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Lettera

L'esame di italiano e i diritti degli stranieri

22/06/2010

Un commento dal rettore dell'università per stranieri di Siena, riguardo alla certificazione ufficiale di lingua italiana richiesta per il "permesso a punti"

Nel suo articolo Il business e il busillis del permesso a punti, Fiorella Farinelli, con lucidità e passione, individua alcuni punti essenziali di quanto sta oggi avvenendo nel rapporto fra formazione, educazione, società. Sul tema vorremmo esprimere alcune considerazioni, in quanto Università per Stranieri di Siena, che dal 1993 rilascia una delle certificazioni ufficiali di lingua italiana, la certificazione Cils (Certificazione di Italiano come Lingua Straniera).

La diffusione delle certificazioni di italiano è avvenuta appunto a partire dal 1993, in seguito alla sollecitazione del ministero affari esteri, che delineava la necessità di dotare anche l’italiano di uno strumento che altre lingue avevano da ben più tempo.
Sin dalle primissime sessioni d'esame abbiamo preso atto che, oltre ai tradizionali pubblici stranieri all’estero, si rivolgevano alla certificazione anche gli immigrati stranieri presenti in Italia. Abbiamo messo in atto, allora, una azione che portasse a considerare tutti i diversi pubblici che manifestavano l’esigenza di avere, della propria competenza linguistico-comunicativa, un riconoscimento formale, spendibile e indipendente da un percorso formativo specifico. Abbiamo sempre considerato i nostri destinatari come soggetti che, attraverso l'ottenimento del certificato, frutto di una scelta autonoma e consapevole, avrebbero visto nel certificato stesso la conquista di uno strumento per esercitare il diritto all'espressione in una lingua diversa dalla propria. Non abbiamo mai promosso né appoggiato l'idea di un esame di certificazione come barriera per discriminare chi ha il diritto e chi non ha il diritto di vivere in un paese, anche considerando i risultati (negativi) che tale tipo di scelte ha causato negli altri paesi dove sono state adottate.
Abbiamo coinvolto, dunque, nella certificazione fin dai primi anni '90 anche i lavoratori immigrati, con sperimentazioni e gruppi di ricerca proprio a partire da una collaborazione con l'Irrsae Piemonte negli anni 1994-1996 e con il comune di Roma negli anni in cui Fiorella Farinelli era assessore all'educazione e alle politiche giovanili, proseguendo con cooperazioni con gli insegnanti, i Ctp, l’associazionismo, che hanno portato a realizzare nel 2001 un sistema coerente di moduli certificatori adeguato anche alla competenza iniziale di adulti immigrati in Italia.
Su questa linea intendiamo proseguire anche oggi, anche in un momento in cui per legge è stato stabilito il livello di lingua italiana da possedere per vivere e rimanere a vivere in Italia.
Con lo spirito critico che ci caratterizza e che deve caratterizzare chi opera nel settore della ricerca scientifica (siamo una università pubblica), e con l’impegno civile teso a frantumare tutte le barriere che ostacolano il dialogo fra le persone con lingue, culture, identità diverse, cerchiamo di rispondere alle esigenze che via via emergono nella nostra società. A questo proposito citiamo come esempio una iniziativa che proprio ieri ha visto una associazione senese dare all’Università per Stranieri di Siena un contributo per realizzare corsi di italiano e per far sostenere gli esami di certificazione alle badanti straniere, in vista delll’attuazione del D.M. 4 giugno 2010: conoscenza della lingua italiana per il permesso di soggiorno.

In questo momento non ci è possibile contare su fondi pubblici per garantire a tutti gli immigrati la possibilità di esercitare il diritto all’espressione, tramite l’apprendimento della lingua italiana e la certificazione delle competenze sviluppate. Altri, forse, godono di consistenti fondi attribuiti forse fuori dai necessari parametri di trasparenza. Noi intendiamo, comunque, continuare a garantire standard qualitativi nel campo della misurazione e valutazione delle competenze linguistiche, e per questo investiamo in formazione continua dei docenti e di quanti altri operano per l’alfabetizzazione linguistico-comunicativa degli immigrati. Per noi la scuola e l’associazionismo sono mondi con i quali cooperare, per imparare – sicuramente – e per fornire i nostri servizi e strumenti (premiati, proprio quelli rivolti agli immigrati stranieri, ben due volte dal Consiglio d’Europa). Continuiamo a investire facendo formazione, anche creando nuove figure professionali da inserire nel settore dell’italiano in contatto con le altre lingue. I costi dell'esame, comunque obbligati come ‘tasse d’esame’ dalla normativa pubblica, servono a coprire, almeno parzialmente, la laboriosa attività (di certo non frutto di improvvisazione) legata alla progettazione, realizzazione, pre-testing delle prove, somministrazione, valutazione. E servono a consentirci di continuare ad avere quel rapporto di cooperazione con la scuola e l’associazionismo che riteniamo un valore primario della nostra identità.
Un’ultima considerazione, anzi: una domanda. Come garantire che le prove che gli immigrati dovranno sostenere avranno caratteri di effettiva qualità; saranno seriamente costruite, e perciò valide e affidabili? Tali caratteri sono la condizione primaria di possibilità per far sì che il progetto di apprendimento dell’italiano che l’immigrato ha scelto, o anche soltanto la sua prova di esame di lingua italiana, siano davvero strumenti per godere del diritto all’espressione, e non, invece, una ulteriore occasione perduta, una ulteriore spinta verso la marginalità.

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