Home / Rubriche / Un Pil al verde. Che fare per l’ambiente

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Rubriche

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

La rotta d'Italia

Un Pil al verde. Che fare per l’ambiente

14/01/2013

La rotta d'Italia. Il Pil del nostro paese è in calo e forse non tornerà ai valori pre-crisi del 2007 prima del 2020. Ma uscire dalla crisi presuppone un'accelerazione delle politiche industriali verdi e un riorientamento dello sviluppo dell'economia in tutti i settori

Il Pil italiano è in calo e non tornerà ai valori pre-crisi del 2007 prima del 2020. Le difficoltà economiche coinvolgono alcuni settori strutturalmente in crisi, che potrebbero riprendersi solo trasformandosi, e nuovi segmenti che emergono controcorrente. Analizziamo quattro comparti industriali importanti che devono reinventarsi per sopravvivere: la produzione di energia elettrica, la raffinazione, la petrolchimica e la produzione automobilistica. Si tratta di attività in difficoltà per gli alti prezzi dell’energia, in flessione sul mercato interno e con presenze differenziate all’estero. La proiezione internazionale rappresenterà una carta decisiva per orientare lo sviluppo del Paese nei prossimi anni. Secondo il recente rapporto Green Italy, il 37% delle imprese green vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22% delle imprese che non investono nell’ambiente. L’accelerazione delle politiche industriali verdi è dunque centrale per riorientare lo sviluppo.

Il termoelettrico insidiato dalle rinnovabili

Partiamo dal settore elettrico, con una domanda tornata ai livelli del 2004. Nei primi nove mesi del 2012 la richiesta di elettricità è diminuita, a parità di calendario, del 2,7% rispetto all’anno precedente. Ma anche se i consumi dovessero incrementarsi, e sono in molti a pensare che si stabilizzeranno sugli attuali livelli fino al 2020, la produzione delle centrali dovrà confrontarsi con la crescita delle rinnovabili. Entro la fine del decennio l’elettricità verde potrebbe infatti passare da poco meno di 90 a 130 TWh. Sono 40 miliardi di nuovi kWh immessi in rete, l’equivalente della produzione di una decina di centrali a gas di media grandezza. E nel decennio successivo è possibile l’aggiunta di un’analoga quota di energia verde. Nel quadro del forte eccesso di capacità del nostro sistema di produzione, emerge l’insensatezza di realizzare nuove centrali. Ma l’attuale contesto pone anche un problema serio ai cicli combinati esistenti, impianti nuovi, poco inquinanti, ad altissima efficienza. Queste centrali, realizzate in buona parte rottamando vecchi impianti con investimenti per 25 miliardi di euro, sono per loro natura i partner ideali delle rinnovabili grazie alla capacità di seguire carichi variabili. Gli operatori che le gestiscono subiscono contemporaneamente la riduzione della domanda, l’avanzata dell’elettricità verde e prezzi del gas del 20% più elevati rispetto al resto dell’Europa. Chiedono quindi un supporto per la potenza messa a disposizione del sistema elettrico. Ma questa soluzione non potrà che essere una transitoria. Se la liberalizzazione del mercato del gas, la messa in discussione dei contratti “take or pay” finora legati al prezzo del greggio e la creazione di nuovi rigassificatori consentiranno di ridurre il prezzo del metano, si potrà pensare anche all’esportazione di elettricità, visto che Germania, Svizzera, Belgio e Francia ridurranno progressivamente la produzione nucleare. La nascita dell’importante comparto delle “nuove” rinnovabili – sole, vento, biomassa – che coprono già oggi il 16% della produzione nazionale rappresenta la vera novità di questo inizio di secolo. La possibilità per alcune tecnologie, come il fotovoltaico, di espandersi nei prossimi anni anche senza incentivi, apre scenari nuovi e accelera la radicale trasformazione del sistema elettrico. La decisione di centinaia di aziende di sfruttare il know how accumulato e di operare anche sui mercati internazionali rappresenta un’indicazione importante di sviluppo del settore.

Raffinazione in crisi

Ancora più significativo di quello elettrico è l’arretramento dei consumi nel settore dei trasporti, diminuiti del 10% tra il 2004 e il 2011. E quest’anno le vendite di carburanti si sono ulteriormente ridotte del 10%. Questa dinamica negativa si aggiunge al crollo, nell’ultimo quindicennio, dell’impiego di olio combustibile nelle centrali. Risultato: il settore della raffinazione è in crisi. Il calo della domanda, lo spostamento dei centri di produzione e la crescita dei biocarburanti stanno facendo chiudere o lavorare a ritmo ridotto diversi impianti (Gela, Roma,…). Ma non è solo un trend italiano. Secondo uno studio di Wood Mackenzie, nel 2011 il 75% delle raffinerie europee lavorava in modo economicamente insostenibile. Questo spiega come il 30% della capacità di raffinazione europea sia stata persa in due anni. Restando in Italia, almeno il 20% della capacità di raffinazione appare in eccesso. Quali variabili possono influenzare il futuro del settore? Anche in questo caso si prevedono consumi stazionari o in calo, oltre che per le conseguenze della crisi, a causa della vendita di veicoli sempre più efficienti secondo le normative europee e dell’aumento dei prezzi dei carburanti che hanno raggiunto i livelli record del 1977. La diffusione di auto elettriche e l’incremento della quota di biocarburanti non insidia il mercato sul breve periodo, al contrario di quanto succede con le rinnovabili nel comparto elettrico. Entrambe queste soluzioni possono però rappresentare interessanti opportunità alternative destinate a svolgere un ruolo importante sul medio e lungo periodo.

Dell’auto elettrica parleremo dopo. Maggiori novità vengono dal comparto dei biocarburanti con l’affacciarsi dei prodotti di seconda generazione accanto alla storica produzione di biodiesel. All’inizio del 2013 si è iniziato a produrre in Piemonte bioetanolo da cellulosa con un impianto da 40mila t/a realizzato dal gruppo Mossi&Ghisolfi. Per alimentarlo saranno necessarie canne raccolte in un’area di 4 mila ettari provenienti da una distanza inferiore ai 35 chilometri. La società ha già venduto la tecnologia in Brasile, mercato storicamente leader mondiale nella produzione di biocombustibili, dove si realizzerà un impianto da 65.000 t/a alimentato dagli scarti della lavorazione della canna da zucchero. Nei prossimi anni ci possiamo aspettare la realizzazione di nuovi impianti di questo tipo anche in Italia, attivando nuovi posti di lavoro, utilizzando materia prima locale e riducendo le importazioni petrolifere. Si tratta di un comparto che vede anche la ridefinizione delle strategie dei grandi player. Un esempio viene da Eni che punta a trasformare entro il 2015 la raffineria di Porto Marghera in un nuovo impianto per la produzione di biocarburanti con un investimento di 100 milioni di euro.

Petrolchimica verde

Un analogo discorso si può fare per la petrolchimica, da anni in difficoltà per l’alto prezzo dell’energia, la localizzazione degli impianti, l’impatto ambientale, la competizione con impianti di grande scala realizzati dai Paesi produttori di petrolio. Le “bioraffinerie” sono infatti ormai un’alternativa credibile a fronte dell’aumento del prezzo del petrolio e dell’inasprimento delle regolamentazioni sanitarie sui prodotti pericolosi. In Europa sono già 34 gli impianti che stanno tentando questo nuovo percorso. L’esperienza di maggiore visibilità sta nascendo in Sardegna a Porto Torres grazie all’accordo tra una società leader nel settore, Novamont, e Versalis (Eni) che prevede investimenti per 500 milioni € per realizzare tra il 2012 e il 2016 sette impianti. Matrica, la joint venture appositamente creata, realizzerà gli impianti che riguarderanno la produzione di monomeri per bioplastiche, di additivi per gomme a bassa resistenza al rotolamento, di biolubrificanti biodegradabili ad alta lubricità e di altri intermedi chimici con tecnologie tutte proprietarie e all’insegna del basso impatto ambientale. I primi tre impianti saranno completati entro la fine del 2013. A regime gli impianti produrranno 40mila t/a di monomeri biodegradabili, 30.000 t/a di oli lubrificanti biodegradabili e 40mila t/a di additivi per gomme. Le materie prime saranno, per quanto possibile, derivate da coltivazioni pluriennali in terreni marginali non irrigui la cui sperimentazione è iniziata nel 2011-2012. Si prevede a regime la necessità di 40.000 ha di terreni marginali portando altra occupazione. Novamont inoltre, in partnership con l’americana Genomatica, riconvertirà in provincia di Rovigo un vecchio impiantodi fermentazione che dovrà diventare il primo impianto al mondo per la produzione di 1,4-butandiolo da risorse rinnovabili, un altro importante monomero per le bioplastiche. L’eccellenza di Novamont ha consentito alla società di assumere un ruolo di leadership e di espandersi a livello internazionale. Vista l’importanza strategica di questo nuovo filone, lo scorso febbraio la Commissione Europea ha presentato il piano d’azione ”Innovating for Sustainable Growth: a Bioeconomy for Europe” che delinea le linee di sviluppo che potrebbero portare 130.000 nuovi occupati entro il 2025. Dopo l’irruzione delle rinnovabili nell’energia, si prospetta dunque una forte crescita delle materie prime rinnovabili nell’industria chimica.

Auto in crisi

Il settore forse più in difficoltà è quello dell’auto. Le vendite si sono quasi dimezzate rispetto al 2004, portandosi sui valori di oltre 30 anni fa. Il nostro parco autoveicoli probabilmente già da quest’anno inizierà a ridursi. Del resto, il numero di autovetture per mille abitanti che ci pone al vertice dei Paesi europei subito dopo il Lussemburgo è già iniziato a diminuire. Nel 2010 questo indicatore era pari a 610,7, meno 0,1%, rispetto al 2009. Hanno inciso sul mercato le difficoltà economiche delle famiglie e l’alto prezzo dei carburanti. Ma non solo. L’uso dei social network e degli altri sistemi di comunicazione ha creato alternative agli spostamenti, mentre i treni ad alta velocità e i voli low cost sono diventati soluzioni appetibili.

Si sta riducendo inoltre, specie tra i giovani, il ruolo dell’auto come status symbol. Aumenta l’uso delle biciclette, il cui mercato quest’anno si è incrementato del 10% con oltre 2 milioni di bici vendute. Anche soluzioni innovative come il car e il bike sharing iniziano ad avere successo, in particolare dove si prendono provvedimenti seri sulla mobilità. A Milano, con l’introduzione del ticket a 5 euro per entrare nel centro storico in auto, nei primi due mesi gli utilizzi di BikeMi sono raddoppiati, le iscrizioni al servizio del car sharing sono aumentate del 49%, mentre i mezzi pubblici hanno trasportato un milione e 200 mila passeggeri in più. Del resto anche nel mondo dell’auto ci si rende conto che la situazione sta cambiando. Già William Ford Jr, presidente della omonima società, aveva dichiarato: «Se vivi in una città, non hai bisogno di possedere un auto» e Massimo Nordio, amministratore delegato di Volkswagen Italia, aggiunge: «Quello che avviene per i beni di consumo deve accadere anche per l’auto. Va pagato non più il possesso ma solo l’uso». In questo contesto di difficoltà non solo congiunturali va letta la crisi della Fiat. Una società che non fa uscire nuovi modelli, non ha mai creduto all’auto elettrica, non si adegua a nuovi modelli comportamentali.

Sul trasporto elettrico si innesta un’ulteriore riflessione legata alla trasformazione del sistema elettrico. Non è un caso se a spingere per questa soluzione sono la Francia per l’eccesso di elettricità nucleare notturna e, soprattutto, la Germania che punta a soddisfare il 40% della domanda elettrica con le rinnovabili nel 2020. Per quella data i tedeschi contano di avere un milione di auto elettriche che, nella versione plug-in, potranno essere utili nello stabilizzare la rete. Ma è dall’Oriente e dagli USA che potrebbe venire un forte impulso al mercato. Cina e India vorrebbero avere alla fine del decennio rispettivamente 5 e 6 milioni di auto elettriche su strada. In Italia, considerata la rapida crescita delle rinnovabili, l’opzione dell’auto elettrica è destinata ad acquistare una nuova valenza che dovrebbe portare il Governo a facilitarne la diffusione. Insomma, il mercato sta evolvendo e dovrebbe indurre un ripensamento delle strategie di un’industria dell’auto in affanno.

Come si vede dall’analisi di questi quattro settori, esistono possibilità di rivitalizzazione e di reinvenzione di comparti maturi che, considerando la debolezza del mercato interno nei prossimi anni, devono puntare con forza sulle esportazioni delle produzioni e del know-how sviluppato in casa. Anche perché possiamo contare su eccellenze assolute a livello internazionale, per esempio nella chimica verde, che dobbiamo saper sfruttare.

 

Quest’articolo riprende l’editoriale della rivista QualEnergia del 31 dicembre 2012.

 

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti