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Una task force per la “finanza d'impatto”

17/02/2014

Non ci sarà innovazione sociale senza una finanza diversa, altrimenti si rischia solo di prestare entusiasmo e passione ai peggiori appetiti dei finanzieri globali. L'ultima puntata della nostra inchiesta

Nel giugno 2013 il Primo Ministro inglese David Cameron ha annunciato la nascita della Social Impact Investment Task Force all’interno del G8, il cui obiettivo sarebbe catalizzare lo sviluppo del mercato degli investimenti ad impatto sociale (1). La Task Force è guidata da Sir Ronald Cohen, Presidente di Big Society Capital (Bsc).

Quest’ultima è la banca creata da Cameron come polmone finanziario delle sue iniziative sulla Big Society, ossia di quello che è stato il principale messaggio conservatore della campagna elettorale poi vinta dal premier inglese nel 2010. La Big Society è un’idea un po’ evanescente a cavallo tra ciò che in Italia chiamiamo sussidiarietà, in termini tanto istituzionali (prima i privati, poi lo Stato), che territoriali (prima il locale, poi il centrale), e ciò che nel mondo anglosassone è – dai tempi di Lord Beveridge – l’azione volontaria. In estrema sintesi, dunque, la Big Society poggia sui seguenti pilastri: dare più potere alle comunità (localismo e devoluzione), incoraggiare le persone ad assumere un ruolo attivo nelle loro comunità (volontariato), trasferire poteri dal governo centrale a quelli locali, sostenere l’economia nonprofit (cooperative, mutue, imprese sociali, filantropia), mantenere un approccio aperto e trasparente all’azione pubblica (open data).

Per rendere tutto ciò concreto, Cameron ha prima favorito lo sviluppo di intermediari finanziari chiamati Social Investment Finance Intermediaries (Sifis), specializzati nell’investimento sulle organizzazioni operanti nel “social sector”. Poi, appunto, ha istituto la Bsc che immette risorse in questi stessi fondi. Bsc si alimenta attraverso i cosiddetti fondi dormienti (i depositi che nelle banche non si movimentano da più di 15 anni), che sono stimati in oltre 400 milioni di sterline (circa 482 milioni di euro), e attraverso il capitale versato da alcune grandi banche. Si tratta di Barclays, Hsbc, Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland, ciascuna delle quali ha versato 50 milioni di sterline (circa 60 milioni di euro). Nata nel 2011, a gennaio 2014, Bsc ha investito circa 43 milioni di sterline in una dozzina di Sifis in e qualche Social Impact Bond (obbligazioni finalizzate), selezionando investimenti unitari non inferiori a 500 mila e non superiori a 15 milioni di sterline (2).

Tornando alla Task Force (Tf) istituita in seno al G8, il suo scopo è, dal sito del governo inglese, “mettere insieme le principali figure dei governi, della finanza, del mondo degli affari e della filantropia nei paesi del G8” e da questa interazione dovrebbe scaturire “un insieme di raccomandazioni che la TF proporrà ai governi nel mese di settembre 2014” (questo l’obiettivo).

In sostanza, sotto il cappello della Tf si gioca una partita – di medio termine – che potrebbe avere rilevanti ricadute sulla cultura politica che nei prossimi anni si occuperà, all’interno delle economie avanzate, di sistemi di welfare, di partnership pubblico-privato, di rapporto tra finanza ed economia.

Temi tutt’altro che trascurabili. Infatti Cameron manda a seguire i lavori una persona fidata del suo Gabinetto (Kieron Boyle, che affianca il citato Cohen), Obama ha designato Don Graves del Dipartimento del Tesoro (insieme ad un rappresentante del network filantropico Omidyar), la Germania ha nominato Brigitte Mohn (Bertelsmann Foundation) e Susanne Dorasil (Ministero per lo sviluppo e la cooperazione), la Francia ha indicato Hugues Sibille del Crédit Coopératif, Nadia Voisin del Ministero degli Esteri e Claude Leroy-Themeze del Ministero dell’Economia.

Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha ritenuto adeguata a rappresentare l’Italia la designazione di Giovanna Melandri, incaricata in quanto presidente di Uman Foundation. Quest’ultima è un’associazione – a dispetto del nome – tra persone fisiche, costituita il 29 febbraio 2012, il cui scopo è “promuovere in Italia ed in Europa la cultura della filantropia moderna e di sviluppare pratiche, anche nel nostro paese, della filantropia organizzata, tipica dei modelli anglosassoni” (3).

Conclusioni. Per un risveglio del movimento della finanza critica

La Banca dei Regolamenti Internazionali ha recentemente studiato l’impatto dello sviluppo finanziario sulla crescita delle economie. Ne è emerso, in generale, che il contributo della finanza alla crescita è positivo solo fino ad un certo punto di sviluppo dei mercati finanziari, superato il quale invece la finanza comincia a “mangiarsi” l’economia. In particolare, poi, è stato dimostrato che nelle economie avanzate un settore finanziario a veloce crescita penalizza la produttività aggregata delle economie, dunque le danneggia su quei fondamentali che poi definiscono le possibilità di sviluppo a medio termine (4).

Nulla di nuovo per chi osserva da sette anni questa devastante crisi, iniziata come finanziaria e cresciuta rapidamente dentro l’economia reale. Soprattutto, nulla di nuovo per chi, come i movimenti della finanza critica, da oltre vent’anni denuncia lo strapotere della finanza globale e la progressiva perdita di peso e capacità di intervento delle comunità nazionali, e ormai anche di quelle sovranazionali.

Questa rapida inchiesta sul mondo dell’impact finance ha evidenziato la complessità e il valore dei temi in gioco, che toccano diritti individuali e funzioni vitali di ogni democrazia.

Per questo è necessario ricomporre uno sguardo d’insieme. Le istanze di chi chiede una “vera” tassa sulle transazioni finanziarie vanno legate a quelle di chi chiede la separazione tra banche d’affari e commerciali. Quelle delle piccole banche locali e cooperative, che combattono per non restare stritolate nella nuova Unione bancaria europea, si devono associare a chi vuole generare nuovo impatto con gli investimenti. La battaglia per la piena trasparenza delle transazioni finanziarie, tipica della finanza etica, deve andare insieme alle campagne per la legalità e contro l’evasione fiscale.

Non ci sarà innovazione sociale senza una finanza diversa. Una finanza cioè ricondotta ai fini della società e dell’ambiente. La politica, come dimostrano in Italia le scelte naif del Governo Letta, non sa e non vuole pensarci. Agli innovatori sociali è chiesta questa consapevolezza e la necessaria determinazione per rimettere la finanza al centro delle proprie istanze.

Altrimenti si rischia solo di prestare entusiasmo e passione ai peggiori appetiti dei finanzieri globali. Forse ne nascerà qualche buon progetto, ma di sicuro non saranno modificati i fattori strutturali di squilibrio tra economico e finanziario.

 

1 Cfr. https://www.gov.uk/government/policy-advisory-groups/social-impact-investment-taskforce.

2 Cfr. http://www.bigsocietycapital.com/how-we-invest

3 Dallo Statuto dell’associazione (http://www.umanfoundation.org/images/pdfarticoli/statuto.pdf).

4 Stephen G. Cecchetti e Enisse Kharroubi, Reassessing the impact of finance on growth, BIS Working Papers, No 381, July 2012.


Leggi qui le altre tre puntate dell'inchiesta:

 

Tutti i paradossi della “finanza d'impatto”
Solo il 5 per cento degli operatori dell'innovazione sociale si aspetta un ritorno ambientale del proprio investimento. La terza puntata della nostra inchiesta

 

La finanza "buona" e gli interessi di JP Morgan
Che cosa ci fa JP Morgan nel mondo della cosiddetta finanza d'impatto? Lo ricostruiamo nella seconda puntata della nostra inchiesta sull'impact finance

“Finanza d'impatto”, inchiesta in 4 puntate
La “finanza d'impatto” si propone di finanziare imprese e organizzazioni con l’intenzione di generare risultati socialmente e ambientalmente positivi. Ma chi c'è dietro la “finanza d'impatto”? Proviamo a ricostruirlo con questa inchiesta

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