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La spesa delle donne
"The Female Factor" è il titolo a piena pagina della copertina del settimanale Newsweek del 21 settembre; e nel sottotitolo si suggerisce che “il potere di spesa delle donne potrebbe salvare il mondo dalla crisi”. L’articolo che sviluppa questa ipotesi presenta statistiche e proiezioni interessanti. Soprattutto rilevante per l’argomentazione che si propone, e anche insolito, è il dato che mette in luce quale sia la quota di denaro per il funzionamento della vita familiare, lo household spending, gestita dalle donne: negli Stati Uniti, in Australia, in Germania si tratta di oltre il 70%. Intorno al 60% in Giappone, Gran Bretagna, Russia. Più basso, ma comunque consistente, in Cina.
Naturalmente dati percentuali per aree di queste dimensioni, e indicatori che non possono che essere approssimati, valgono quel che valgono. Non si tralascia inoltre di notare che, a livello mondiale, la cifra relativa ai redditi maschili è ancora oggi pari al doppio di quella di cui dispongono le donne. Ma si indica anche che con il passaggio dalla generazione che è nel mercato del lavoro oggi alla prossima, il dato cambierà in modo radicale: assisteremo “all’emergere di un mercato che sarà il più vasto e più potente, quello costituito dalle donne”.
L’analisi e la prospettiva che vengono proposte possono apparire semplificanti. Comunque la tesi è interessante: se sono le donne a gestire quote rilevanti di denaro, si suggerisce, la ripresa dei consumi e dunque dell‘ intero sistema economico dipende da loro. Si dice: “esiste un insieme molto rilevante di studi che suggeriscono che i criteri di spesa delle donne sarebbero esattamente quello di cui il mondo ha bisogno in questa fase”. E si avanza questa ipotesi: “l’emergere di un mercato che supera i confini nazionali – quello dello household spending come gestito dalle donne- potrebbe avere effetti altrettanto rilevanti dei cambiamenti introdotti nell’economia dai due paesi a cui oggi si rivolge maggiore attenzione, India e Cina”.
Si indica che alcune grandi imprese, già molto presenti in quella che viene definita “l’area di mercato delle donne” come Nestlè, Johnson & Johnson, Wal-Mart, trarranno ulteriori vantaggi dagli sviluppi in quello che è definito il settore dei “consumi femminili”. E si attrezzano in questa direzione. Le donne, si conclude, sono “catalizzatori per processi di crescita di molti settori produttivi”.
Ancora, si fa riferimento a studi condotti in due paesi, la Gran Bretagna e l’India, sulla base dei quali si mette in luce che da quando è aumentata la presenza femminile nelle sedi politiche, sia nazionali sia locali, i criteri di investimento e di spesa si orientano verso i settori della sanità, dell’istruzione, della produzione di beni di base. Dunque non si tratta soltanto di implicazioni per l’economia, ma anche di scelte e di processi relativi all’ organizzazione sociale in senso più complesso: è a voci di spesa che producono benessere, condizioni migliori per la salute, accesso all’istruzione che le donne danno priorità. Inoltre hanno maggiore capacità di risparmio, e sono più attente, negli investimenti, ai fattori di rischio.
Un testo, e argomentazioni, davvero insoliti.
Appunto, mi è sembrato interessante segnalarli.
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