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La distruzione di Troia

29/12/2014

Sia permesso, all’inizio di un nuovo anno, di pubblicare un articolo che si colloca al di fuori dei temi normalmente trattati su questo sito. Ma comunque le vicende brevemente raccontate nel testo hanno comunque dei riferimenti importanti anche con la realtà odierna.

La prima globalizzazione

È alla descrizione del crollo del primo processo di globalizzazione della storia dell’umanità che fa principalmente riferimento questo scritto. Tale crollo coincide con la fine dell’età del bronzo.

Queste pagine sono tratte per una parte sostanziale da un volume apparso di recente, 1177 B. C., The Year Civilization Collapsed, di Eric H. Cline, Princeton University Press, Princeton, 2014, tradotto in italiano da Bollati Boringhieri e da una serie di articoli apparsi su Le Monde nel periodo luglio-agosto 2014 e scritti da Stéphane Foucart.

Per più di tre secoli, tra il quindicesimo e il dodicesimo secolo prima della nostra era, una fiorente civilizzazione su base eminentemente commerciale, con un alto livello di integrazione interna e con importanti collegamenti anche con il mondo esterno, era fiorita su una vasta area geografica. Essa toccava, tra gli altri popoli, i micenei e i minoici, gli ittiti – antichi abitanti grosso modo della Turchia odierna –, gli Assiri e i kassiti/babilonesi, i ciprioti, i mitanni e i cananei, per quanto riguarda il Vicino Oriente, e infine gli egiziani. Si era messo in piedi nel periodo un mondo complesso, cosmopolita e globalizzato, come si è poi visto solo raramente sino ai nostri giorni.

Si trattava di una vasta rete comprendente al suo interno molte e differenziate società politiche, collegate tra di loro da trattati, leggi, diplomazia, scambi commerciali.

Il sistema era organizzato intorno ai grandi palazzi e ai templi, che gestivano sia la vita politica che quella economica e religiosa dei loro territori. L’iniziativa economica privata, in tale epoca era abbastanza debole, subordinata alla sfera pubblica.

Il 1177 a.C.

I popoli del mare

Può darsi che sia proprio stata questa stretta integrazione internazionale che abbia poi contribuito al disastro apocalittico che mise termine all’età del bronzo. Le culture del Vicino Oriente, dell’Egitto, della Grecia, dell’Egeo, della Turchia, della Mesopotamia erano così interdipendenti e intrecciate tra di loro che la caduta di una sola area portò con sé ineluttabilmente alla rovina delle altre, una dopo l’altra.

Sino a un periodo piuttosto recente la caduta di un sistema che era plurisecolare veniva attribuito all’arrivo repentino sulla scena dei cosiddetti “popoli del mare”.

Non si sa bene chi essi fossero e da dove venissero. In ogni caso si pensa a gruppi diversi provenienti da differenti aree e con differenti culture. Comunque in uno degli scenari più plausibili si è pensato come regioni di provenienza alla Sicilia, alla Sardegna e ad altre località italiche, all’Egeo, a Cipro e ad altre località del Mediterraneo Orientale.

Quasi nessun paese fu in grado di opporsi a tali invasioni e le grandi potenze del tempo caddero una dopo l’altra. Solo l’Egitto riuscì a sconfiggerli, ma comunque da allora per la civiltà di quel paese cominciò una progressiva decadenza.

Terremoti e carestie

Si pensa ormai nella sostanza che, all’origine della scomparsa della civiltà del bronzo non ci fossero solo i popoli del mare, ma ci sia stata una complessa concatenazione di eventi. Si è volto in effetti lo sguardo anche a rivolte sociali, a catastrofi naturali, a un collasso sistemico, a cambiamenti nelle tecnologie belliche.

Appare adesso chiaro, tra l’altro, che la Grecia, insieme al resto dell’Egeo e del Mediterraneo orientale, furono colpiti da una serie di terremoti che cominciarono intorno al 1225 e terminarono intorno al 1175.

Si è fatto anche riferimento a un rilevante cambiamento climatico, che comportò una forte siccità, con la conseguenza di importanti carestie. Così nell’intera regione del Mediterraneo orientale, tra gli ultimi anni del tredicesimo secolo e i primi decenni del dodicesimo prima della nostra era, quelle che erano terre fertili si trasformarono in un deserto.

Nessuno di tali eventi da solo avrebbe forse potuto avere quegli effetti devastanti che abbiamo registrato; ma essi si sono combinati tra di loro, producendo uno scenario nel quale le ripercussioni di ogni evento catastrofico furono largamente amplificate.

Si passa e per molto tempo a un livello di integrazione sociopolitica molto più basso.

Un crollo sistemico

Il Mediterraneo orientale entra così in un periodo di quattro secoli di regressione culturale, economica, politica.

Di fatto, la caduta della complessa civiltà sopra descritta, che si può ascrivere in maniera più che altro simbolica al 1177 prima della vostra era, rappresenta anche un cambiamento epocale del modello tecnologico e di quello economico, con grandi conseguenze a lungo termine.

Si passa così da una sorta di economia statalizzata che controllava totalmente il commercio internazionale nell’età del bronzo e nella quale il sistema del dono, caro a Karl Polanyi, assumeva un rilievo molto importante, a un sistema economico decentralizzato fatto di più piccole città-stato e di imprenditori individuali che lavoravano in proprio.

Si svilupperà, sia pure molto lentamente, un nuovo mondo di mercanti che sfrutteranno nuove opportunità economiche, nuovi mercati e nuove fonti di materie prime. Dall’età del bronzo si passerà gradualmente a quella del ferro.

Il crollo del sistema integrato sopra descritto ci ricorda per alcuni aspetti la nostra attuale società globalizzata, che comincia a sentire gli effetti del cambiamento climatico e della troppo stretta e rigida integrazione economica e finanziaria, come ha mostrato, almeno in parte, la crisi economica che ha colpito il mondo occidentale a partire dal 2007-2008.

La vicenda di Troia

Le vicende delle tarda età del bronzo hanno richiamato l’attenzione degli studiosi anche sugli accadimenti di Troia.

Troia è veramente esistita? E c’è stata veramente la guerra di Troia e quando essa ha avuto luogo? Quanta verità, in sostanza, c’è nel racconto di Omero?

Prima degli scavi di Schliemann, che hanno portato alla scoperta della città nel 1872, la quasi totalità degli studiosi pensava che la guerra fosse solo una leggenda e che la stessa Troia non fosse mai esistita. Ma Schliemann dimostrò che si sbagliavano.

Così, dopo gli scavi dello studioso tedesco e quelli che si sono svolti successivamente, nonché dopo ulteriori ricerche svolte da studiosi di varie discipline e con mezzi sempre più moderni, la gran parte degli esperti appare oggi d’accordo nel valutare che la località di Hisarlik, situata sulla costa occidentale dell’Anatolia, sia il posto giusto dove collocare la città di Omero.

Gli scavi hanno peraltro portato alla luce nove diverse città, una sull’altra, e a tutt’oggi non è del tutto chiaro quale di esse sia stata veramente la Troia di Priamo.

Una candidata molto seria è la sesta città. Si trattava di una conurbazione ricca, che importava oggetti anche di rilevante valore dalla Mesopotamia, dall’Egitto, dalla Grecia micenea e da Cipro. Da una parte essa era collocata alla periferia del mondo miceneo e dall’altra, contemporaneamente, a quella dell’impero ittita, due delle grandi potenze del mondo mediterraneo durante l’età del bronzo. I contrasti tra le due potenze portarono a un certo punto anche alla guerra in cui la città fu implicata. Troia aveva in quei tempi un rapporto di subordinazione e di alleanza proprio con l’impero ittita.

La sua distruzione avvenne, secondo le ricerche più recenti, intorno al 1330 prima della nostra era.

Ma essa non fu distrutta dagli invasori, ma da un terremoto; d’altro canto, essa era forse troppo piccola per corrispondere pienamente alle descrizioni omeriche. A meno che il terremoto non abbia favorito la conquista da parte dei nemici.

Ma poi la città fu ricostruita e la settima Troia fu a sua volta distrutta intorno al 1190-1180 prima della nostra era, questa volta sì per un incendio seguito a un assedio. Ma essa lo fu probabilmente per mano dei popoli del mare piuttosto che dei micenei, che a quel tempo erano già stati messi fuori gioco.

La settima città era molto più grande della sesta e corrisponde meglio come dimensioni alle descrizioni presenti nel racconto omerico, ma i micenei non avevano potuto assediarla e distruggerla, occupati in ben altri problemi.

Così possiamo pensare che Omero abbia lavorato di fantasia, mettendo insieme fatti legati alla sesta con altri legati alla settima città e aggiungendovi peraltro anche delle cose, soprattutto sul fronte dell’organizzazione politica della polis, relative a periodi successivi. Niente di sorprendente a questo riguardo, trattandosi di un poeta.

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