sviluppate su profili squisitamente tecnici e scientifici, ma altre si sono spinte ben oltre. In particolare Krugman ha attaccato a testa bassa, fondamentalmente accusando gli economisti pro-austerity di disonestà intellettuale. Ne è nata una rissa gigantesca in cui si è particolarmente distinto Niall Ferguson, storico di Harvard e da sempre un super falco che ha cominciato una sorta di querelle personale con Krugman stesso [v], accusato infine di essere eccessivamente maleducato [vi].

Qualcosa di abbastanza insolito nel mondo dell’università. Ma che in fondo non ci dovrebbe sorprendere. L’economia è diventata ideologia e dunque lo scontro teorico è divenuta bagarre politica. Ma non tutte le parti sono uguali, in questa mischia. Forse Krugman non ha usato il fioretto in questa disputa, ma il problema vero è che da parte neoliberale si è ricorso in maniera costante ad una presentazione dei dati davvero poco edificante, si potrebbe dire mistificante – e che dunque non ha molto di accademico. Dopo gli errori, se così possiamo chiamarli, di Alesina e Rogoff, si sono aggiunte marchiane imprecisioni dello stesso Ferguson [vii], incapace nei suoi articoli sul Wall Street Journal di distinguere tra PIL ed entrate fiscali. E Rogoff [viii] è tornato alla carica dichiarando un successo la politica di austerity britannica – con l’economia ora tornata ad una timida crescita dopo tre anni di recessione – in base ad un bizzarro sillogismo secondo cui avendo il Regno Unito fatto default negli anni 30 (ed avendo richiesto l’aiuto dell’IMF per due volte nel secondo dopo guerra), i mercati non riponevano abbastanza fiducia nel debito inglese. L’austerity avrebbe dunque ristabilito la fiducia dei mercati ed evitato una deriva greca. A questo naturalmente, si sono aggiunti gli attacchi più puramente politici dei vari Schauble e Rehn [ix] che rivendicano la giustezze delle loro politiche, dimenticando di parlare di disoccupazione, povertà, ospedali e scuole chiuse, come se la fine della recessione – che è cosa ben diversa dal ripristino della crescita – fosse effetto dell’austerity e non dei fattori produttivi di medio periodo. Trovando per altro come unico contraltare giornalisti economici [x] magari appartenenti a testate conservatrici, ma liberi abbastanza da ristabilire la verità dei fatti.

Quello cui ci troviamo di fronte è, in realtà, un cortocircuito generale. Che la mistificazione della realtà venga fatta da politici che cercano di difendere il loro operato è in qualche maniera comprensibile, mentre molto meno lo è che non ci siano forze politiche di rilievo che puntino l’indice contro i disastri dell’austerity. Allo stesso tempo, che l’economia venga usata come clava ideologica dovrebbe far riflettere sulla supposta scientificità della disciplina e sul ruolo politico degli intellettuali, sempre più organici al sistema. E non certo super partes.

 

[i] N. Haring, N. Douglas, Economists and the Powerful, Anthem Press, 2012.

[ii] B. Milanovic, Haves and Haves Not, Basic Books, 2012.

[iii] A. Alesina, and S. Ardagna (2009) ‘Large Changes in Fiscal Policy: Taxes Versus Spending’, NBER Working Paper No. 15438.

[iv] C. Rehinart and K. Rogoff (2010), ‘Growth in a Time of Debt’ NBER Working Paper No. 15639.

[v] Ad esempio la serie di tre articoli di Ferguson sull’Huffington Post:

http://www.huffingtonpost.com/niall-ferguson/paul-krugman-euro_b_4060733.html

http://www.huffingtonpost.com/niall-ferguson/paul-krugman-housing-crisis_b_4067580.html

http://www.huffingtonpost.com/niall-ferguson/krugtron-the-invincible-p_b_4073956.html

[vi]http://www.project-syndicate.org/commentary/on-the-perils-of-paul-krugman-by-niall-ferguson

[vii]http://delong.typepad.com/sdj/2013/10/whiskey-tango-foxtrot-wall-street-journal-bang-query-bang-query-is-this-some-strange-berkeley-acid-trip-i-am-on-weblogging.html

[viii]http://www.ft.com/cms/s/0/b933e5e8-29ef-11e3-9bc6-00144feab7de.html?siteedition=uk#axzz2htY5hFH0

[ix] Vedi anche il mio pezzo su Liberazione, “Schauble, Rehn, e i successi dell’austerity”, http://resistenzainternazionale.wordpress.com/2013/09/19/schauble-rehn-e-i-successi-dellausterity/

[x] Ad esempio Ambrose Evans-Pritchard sul Daily Telegraph, http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100025568/ e Martin Wolf sul Financial Times http://dralfoldman.com/2013/09/27/osborne-has-now-been-proved-wrong-on-austerity-martin-wolf-ft-com/

 

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Commenti

disonestà intellettuale e maleducazione come legittima difesa........

Il rapporto Deficit/Pil senza crescita sarà sempre negativo.
Il problema è squisitamente politico, la destra conservatrice euroscettica preferisce puntare sul fallimento dell'Ue, per salvaguardare il proprio elettorato "allergico" alle tasse. E' uno scandalo in Italia l'abolizione dell'Imu e l'elemosina sul cuneo fiscale. Sono in malafede , non si innesca un circuito virtuoso favorendo gli investimenti col costo del denaro allo 0.25% se la domanda interna cala, cosa vuoi produrre se in Italia non si compra più nulla??? La colpa non è della globalizzazione e della delocalizzazione, basta fare una cosa semplicissima il Reddito Minimo Garantito, per aumentare i consumi dei beni durevoli.
Oggi un precario che rischia il posto di lavoro compra l'usato e/o effettua riparazioni sul vecchio o compra il nuovo cinese/brasiliano/indiano.......dei disoccupati non dico nulla lascio a voi la risposta.............Letta/Alfano a casa subito, solo balle sul semestre europeo!!!

Per Melloni

D'accordo sull'utilizzo strumentale e spesso sciatto dei dati economici. E tuttavia proprio su Alesina che ho confutato in altra sede e con cui ho pochissime idee in comune, ribadisco che se interpretate nel senso descritto sopra sono idee accettabili. Sono partito da quel concetto nel mio intervento. Se prendiamo quel che ci serve possiamo anche utilizzare le idee degli altri per comporle in quadro coerente. Il mio focus era incentrato sul fatto che il problema non è la spesa ma la sua riqualificazione. Ed è un problema enorme perché inevitabilmente finisce per toccare tutti. Anche quelli che apparentemente pensano di essere i tartassati. Insomma dopo trent'anni di inerzia politica, civile, morale in questo paese siamo tutti vittime e carnefici. Se ne prendiamo coscienza e troviamo un punto di accumulazione dell'energie politiche e civili ce la si può ancora fare. Ma non è scontato. Dal vaticinare l'eutanasia del rentier al suicidio del paese il passo è breve.

in replica a cyrano

Caro Cyrano,
intanto grazie del commento, a cui pero' mi sento di rispondere. Qualche nota: l'huffington post e' fonte - poi tu la giudicherai come vuoi - del dibattito americano, non di quello italiano. Se grandi accademici la usano come piattaforma di scontro, il problema non penso sia la citazione quando si commentando questi scontri. I libri scritti, in proposito, non sono tanto meglio. Meno che meno, mi pare, paper accademici che di accademico non hanno niente.
Inoltre la ragione dell'articolo non e' discutere il debito pubblico, ne' tantomeno contribuire a non discuterne! Francamente, e mi dispiace non si sia capito, il discorso e' tutt'altro, cioe' la falsa coscienza di molti intellettuali/economisti che lavorano in modo molto poco scientifico e che invece, vengono usati proprio per dare una perizia super partes alle politiche economiche. Scoprire questi altarini, penso, e' una battaglia prima di tutto culturale, e poi anche economica, che merita essere combattuta.
Poi possiamo parlare di quali politiche pubbliche vadano fatte in Italia, e non era questo il tema. Che il debito sia un problema io l'ho scritto in molte salse, su molte piattaforme. Ma cio' non giustifica che in nome della lotta al debito si usino dati falsi ed ideologici per impostare politiche pro-cicliche che hanno aumentato il debito.
Saluti

Debito Pubblico

Gli spazi per ridurre la spesa pubblica in questo paese sono ormai estremamente ridotti, quelli per riqualificarla - in alcuni casi con costi finanziari minimi - sono praterie sconfinate pressoché mai esplorate a partire dalla riduzione dalle tante cattedre universitarie e insegnamenti insulsi privi di minimi requisiti di rigore scientifico. Letta così l'affermazione di Alesina potrebbe risultare "potabile".
Dispiace dirlo ma proprio questo genere di articoli, temo, contribuiscano magari in buona fede a frenare la consapevolezza di una svolta possibile. Possibile ma non senza costi. Non esistono pasti gratis:do you remember?. Possiamo discutere di chi dovrà farsi maggiormente carico del conto ma non vi è dubbio che, se si vuole uscire dalla crisi, il conto vada saldato .
Partiamo allora da una considerazione storica supportati non dall'Huffingtonpost la cui citazione come fonte la dice lunga sullo stato del dibattito economico in questo paese bensì dalla relazione del "Direttore generale del debito Pubblico" datata 1987. Leggerla tutta è meglio di un giallo Sciascia: dottissime citazioni, ampio ricorso alla storia economica e persino alla filosofia per delineare una storia della finanza pubblica italiana. All'epoca del documento il rapporto deficit/PIL aveva già superato quota 100%. Il rischio di "avvicinarsi al momento critico" sentito già allora. Rabdomanticamente riuscivano a intuirlo un quarto di secolo prima di Rogoff e senza fogli Excell: davvero portentoso. Ma la chicca si trova a pag.99: "Non é possibile stabilire "a priori" un valore critico del rapporto Debito/PIL oltre il quale l'accumularsi del Debito Pubblico non è più sostenibile". Questa è stata praticamente la licenza di uccidere concessa a camarille di politici di ogni sorta, grado e affiliazione per far crescere la spesa improduttiva che oggi siamo chiamati a rifondere. La Svizzera che di filosofi ne avrà magari di meno ma di soldi molti di più quando ha visto il debito pubblico federale superare la pericolosissima soglia del 50% del rapporto deficit/PIL ha modificato l'art.126 della Costituzione inserendo la clausola "La Confederazione equilibra a lungo termine le sue uscite ed entrate". Normale senso comune per qualsiasi buon padre di famiglia inteso in senso civilistico. La Svizzera è un paese molto democratico dove con referendum popolare hanno posto un limite alla remunerazione degli stipendi manageriali, tanto per dire che non amano perdersi in chiacchiere come Noi italiani. Ora, piuttosto che concentrarsi su Rogoff, Germania, Euro, Fiscal Compact sarebbe il caso di riflettere su come ad esempio razionalizzare le Forze Armate. Siamo gli unici in Europa ad avere 5 comandi generali e Carabinieri e Polizia che facendo lo stesso mestiere competono nelle indagini quando addirittura - ed è capitato - non si sparano nella schiena tra loro. Di come eliminare, razionalizzando la Giustizia quella sentina di corruzione e nefandezze che è il TAR. Abolire quel costoso residuato napoleonico che sono le soprattutto Prefetture. E questo è solo un esempio da circa 8-10 mld di euro l'anno a regime di efficienze stimate allora da Piero Giarda per Romano Prodi.
Guardate il debito pubblico italiano rappresenta il più preciso indicatore del livello di sprechi che generazioni di locuste "per scelta" trasmetteranno a generazioni di formiche "per forza". Tutto lì. Le cause della crisi italiana sono principalmente endogene, se lo si capisce, bene, possiamo ancora uscirne. Altrimenti, si salvi chi può.

http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/presentazioni_studi_relazioni/dettaglio.html?resourceType=/modules/debito_pubblico

lotta senza remore ....

bell'articolo, .. quando iniziamo anche noi in italia tra economisti ? io ci sono .... troppi filtri e troppe remore, nel dibattito pubblico, ... mentre nei concorsi si usa l'accetta nascondendo poi la mano !
cattiva abitudine vendicarsi sulle spalle di altri ...