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E se Syriza salvasse l’Europa?
Nike/La vittoria di Tsipras è un segnale forte di rifiuto dell’arroganza di chi oggi governa l’Europa, incurante di ogni segnale che viene dai cittadini europei. In una situazione di emergenza umanitaria, le minacce di queste istituzioni non hanno prodotto sottomissione, ma ribellione
Non c’è dubbio che la maggioranza quasi assoluta ottenuta da Syriza alle elezioni di domenica scorsa rappresenti un punto di non-ritorno per l’Europa. È l’esito più temuto da governanti di vari paesi e, soprattutto, dai poteri finanziari che hanno condotto una intensa campagna minacciosa, fondata su una idea sempre più liberista di Europa secondo la quale una vittoria di Syriza avrebbe messo in pericolo stabilità e crescita economica (quale?). Ma è anche l’esito più auspicabile per chi della Europa ha una concezione diversa, di solidarietà e democrazia invece che di competizione e decisioni dall’alto – quell’Altraeuropa di giustizia sociale e di partecipazione, in cui era diventato sempre più difficile credere negli ultimi anni.
Al di là delle sfide che verranno al governo di Tsipras, dall’interno e dall’esterno e al di là della risposta che verrà dai poteri politico-finanziari, la campagna elettorale e la sua conclusione già segnano alcuni punti utili a tentare di ricostruire un’idea di un’Altraeuropa.
C’è sicuramente, innanzitutto, un segnale forte di rifiuto dell’arroganza di chi oggi governa l’Europa, incurante di ogni segnale che viene dai cittadini europei. Agli indicatori di una UE in profondissima crisi di legittimazione, al crollo drastico della fiducia nelle sue istituzioni dal 2008 ad oggi, ai due terzi di cittadini europei a cui l’Europa evoca sentimenti negativi, alle elezioni che hanno punito soprattutto i partiti del Partito Popolare Europeo, la risposta istituzionale è stata di continuità con una politica e delle politiche che sono risultate non solo impopolari, ma anche inefficaci.
I risultati delle elezioni in Grecia testimoniano che, sempre di più, i perentori diktat di istituzioni finanziarie nazionali e internazionali – da ultimo la Bundesbank e il Fondo Monetario Internazionale – non producono più paura, ma piuttosto indignazione per la violazione di ogni parvenza di democrazia e sovranità nazionale, nonché per il loro evidente fallimento nel realizzare quella crescita economica che viene promessa, ma da lungo tempo non più realizzata. Il rifiuto è tanto più forte quanto più poteri sempre più opachi—troike varie, Eurogruppi o, appunto, le banche – pretendono non solo dai paesi più poveri l’implementazione di standard di bilancio, a cui comunque si deroga per i paesi più potenti, ma anche di imporre “riforme” (ad esempio, le deregolamentazione del mercato del lavoro, la riduzione dei diritti dei lavoratori, la riduzione dei servizi sociali) la cui efficacia nessuno ha finora provato.
In una situazione di emergenza umanitaria, le minacce di queste istituzioni non hanno prodotto sottomissione, ma ribellione. Rispetto ad una arroganza, considerata da molti come illegittima e inefficace, gli elettori greci hanno votato a maggioranza per un partito che non è euroscettico, ma piuttosto propone una diversa visione dell’Europa. Al di la’ dell’esito delle elezioni, con un sostegno a Syriza maggiore del previsto seppure non tale da garantire una maggioranza assoluta di seggi, la speranza per un’Altraeuropa viene dal processo che si è avviato nel 2011 e che è proseguito fino al 2015. Da un lato, al discorso di paura dei governi e delle istituzioni finanziarie, si è contrapposto un discorso di speranza – pragmatico nella richiesta di ricostruire condizioni minime di benessere e di democrazia, ma anche di rottura rispetto all’evoluzione politica degli ultimi decenni. Attraverso questo processo si è confermata l’importanza, a sinistra, di mantenere un collegamento tra movimenti sociali e rappresentanza partitica nella difesa di diritti che i governanti hanno definito superati, ma che i cittadini considerano ancora fondamentali. Questo è un messaggio che va oltre la Grecia, così come oltre la Grecia è andata la passione e l’entusiasmo che queste elezioni hanno suscitato a sinistra, soprattutto nel Sud Europa.
Da questo punto di vista, le elezioni in Grecia sono un momento di svolta anche per la sinistra europea. Resta certo da vedere in che misura l’emozione positiva per una prima vittoria a sinistra contro l’austerity in Europa si possa trasformare nei vari paesi europei in un progetto alternativo che, senza copiare Syriza, riesca a costruire un percorso vincente nelle piazze, ma anche all’interno delle istituzioni. Quello che è certo è che, inaspettatamente, proprio quando le opportunità istituzionali sembravano più chiuse per i movimenti sociali che si opponevano alle politiche di austerità reclamando diritti sociali, in Grecia ma anche in Spagna, partiti in vario modo collegati a movimenti sociali, innovativi, dinamici e vincenti, sono emersi dopo le sconfitte dei partiti di centro-sinistra, che sono diventati di centro, ma anche dei partiti di sinistra-sinistra residuati dal passato. Mentre in Grecia e in Spagna la gestione della crisi ha prodotto il crollo dei partiti di centrosinistra, che hanno perso iscritti ed elettori, per la prima volta occasioni di governo si aprono per nuovi partiti di sinistra, radicali ma pragmatici, non populisti ma orientati a ricostituire una visione di popolo, non euroscettici ma interessati a un’Altraeuropa. Se un progetto positivo di Europa potrà rinascere, sarà a partire da queste nuove forme, in apparenza non effimere, di rivendicazione di diritti civili, politici e sociali.
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