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Europa: il peggio è dietro l'angolo

11/04/2012

A dispetto delle parole rassicuranti dei politici, l'Europa – soprattutto Spagna, Italia e Grecia – continua a rischiare grosso, se non si cambia presto rotta

Dopo le turbolenze del 2011, che hanno fatto per qualche tempo pensare anche ad un crollo imminente del sistema dell’euro, è sembrata poi essere tornata la calma. In effetti, è stato varato un secondo piano di salvataggio per la Grecia; l’Italia ha ora un governo più credibile, almeno sul fronte internazionale; la Spagna è andata alle elezioni e ora il suo governo, come quello Monti da noi, usa il pugno di ferro con i più deboli; per convinzione interna oltre che per compiacere i cosiddetti mercati, i governi dell’Unione hanno approvato il piano di stabilità e varato il nuovo fondo salva stati; infine la Bce ha inondato un sistema bancario boccheggiante di una valanga di denaro. Molti, tra cui anche Draghi e poi Monti, hanno così cominciato a dichiarare che il peggio era ormai passato e che la crisi dell’euro era nella sostanza finita. Ma, di fatto, nessuno dei problemi cui si trovava di fronte il continente europeo e la sua moneta sono stati risolti. Con gli interventi citati si è guadagnato del tempo, ma non sembra che lo si stia usando per fini in qualche modo produttivi. I mercati, del resto, hanno ricominciato a mostrare segni di nervosismo, temendo un ritorno ad una fase di crisi acuta, cosa che sembra molto plausibile.

 

La Spagna

Le luci della ribalta si sono riaccese soprattutto sulla Spagna. Il paese è fortemente indebitato, ma per la gran parte l’esposizione era concentrata, almeno sino a non molto tempo fa, nel settore privato. Alla fine del 2010 il livello del debito di tale comparto era pari al 227,3% del pil e la cifra corrispondente per il 2011 dovrebbe essere solo leggermente diminuita (Munchau, 2012). Ma, per venire in soccorso del mondo privato, lo Stato si è a sua volta indebitato e così il totale dell’esposizione del paese è passata dal 337% del pil nel 2008 al 363% della metà del 2011 (autori vari, 2012): una cifra enorme. D’altro canto, il settore immobiliare si trova in una situazione disperata. I prezzi delle case alla fine del 2011 erano caduti del 21,7% rispetto alla punta massima del 2007, ma per tornare alla normalità dovrebbero ridursi ancora di almeno altrettanto (Munchau, 2012). La crisi dell’immobiliare si riflette sulle banche, che hanno appena cominciato a svalutare i crediti relativi nei loro bilanci e che dovranno svalutarli ancora per cifre molto grandi. Sono in gioco peraltro anche i crediti di molti istituti europei, in particolare francesi e tedeschi, che in passato hanno generosamente contribuito a sostenere il “miracolo” spagnolo. La tendenza alla riduzione del debito pubblico e, insieme, di quello privato, rappresenta certamente una miscela esplosiva che produrrà una recessione di lunghissima durata. Così sul fronte finanziario si sta presumibilmente andando verso un default. Intanto, l’obiettivo della discesa del deficit pubblico dall’8,5% del pil nel 2011 al 3% del 2013 è giudicato impossibile da raggiungere da tutti gli osservatori neutrali. Il paese si trova di nuovo in recessione – le previsioni più ottimistiche parlano di una riduzione del pil dell’1,7% per il 2012 – e il livello di disoccupazione ha raggiunto a gennaio 2012 la cifra del 23,6% della forza lavoro. I piani di austerità del governo vanno avanti con risultati che non dovrebbero mancare di rivelarsi catastrofici, come a suo tempo nel caso greco. Nella sola Andalusia, nei primi due mesi di applicazione della nuova legge sui licenziamenti, questi sono aumentati di otto volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

 

La Grecia

Se la Spagna non è ancora arrivata al default, l’avvenimento si è già consumato in Grecia, che ha da poco completato al riguardo una procedura “ben ordinata”. Ma questo non ha certo tranquillizzato gli animi della popolazione, che si trova ora davanti a molti anni di sofferenze. In tre anni di austerità, del resto, il debito è salito dal 113% del pil al 163%, mentre la disoccupazione è arrivata al 22%. Con le operazioni da poco concluse il governo cancellerà 107 miliardi di euro da un debito complessivo di circa 350 miliardi e riceverà un prestito intorno ai 130 miliardi, dopo i 110 ottenuti con il precedente intervento. Secondo gli enti internazionali che hanno gestito l’operazione, si dovrebbe arrivare ad un rapporto tra debito e pil pari al 120,5% nel 2020. Ma il piano, che richiede al paese mosse insostenibili e persino deliranti, non contribuirà a ridurre il debito greco in maniera adeguata, semmai affonderà di più la sua economia. Intanto il pil è diminuito del 6,8% nel 2011 e dovrebbe farlo del 4,5% circa nel 2012. Lo stesso piano riduce tra l’altro salari, pensioni e servizi pubblici e diminuisce di 150.000 addetti il settore pubblico. Le fughe di capitali tra il 2009 e oggi sono stimate ad almeno 60 miliardi di euro – per qualcuno potrebbero anche risultare come pari al doppio di tale cifra –, mentre il paese continua ad essere di fatto governato da un sistema neofeudale, nel quale preti, militari e ricchi borghesi continuano ad attribuirsi tutti i privilegi (D. Cohn-Bendit, 2012). Qualunque analista serio sa che, da una parte, anche un livello del 120% di debito sul pil sarebbe comunque insostenibile per un paese come la Grecia, dall’altra che, in realtà, la cifra finale sarà quasi certamente molto più elevata. Per rispettare l’obiettivo, in effetti, l’economia dovrebbe crescere del 2,3% all’anno dal 2014 al 2020, in un paese che è in recessione dal 2008; bisognerebbe parallelamente realizzare un avanzo di bilancio dell’1,7% già nel 2013, per poi portarlo sopra il 4% dal 2014 in poi. Impossibile. Se la crescita del pil e il saldo primario fossero più bassi di un punto percentuale rispetto allo scenario base, il livello del rapporto debito-pil non scenderebbe mai sotto il 150% (Il Sole 24 ore, 2012). Intanto la situazione delle banche appare catastrofica. Da una parte esse registrano una grande fuga dei depositanti, dall’altra un forte aumento del livello dei crediti in sofferenza e terrificanti perdite sui titoli di stato del paese. Il primo ministro, L. Papademos, mentre ha sottolineato che saranno necessari nuovi tagli alla spesa pubblica, ha ammesso che il paese potrebbe aver bisogno di un terzo intervento da parte dell’Unione Europea, dato anche che esso non riuscirà a tornare sul mercato finanziario almeno per i prossimi dieci anni.

 

L’Italia

Dopo tante manovre finanziarie più o meno inique, la situazione dei conti appare ancora legata ad un rapporto debito/pil intorno al 120%. Rispetto a questa constatazione si può richiamare un articolo di Roubini (Roubini, 2011) di qualche mese fa, cui avevamo fatto già riferimento in un’altra nota. Il testo aveva il merito di sottolineare l’insostenibilità della situazione e come il paese sia condannato, a più o meno breve termine, a ristrutturare il suo debito. Questo, stando almeno agli attuali tassi di crescita (o meglio di decrescita) dell’economia e ai livelli dei tassi di interesse. Intanto le previsioni sull’andamento del pil per il 2012 oscillano in negativo tra il 1,6% e il 2,5%. Il problema ruota intorno alla capacità del paese di ritrovare la strada dello sviluppo, strada che sembra aver perso molto tempo fa. Anche l’attuale governo Monti, come quello precedente, sembra insistere invece con delle politiche soltanto recessive, come molti degli stessi ambienti internazionali cominciano a percepire.

 

Conclusioni

I tre paesi presentano alcune importanti caratteristiche comuni, da un elevato indebitamento a delle prospettive di crescita dell’economia per lo meno problematiche, all’aumento continuo dei livelli di disoccupazione. Il nuovo fondo salva stati non appare in grado di far fronte ad un’eventuale crisi che investisse Spagna ed Italia, mentre nulla sembra previsto per innescare un grande piano di investimenti a livello di Unione Europea nell’ambito del necessario riavvio di un processo di integrazione politica del continente. Si tratterebbe dell’unica mossa in grado, a nostro parere, di contrastare adeguatamente una crisi che è sempre là, dietro l’angolo.

Testi citati nell’articolo

Autori vari, Debt and deleveraging, Uneven progress on the path to growth, McKinsey Global Institute, Washington, gennaio 2012

Cohn-Bendit D., Le mépris de l’Europe, Le Nouvel Observateur, 23 febbraio 2012

Margaronis M., As Greece stares into the abyss, Europe must choose, www.guardian.co.uk, 12 febbraio 2012

Munchau W., There is no Spanish siesta for the eurozone, www.ft.com, 18 marzo 2012

Il Sole 24 ore, Atene, le tre sfide impossibili per la salvezza definitiva, www.ilsole24ore.it, 11 marzo 2012

Roubini N., Italy’s debt must be restructured, www.ft.com, 29 novembre 2011

The Nation, Greece in meltdown, www.thenation.com, 29 febbraio 2012

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Commenti

Monti e l'Europa

L'impostazione dell'articolo è condivisibile in generale. Tuttavia la ricetta è un pò sbrigativa e generica. Certo, gli attuali guai europei si risolverebbero con l'unificazione politica, cioè con una svolta coraggiosa e salvifica che rimetterebbe tutto a posto. In particolare metterebbe in riga la signora Merkel e rifonderebbe su basi più accettabili quell'accolita di parassiti che succhiano il sangue dei Greci. Il problema è che all'origine di questi guai vi è un peccato originale che è stato sciaguratamente commesso con la sorprendente complicità di un'ampia platea di entusiasti. Il peccato cioè di aver costruito un mostro con una testa monetaria ottusa. potente e inflessibile e un corpo(fiscale e politico) malaticcio, debole e deforme. Si è preteso in pochi anni di realizzare, con un semplice tratto di penna 'monetario', un progetto (sogno..delirio ?) che la storia non era riuscita a realizzare nell'arco di mezzo millennio. Ora ci troviamo con valore della moneta che rende i ficchi secchi greci più costosi di quelli californiani e il costo di un ostello nell'isola di Eubea più alto di quello di un albergo a Baden Baden. E' un problema di moral hazard, certo. I Greci, furbi levantini, hanno fatto leva sulle garanzie offerte da una moneta comune che certo non poteva mandare alla rovina uno dei pezzi, per quanto piccolo, dell'Unione. Così come gli Italiani potevano contare su acquisti comunitari' del suo debito pubblico. E' il cosiddetto meccanismo finanziario 'assicurativo' offerto dall'appartenenza ad un'area monetaria unica (Mundell II). L'irresponsabilità nell'aver creato tale ircocervo istituzionale mi ricorda il balletto finale dell' 8 1/2 di Fellini, musiche di Nino Rota. Il buon senso avrebbe suggerito un approccio graduale e un attento monitoraggio dei candidati (L'Italia uno di questi) con un assiduo e continuo lavoro di rafforzamento dei meccanismi di coesione politica, basati sulla contrattazione interstatale. E' difficile ora rilanciare iniziative di unione politica con una Francia che rigurgita di pulsioni antieuropeistiche (anche Hollande) e una Germania ottusamente ripiegata sul suo( supposto) virtuoso modello. Quello che ci rimane è il doloroso meccanismo deflazionistico che non è altro che l'effetto dell'aggiustamento dal "lato dell'offerta" per adeguare i costi alla produttività, anche se nei costi purtroppo vanno contabilizzati quelli della politica e della corruzione che fornisconoc ai tedeschi la prova provata che qualsiasi gesto generoso da parte loro sarebbe come buttare benzina sull'inefficienza mediterranea. Il governo Monti non è che un epifenomeno di questo drammatico problema strutturale. E' insomma il gestore (che non porta pena...) delle conseguenze di un macroscopico errore storico che condizionerà la nostra vita sociale e personale negli anni futuri.
Grazie dell'ospitalità

se non teniamo conto dei Derivati

La caratteristica fondamentale di questa crisi è la negazione della causa, la sorgente.
Nessuno si occupa dei prodotti finanziari Derivati
che sono onnipresenti in ogni cassa, in misura massiccia,
tanto massiccia da condizionare ed ingessare i Bilanci dei grandi Istituti pubblici e privati.
Considerare la degenerazione dei paesi periferici è fuorviante
perchè i conti che davvero interessano sono segreti, ovvero nascosti da dichiarazioni di bilanci falsi
oppure nemmeno contabilizzati (Otc).
Sappiamo solamente che nel Mondo la somma di tutti i titoli tossici fa 11 volte il PIL
circa 700 trilioni di Dollari, dei quali ogni anno se ne scambiano 30
e nella pancia alle 5 Banche italiane più grandi
giacciono almeno 800 miliardi di Euro di CDA - CDO - CDS