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Consiglio europeo
L'euforia e la realtà
In un'Europa abituata dallo scoppio della crisi a piegarsi ai voleri di Berlino, l'esito del Consiglio europeo di venerdì è stato presentato – a seconda dei paesi – come una resa di Angela Merkel o una vittoria di Monti, Rajoy o Hollande. La politica è fatta (anche) di queste immagini, e – come ha detto Giuliano Amato al Sole 24 Ore – «Monti è riuscito a trovare uno spiraglio». Ad aprirlo è stato l'arrivo del presidente socialista in Francia che ha alleggerito (ma non rotto) l'asse Berlino-Parigi e consentito l'irrigidimento di Roma e Madrid sulle misure per ridurre i tassi d'interesse. La lezione politica che viene da Bruxelles è che l'alleanza tra i paesi della periferia e la Francia potrebbe dettare i termini delle politiche europee non meno di quanto abbia fatto finora la Germania. Toccherebbe ora a Monti occupare lo spazio ottenuto convocando a Roma un vertice dei paesi più colpiti dalla speculazione per definire i termini di un "patto sul debito" che introduca eurobond, responsabilità comune del debito, riduzione degli squilibri creati dalla Germania. Tutti temi nemmeno nominati a Bruxelles: il New York Times, maligno, suggerisce che Angela Merkel abbia acconsentito all'azione antispread in modo da evitare ogni dibattito su queste misure ben più impegnative.
Veniamo all'Italia. Per il nostro paese ritrovare un ruolo diplomatico internazionale – dopo il vuoto assoluto di Berlusconi – è un ritorno alla normalità che appare come un imprevisto successo. A Roma Monti è più forte, ma la direzione in cui si muove non cambia: in cima all'agenda ha il taglio della spesa pubblica e la riduzione degli statali. Nulla cambia anche sulla finanza: a Bruxelles non si è parlato di tassare le transazioni finanziarie e a Monti va bene così; lo stesso sui soldi per salvare le banche; l'unica preoccupazione del governo è non dover pagare un conto troppo salato per i tassi d'interesse sul debito pubblico. Ma lo strumento scelto è rassicurare i mercati, non limitarne le attività speculative.
Ovvia l'euforia della finanza di venerdì, ma quanto potrà durare? Facciamoci due conti in tasca. Quest'anno il Pil italiano potrebbe cadere del 2% (fonte Fondo monetario) e con tassi d'interesse intorno al 6% il rapporto debito/Pil potrebbe arrivare a fine anno intorno al 125%, anche con pareggio di bilancio e politiche di austerità. Non esattamente un risultato capace di eliminare gli spazi per la speculazione contro i titoli di stato.
Le risposte mancate del vertice Ue
Il conto sarà salato: ai tassi attuali, nel 2012 l'Italia potrebbe pagare circa 95 miliardi di interessi sul debito (erano 80 l'anno scorso), il 12% della spesa pubblica totale, soldi sottratti a scuola e sanità e consegnati alla rendita finanziaria. Vediamo ora i conti del Meccanismo europeo di stabilità, che dovrebbe essere il protagonista degli interventi decisi al vertice europeo. Dovrebbe avere 500 miliardi di euro dai paesi membri e non potrà finanziarsi presso la Banca centrale europea. Di questi, 100 sono destinati alle banche spagnole, in fila per avere nuovi fondi si metteranno Cipro e Slovenia, l'Irlanda che vuole condizioni migliori per le proprie banche, il Portogallo che non ha più credito, la Grecia che deve rinegoziare il Memorandum (altro tema tabù al Consiglio europeo). Con quello che resta si potranno comprare titoli di stato di Spagna, Italia e così via, in modo da tenere i tassi sotto un livello ancora indefinito. È difficile che obiettivi vaghi e risorse incerte possano riuscire a fermare la speculazione. Da quando è scoppiata la crisi l'Europa ha dato alle banche 4.500 miliardi di soldi pubblici e liquidità della Banca centrale; come notava ieri Anna Maria Merlo su questo giornale, si tratta di un terzo del Pil europeo. In cambio di queste enormi risorse non è stata introdotta la minima condizionalità: niente proprietà pubblica, nessuna divisione tra banche d'affari e commerciali, niente priorità al credito a famiglie e imprese, niente divieto di transazioni ad alto rischio, nessun limite ai derivati, niente stop ai pagamenti stratosferici dei banchieri, niente tasse armonizzate sulla finanza. Nulla di tutto questo sta nell'annuncio dell'unione bancaria tra i paesi euro decisa a Bruxelles. Cinque anni dopo l'inizio della crisi la finanza continua a operare come nulla fosse, imponendo enormi costi alle economie europee. È incredibile che la politica – a Bruxelles, come a Roma – non voglia vedere quest'enormità, e agire per ridimensionare la speculazione.
Intanto i conti dell'economia reale sono sempre più in rosso. Per Confindustria la produzione industriale in Italia è oggi del 24% inferiore al livello di prima della crisi; la perdita di occupazione dilaga, salari e consumi sono a picco. I 120 miliardi di euro fantasma del Patto per la crescita deciso a Bruxelles non faranno nulla per migliorare questi conti, mentre non ci sono ripensamenti sulle politiche di austerità imposte dal Patto fiscale. Per l'insieme dell'economia europea, l'effetto del vertice di Bruxelles è un temporaneo rallentamento della speculazione finanziaria e una continua corsa verso la depressione.
I richiami a cambiare strada non mancano. In contemporanea al Consiglio europeo, il Gruppo Spinelli – che riunisce personalità della politica europea che vanno da Romano Prodi a Daniel Cohn-Bendit – ha chiesto eurobond, mutualizzazione del debito e armonizzazione delle tasse sulle imprese, accompagnate da un patto federale che introduca un po' di democrazia in Europa. Più radicali le proposte del Forum "Un'altra strada per l'Europa", che ha riunito al Parlamento europeo a Bruxelles movimenti sociali, sindacati e forze politiche progressiste, con il manifesto e Sbilanciamoci! tra i protagonisti. Sull'urgenza di limitare la finanza, affrontare il debito e passare dall'austerità a un new deal di sviluppo sostenibile le convergenze di forze sociali, economisti e personalità politiche sono ormai larghissime. Quello che manca – a Roma come in Europa – continua a essere la voce e il potere della politica.
apparso su il manifesto del 1° luglio 2012
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