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Tra unità a sinistra e populismo
Coalizioni sociali/Da Blockupy a Podemos, strategie contrapposte per convogliare le proteste contro l’austerità. Il modello ibrido di Syriza
Unire la sinistra o costruire il popolo? Gli ultimi 7 anni di lotta contro crisi e austerity in Europa hanno evidenziato la presenza di due strategie organizzative contrapposte, che si sono manifestate sia nel campo dei movimenti sociali che nel campo della politica di partito: l’unità a sinistra o il populismo. Queste strategie riflettono diverse “diagnosi” differenti interpretazioni della natura della presente crisi, e propongono diverse ricette organizzative. L’unità a sinistra punta su una logica di coalizione, capace di alleare vari attori sociali e politici pre-costituiti (movimenti, partiti, associazioni); il populismo invece scommette su una logica di fusione, proponendo di reintegrare quella che Emanuele Ferragina ha chiamato la “maggioranza invisibile”, i “disorganizzati”, i non garanti e i non rappresentati dentro un soggetto sociale politico unitario, che parli a nome del “popolo tutto”.
La strategia dell’unità a sinistra è quella più longeva e riconoscibile nel contesto europeo. In fondo si tratta della stessa logica che portò negli anni ’90 alla creazione di vari “partiti di coalizione” di sinistra come Izquierda Unida in Spagna, e Synaspismos in Grecia, e per certi versi Rifondazione Comunista in Italia. Formazioni sorte per unire le forze di una sinistra altrimenti destinata alla sconfitta a causa della sua proverbiale frammentazione. Ed era pure la logica di fondo del movimento anti-globalizzazione, con il suo tentativo di mettere assieme le diverse anime della “società civile globale”: sindacati, le ONG, i movimenti ambientalisti, partiti di sinistra e gruppi autonomi.
Dall’inizio della crisi economica del 2008 questa strategia ha dato vita a nuove coalizioni politiche e sociali contro l’austerità. Nel campo politico ne è esempio la creazione del Front de Gauche in Francia, che ha unito diversi partiti opposti alle politiche di austerità. Nel campo della società civile questa logica di coalizione si è vista all’opera nelle proteste di Blockupy, contro la Banca Centrale a Francoforte che ha portato assieme organizzazioni come Attac, vari sindacati tedeschi, e gruppi autonomi e anarchici, e nel contesto italiano con il tentativo di Uniti Contro la crisi nel 2011 e la recente creazione della Coalizione Sociale di Landini.
La strategia populista, che trae ispirazione dall’ondata rosa del populismo socialista latinoamericano, costituisce invece la vera novità di questo ciclo di lotta. Una strategia populista si è manifestata invece nella creazione di nuovi attori sociali e politici, che hanno cercato di dissociarsi dal tradizionale immaginario della sinistra, appellandosi a masse di cittadini atomizzati che non si riconoscono in alcun blocco sociale pre-costituito. Questa strategia si è manifestata nel contesto dei movimenti, nelle azioni degli indignados spagnoli, dei loro cugini grechi, i polites aganaktismenoi (cittadini indignati), e il modo in cui appellandosi all’insieme della cittadinanza contro “politici e banchieri” sono riusciti a portare in piazza milioni di persone, molte delle quali alla loro prima esperienza di protesta. Infine, la creazione di Podemos, con il suo tentativo di andare oltre la sinistra tradizionale spagnola e creare un soggetto politico unitario che potesse unire categorie sociali molto diverse attorno a una comune identità popolare, ha dimostrato la potenza della strategia populista e della sua logica di fusione pure nel campo della politica elettorale.
È evidente che queste due strategie sono per molti versi contrapposte. Laddove l’unità a sinistra punta a “inanellare” nuclei organizzati pre-costituiti, la logica populista ha l’ambizione di creare ex-novo una rappresentanza del popolo.
Laddove l’unità a sinistra tende a cucire assieme simboli e discorsi che rappresentano le diverse anime della sinistra frammentata – comunisti, trotzkisti, verdi, femministe, ambientalisti – la logica populista utilizza quelli che il filosofo Ernesto Laclau chiamava “significanti vuoti”, simboli unificanti, apparentemente onnicomprensivi – popolo, gente, cittadini – che vogliono interpellare la massa dei cittadini atomizzati non garanti, dei non rappresentati, dei non organizzati. Eppure esistono modalità ibride e possibili transizioni tra queste due tipologie.
L’esempio più evidente è il caso di Syriza e della sua recente trasformazione. Le radici del partito affondano in Synaspismos la coalizione della Sinistra, dei Movimenti e dell'Ecologia fondata nel 1991. Tuttavia sotto la leadership di Tsipras il partito ha operato una “svolta populista”, vista sia nel cambiamento del discorso e del linguaggio politico, sia nel contesto organizzativo. Il momento decisivo di trasformazione è stata la svolta verso “un partito unitario” (piuttosto che un partito di coalizione) celebrato nel congresso di luglio 2013, che portò alla dissoluzione ufficiali dei partiti membri. Si tratta di una mossa chiaramente ispirata dal movimento degli aganaktismenoi, e dal modo in cui hanno contribuito in aprire uno “spazio popolare” che una pura strategia di unità a sinistra non avrebbe potuto rappresentare.
Sia la strategia di unità a sinistra che la strategia populista contengono potenzialità e pericoli. La logica dell’unita a sinistra offre la possibilità di costruire un fronte relativamente ampio ma al tempo stesso omogeneo ideologicamente. Tuttavia corre il rischio classico della “sinistra-sinistra” di rinchiudersi in un angolo. La logica populista offre una strategia “pigliatutto” che risponde bene alla presente fase di crisi associativa e crisi di appartenenza. Ma al tempo stesso è molto esposta ai cambiamenti di umore dell’opinione pubblica, e alla instabilità delle emozioni collettive. In ogni caso concreto la scelta tra queste due strategie dovrebbe rispondere a una fondamentale considerazione strategica. Qual è in questa fase politica il compito più urgente e il cammino più credibile per combattere la politica d’austerità? Unire le forze di quelli che ancora si riconoscono in identità di sinistra e con livelli relativamente alti di appartenenza e rappresentanza? O dare voce alla “maggioranza invisibile” dei disorganizzati, dei non garantiti e dei non rappresentati?
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