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La larga banda di Telecom Italia
La più completa tra le privatizzazioni italiane ha portato a un risultato deludente. La società, piena di debiti, è in mano a banche e a un concorrente straniero. Ha abbandonato ogni iniziativa dal punto di vista tecnologico e salva i profitti tagliando i posti di lavoro
“…se la Telecom in questi ultimi dieci anni ha venduto quasi tutto, le partecipazioni, gli immobili, addirittura le centrali telefoniche, (mentre) il debito è rimasto di 34 miliardi,… la domanda da ragioniere è: dove sono finiti i soldi?... Semplice, sono finiti in stock options milionarie, dividendi agli azionisti del salotto buono, che hanno spolpato viva la Telecom…”
Beppe Grillo
In una dichiarazione rilasciata diversi mesi fa, Alessandro Profumo, allora amministratore delegato di Unicredit, affermava che esistevano in Italia in tutto sei o sette grandi imprese di livello internazionale e che Telecom Italia non era più da tempo compresa nell’elenco. Le affermazioni di Profumo registravano l’evidente decadenza recente della società telefonica rispetto a un passato certamente più importante, anche se difficilmente definibile come glorioso, vista la sua posizione monopolistica del mercato nazionale, con tutto quello che ne è seguito a livello di pessimo servizio ai clienti, tariffe elevate, alti costi e inefficienze di gestione, ecc.
Sono state le modalità maldestre e velleitarie con cui è stata a suo tempo effettuata la privatizzazione del gruppo, nonché la rilevante evoluzione tecnologica e di mercato manifestatasi nel settore delle telecomunicazioni e infine le manovre più o meno trasparenti dei successivi azionisti e manager che hanno spinto presto la Telecom in una situazione veramente difficile.
Le note che seguono cercano di descrivere questo processo di declino e di indicare anche i tentativi dell’attuale nuovo gruppo dirigente, guidato da Franco Bernabè, di trovarvi almeno qualche rimedio in una situazione certamente complicata sul fronte dell’azionariato, del quadro di mercato e di quello finanziario della società, nonché delle evidenti e poco disinteressate interferenze politiche in atto da tempo; tali tentativi di raddrizzare la rotta sembrano portare molto di recente a qualche moderato successo.
La storia
Telecom Italia nasce nel 1994 dalla fusione di cinque preesistenti società operanti nel settore telefonico e facenti parte del gruppo Iri-Stet. Tra di esse, la Sip, che aveva a suo tempo incorporato le diverse società monopolistiche del settore che operavano nel nostro paese. Nel 1997, poi, la stessa holding Stet è fusa con Telecom Italia; si procede nello stesso anno con la privatizzazione del gruppo, azione che, mal concepita e mal gestita, sarà foriera delle successive disavventure.
Mentre in gruppi quali l’Eni, l’Enel, Finmeccanica, STMelectronics, lo stato ha mantenuto una quota di controllo del capitale, dando così anche una prospettiva di stabilità a tali imprese, nel caso di Telecom Italia, invece, si è tentato a suo tempo l’esperimento della costituzione di un cosiddetto nucleo duro di controllo, aperto, almeno nelle intenzioni dell’allora governo di centro-sinistra, alle principali imprese private italiane. La risposta delle grandi famiglie fu in realtà molto tiepida; parecchie società aderirono al progetto, ma con scarsa convinzione e con quote modestissime. Telecom passa così sotto il controllo precario di un gruppo di soci importanti, guidato dagli Agnelli, che mettevano insieme però soltanto il 6,6% delle sue azioni.
A tale cordata instabile ne subentrerà presto una nuova, guidata da Roberto Colaninno e da un insieme di piccoli e medi imprenditori del Nord, che acquisirà e gestirà il controllo della società prima attraverso l’Olivetti e poi attraverso altre complicate trame societarie. Da parte governativa si teorizza in quel momento la volontà di far circolare aria nuova nelle acque stagnanti del capitalismo italiano immettendo nuove e più giovani forze imprenditoriali nel sistema.
Il prezzo dell’acquisizione del 51% della società da parte del nuovo gruppo di controllo sarà di circa 60.000 miliardi di lire, raccolti per la parte più importante indebitandosi con le banche ed emettendo obbligazioni; per il resto si utilizzeranno le risorse derivanti dalla vendita da parte della Olivetti delle attività nel settore della telefonia mobile e con altre partite minori.
In seguito verrà anche ceduta una serie di partecipazioni della società telefonica. Tale linea di smobilizzo proseguirà anche sotto la gestione successiva, investendo una parte consistente degli asset della società, tanto che Beppe Grillo ha potuto in un suo intervento all’assemblea degli azionisti dell’aprile 2010, esagerando un po’, presentarsi con una fascia a lutto al braccio per celebrare il funerale dell’impresa.
Ma anche la nuova compagine non ce la fa a gestire l’enorme indebitamento che era stato necessario per comprarla e che era stato poi scaricato sulla stessa impresa acquisita; tale massa di prestiti peserà poi fortemente su tutte le vicende complessive.
Nell’estate del 2001 il bastone di comando passa così a un nuovo soggetto imprenditoriale, formato dai gruppi Tronchetti Provera e Benetton, assecondati da Unicredit e Banca Intesa, e sullo sfondo l’appoggio di Mediobanca. Anche i risultati di tale iniziativa si rivelano alla fine disastrosi, in particolare sotto il peso dei debiti accumulati e nel 2007 la banca d’affari milanese interviene formando un nuovo raggruppamento di cui fanno ora parte Intesa, la stessa Mediobanca, Generali, Benetton e la spagnola Telefonica.
L’attuale assetto societario di Telecom Italia registra una quota di controllo nelle mani della Telco, con il 22,4% delle azioni; la stessa Telco, a sua volta, vede la presenza nel capitale di Telefonica al 46,2%, di Mediobanca all’11,6%, di Generali al 30,6% e di Intesa Sanpaolo all’11,6%.
Con l’ingresso della nuova compagine azionaria è eletto un nuovo gruppo dirigente e Franco Bernabè, che era già stato ai vertici della società, per essere disarcionato dalla scalata di Colaninno viene chiamato a ricoprire la carica di amministratore delegato.
Le conseguenze del rilevante indebitamento e dei larghi dividendi che Telecom è stata costretta a distribuire ad azionisti avidi di risorse, in particolare nell’era di Tronchetti Provera, insieme ai frequenti cambiamenti nei gruppi dirigenti, sono state quelle di risultati economici modesti e di scarse risorse finanziarie disponibili per lo sviluppo e per gli investimenti, ciò che ha avuto conseguenze molto negative per la società, facendole perdere, tra l’altro, molte posizioni nei confronti dei principali gruppi europei del settore.
Alcune vicende giudiziarie degli ultimi anni
Il periodo della gestione Tronchetti Provera ha lasciato in eredità alcune vicende giudiziarie in parte almeno inquietanti.
Intanto Telecom Italia è stata coinvolta insieme al Sismi nello scandalo delle intercettazioni telefoniche abusive nel periodo 2005-2006. Una lunga lista di reati sono stati così contestati ad alcune decine di persone, tra i quali membri del Sismi, responsabili della sicurezza di Telecom Italia, privati cittadini, poliziotti e militari. Comunque Tronchetti Provera e Carlo Buora, ex-amministratore delegato, sono coinvolti nel procedimento.
Inoltre, la Procura di Milano ha chiuso nell’aprile 2010 le indagini su di una supposta gigantesca frode fiscale da parte di Telecom Italia che riguarderebbe il periodo 2003-2006. Sono accusati in particolare di reati tributari sempre Buora e l’allora responsabile fiscale della stessa società.
Infine nel 2010 scoppia un altro scandalo. La società Fastweb e la Sparkle, quest’ultima impresa facente parte del gruppo Telecom Italia, sono coinvolte in un gigantesco affare di riciclaggio. Si parla di fatturati fittizi e di falsi crediti Iva. Sono accusati manager e amministratori delle due società, uomini politici, imprenditori. Si registrano 80 indagati e 56 mandati di cattura.
Va ricordata infine l’indagine in atto sulla falsa vendita nel tempo di sim card e di telefonini, apparentemente per gonfiare i risultati della società e i bonus di alcuni dirigenti.
Nessuna di tali vicende è ancora arrivata alla sua conclusione giudiziaria, mentre comunque l’attuale consiglio di amministrazione della società si è rifiutato di avviare azioni di responsabilità contro i precedenti gruppi dirigenti per le vicende giudiziarie citate.
I risultati economici e finanziari e il confronto con la concorrenza
Nel 2007 il gruppo consegue 31 miliardi di euro di fatturato ottenendo un utile netto di 2,5 miliardi; nel 2008 le cifre saranno rispettivamente di 30 e 2,2 miliardi, nel 2009 infine di 27,2 miliardi e 1,6. Il fatturato e gli utili si rivelano come sostanzialmente deludenti anche se si fa il confronto con un periodo più lontano nel tempo. Nel 1999 il livello della cifra d’affari era stato pari a circa 27 miliardi di euro, mentre quello degli utili netti a circa 2,4 miliardi. È come se dieci anni fossero passati invano.
Il 2010 sembra chiudersi all’insegna di un certo miglioramento della situazione, ciò che induce l’amministratore delegato della società a mostrarsi ottimista sulla situazione e sulle prospettive del gruppo (Fasiolo, 2010). La società ha chiuso intanto i primi nove mesi del 2010 con un utile netto di 1,8 miliardi di euro, risultato in crescita del 57% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, anche se escludendo le partite straordinarie l’aumento si ridimensiona al 14,6%. L’indebitamento appare in leggera riduzione. Dai conti appare comunque un piccolo calo del fatturato (-0,5%), dovuto a una rilevante diminuzione di quello domestico da una parte – in particolare nel settore della telefonia mobile (-10, 4%), in relazione alla forte concorrenza di prezzo che su tale mercato esercitano alcuni concorrenti – e alla crescita di quello latino-americano dall’altra.
La questione più critica è ancora oggi quella dell’indebitamento.
Nel periodo 1997-1999 il livello dell’indebitamento finanziario netto oscillava intorno a 8 miliardi di euro. L’esposizione saliva a 17,2 miliardi nel 2000 e si collocava ormai a 33,4 miliardi nel 2002. Nel 2005 si era arrivati a 39,5 miliardi di euro, per cominciare poi a scendere lentamente, sino al livello di circa 34 miliardi della fine del 2009 e di 33 della fine di settembre 2010.
Il rapporto debiti/capitale investito, che si collocava intorno al 28,1% nel 1999, era salito al 41,1% nel 2000, aveva raggiunto il 60% nel 2005, per poi diminuire un po’, sino al 55,6% di fine 2009 e al 53,6% del settembre 2010.
Il confronto con i principali concorrenti europei si rivela complessivamente come abbastanza impietoso.
France Telecom registra nel 2009 un fatturato di 45,9 miliardi di euro, Deutsche Telecom di 64,6 miliardi, la spagnola Telefonica di 56,7 miliardi. Solo British Telecom ha delle dimensioni comparabili, con una cifra d’affari di circa 25 miliardi, ma essa presenta un indebitamento finanziario netto di soli 10,8 miliardi di euro; quello di France Telecom è simile a quello italiano, ma con un fatturato molto più elevato; quelli delle società spagnola e tedesca si collocano intorno ai 40-41 miliardi, a fronte però di un fatturato molto più consistente e pari nel caso tedesco a circa il doppio.
Per quanto riguarda i livelli di redditività, Telefonica è il campione assoluto, con circa 8 miliardi di euro di profitti netti nel 2009; elevati anche gli utili della casa francese, mentre i risultati di British Telecom sono più o meno allineati con quelli italiani e quelli di Deutsche Telecom anche peggiori.
La società è da tempo a rimorchio dei suoi concorrenti europei per quanto riguarda il valore di borsa delle sue azioni a causa del livello di indebitamento e delle non edificanti vicende relative al controllo del gruppo. Comunque, dal momento che in Italia la concorrenza nel settore è, alla fine, abbastanza moderata e che l’azienda presenta rilevanti margini di redditività e un cash flow abbastanza elevato (The Economist, 2010), si potrebbe assistere nei prossimi anni a un miglioramento della situazione, in assenza almeno di “disturbi” da parte del mondo politico.
Le attività internazionali
Anche guardando alla dimensione internazionale delle varie imprese del settore, le attività di Telecom Italia appaiono sostanzialmente più ridotte di quelle dei concorrenti europei; la società dovrebbe registrare alla fine del 2010 una percentuale di fatturato estero di poco superiore al 25% del totale – peraltro in rilevante aumento rispetto all’anno precedente grazie all’incorporazione della controllata argentina –, contro poco meno del 50% nel caso di France Telecom e di circa i due terzi nel caso di Telefonica.
La differenza si può spiegare di nuovo con l’instabilità e la confusione organizzativa collegate al rapido avvicendamento dei gruppi dirigenti dell’azienda e con i paralleli tentativi di contenere l’indebitamento, fatti che hanno portato alla cessione di alcune delle attività estere o a una rilevante distrazione rispetto al tema.
Ciò nonostante, i risultati del gruppo dipendono oggi in misura rilevante da quelli dell’America Latina, l’unica area estera in cui la società abbia oggi una presenza importante.
In Brasile, la recente conquista da parte di Telefonica della società Vivo, permette ormai a tutti i diretti concorrenti di Tim Brasil, che opera nel paese quasi soltanto nella telefonia mobile, di sviluppare una concorrenza forte contro l’operatore italiano, dal momento che essi sono presenti sia nel fisso che nel mobile e sono quindi possibili per loro politiche di offerta integrata.
In ogni caso, la consociata brasiliana ottiene un fatturato di 4,7 miliardi di euro nel 2009, pari a circa il 18% di quello totale e il suo valore percentuale di mercato è ancora superiore rispetto a quello complessivo del gruppo.
In Argentina la società, dopo il recente via libera dell’antitrust locale che ha permesso di superare alcuni precedenti ostacoli, controlla ormai, attraverso Telecom Argentina, di cui possiede ora la maggioranza assoluta del capitale, il 47% del mercato del fisso e il 31% del mobile (Galbiati, 2010); le quote restanti e maggioritarie sono nelle mani della spagnola Telefonica, che appare il principale concorrente del gruppo anche in Brasile.
La filiale locale, che è sostanzialmente senza debiti, registra nel 2009 un fatturato di 2,5 miliardi di euro e soprattutto un margine operativo lordo di 800 milioni di euro, ciò che permetterà, consolidando finalmente la partecipazione, di portare a 2,5 il rapporto tra debito netto e margini di tutto il gruppo, attualmente su di un livello di 3,1, portando così tale indice, che esprime abbastanza efficacemente la capacità di restituzione dei debiti contratti, più vicino a quello dei concorrenti (Galbiati, 2010).
Il lavoro
Una costante rilevabile nell’operato dei gruppi dirigenti che si sono succeduti al comando della società dal 1997 a oggi riguarda la ricerca ossessiva della riduzione del numero dei dipendenti, nonché del peso del costo del lavoro sul fatturato, uniche variabili di “facile” gestione in una organizzazione spinta da obiettivi molto contingenti, confusi e spesso tra di loro contradditori.
Si assiste così a una drastica riduzione degli occupati, che passano dai 122.662 del 1999 agli 83.200 del 2005 ai 70.000 circa infine del settembre 2010. Questo avviene attraverso la ristrutturazione dell’organizzazione interna, la vendita di diverse attività nazionali ed estere, l’esternalizzazione di molte altre.
Così, l’incidenza del costo del lavoro sul fatturato di Telecom Italia, che era del 18,3% nel 1999, scende sino al 13,7% del 2009.
Per quanto riguarda questo fenomeno, il confronto con i concorrenti europei mostra che si ritrovano due modelli diversi di organizzazione; quello di Telecom Italia, con una forte spinta all’esternalizzazione, appare simile a quello di Telefonica, con un’incidenza del costo del lavoro sul fatturato che appare vicino (12% contro 13,7%), mentre l’altro modello, più organico, è quello di France Telecom, che presenta un’incidenza dello stesso costo del lavoro del 19-20%.
I dipendenti e i sindacati potrebbero affermare che ormai ogni anno ha la sua pena. Nel 2008 si sono registrate 5 mila mobilità, nel 2009 oltre 1.400 lavoratori sono stati messi in contratto di solidarietà, nel 2010 viene annunciato un programma di outsourcing per il settore informatico che interessa più di 2.000 dipendenti e che sembra preludere a dei rilevanti licenziamenti, mentre viene anche programmato un piano di licenziamenti di 6.800 persone entro il 2012 – di cui 3.700 entro il 2011. In quest’ultimo caso si è poi arrivati a un accordo con il sindacato, ma le minacce restano.
Lo sviluppo della banda larga
L’Italia è in forte ritardo sugli altri paesi avanzati per la costruzione di una rete di nuova generazione in banda larga che sostituisca la fibra ottica al cavo di rame. Siamo all’ultimo posto tra i paesi avanzati nella classifica della diffusione di tale tecnologia tra gli utenti (Mucchetti, 2010). Da un’analisi svolta dalla Confindustria nei primi mesi del 2010 (Carli, 2010) risulta che, considerando tutti i vantaggi in termini di minori spese e di maggiore efficienza e produttività del sistema Italia che deriverebbero dall’introduzione della nuova rete, si potrebbero trarre risparmi complessivi sino a circa 30 miliardi di euro all’anno.
Telecom Italia, sollecitata a intervenire, ha portato avanti le cose molto cautamente; per tale progetto sono necessari fortissimi investimenti con un ritorno economico molto lento nel tempo, mentre siamo di fronte a un’azienda già molto indebitata.
In altri paesi sono comunque intervenuti i rispettivi governi per sostenere il mutamento tecnologico; nel nostro erano stati promessi circa 800 milioni di euro, somma non molto rilevante, ma di cui peraltro non sembra che ci sia veramente traccia.
Comunque, dopo molte vicende e diverse polemiche, in un intreccio complesso tra interessi divergenti delle varie società telefoniche, carenza di risorse pubbliche e private, ingerenze di Berlusconi e dei suoi famigli, nel novembre del 2010 è stata costituita una società tra tutti gli operatori del settore per la costruzione di una rete di nuova generazione.
Tale società sarà a guida pubblica, con l’intervento della Cassa depositi e prestiti; Berlusconi potrà così, almeno se resterà alla guida del governo, tenere sotto controllo gli sviluppi del settore, cruciali per il business televisivo nei prossimi anni. Ma l’iniziativa prevista è parziale, in quanto gli operatori condivideranno solo le infrastrutture “passive” Ngn, che rappresentano comunque tra il 60 e l’80% dei costi necessari per portare la fibra ottica nelle case, mentre sono escluse dall’accordo la fibra stessa e gli apparati.
L’investimento previsto è di 8 miliardi di euro entro il 2020 –data limite posta dall’Unione Europea per raggiungere dei target minimi nel settore.
Inoltre, Telecom Italia promette di portare la fibra ottica in 138 città entro il 2018, mentre i suoi concorrenti hanno lanciato congiuntamente un progetto per cablare 20 milioni di residenti entro il 2015 (Vaglio, 2011).
I rapporti con Telefonica e quelli con Berlusconi
Oggi la società spagnola è il secondo operatore telefonico del continente europeo per dimensione del fatturato – potrebbe presto diventare il primo – e il primo di gran lunga già oggi in termini di redditività.
L’ingresso con un peso notevole di tale attore nella compagine azionaria di Telecom Italia sembrava preludere a una presa di controllo. Ma si sono nel tempo manifestati degli ostacoli politici. Recentemente (Pons, 2010, a), poi, la borsa si è mostrata ostile a un progetto che caricherebbe il bilancio di Telefonica di 33 miliardi di debiti in più, mentre va anche ricordato, per la società spagnola, anche l’accollo di debiti collegato all’acquisto della Vivo in Brasile. In generale, gli sviluppi recenti della situazione di mercato in America Latina rendono ancora più ardua l’operazione per il fatto che vi si svilupperebbe una situazione di virtuale monopolio.
Ma anche se la conquista di Telecom Italia non si è realizzata, almeno sino a oggi, gli iberici hanno ottenuto dalla relazione con tale società degli importanti vantaggi a loro favore.
Telefonica è stata in grado di condizionare, bloccandole, le strategie di sviluppo estero di un importante concorrente in Europa come in America Latina e ha potuto sviluppare delle relazioni nel nostro paese, non ultima quella con Berlusconi, che potrebbe portarle nel medio periodo dei frutti importanti.
In Spagna il Cavaliere ha ottenuto di recente il pieno controllo dell’emittente televisiva Cuatro e il 22% del canale a pagamento Canal+, nel quale Telefonica possiede un’altra quota del 22%. Insieme i due gruppi hanno anche avviato una società nel settore.
Può darsi che la chiusura di tale affare sul mercato iberico comporti delle contropartite, o almeno degli altri accordi, per quanto riguarda l’Italia; si potrebbe magari arrivare a un controllo congiunto di Telecom, avendo scorporato la rete, sulla quale in futuro correrà anche la televisione.
Sullo sfondo sta un ricorrente interesse di Berlusconi per la società.
Già nel periodo della gestione Colaninno, di fronte al progetto da parte di quest’ultimo di avviare una rete televisiva, che sarà poi la 7, la sua parte politica e i suoi media scateneranno una campagna molto violenta contro il gruppo. Successivamente, il cavaliere ha sempre seguito molto da vicino le vicende della banda larga, i cui sviluppi possono interferire in maniera rilevante, come già accennato, con la gestione della tv. Si è a più riprese anche parlato di un interesse diretto alla conquista della società. In ogni caso, periodicamente, egli cerca di influire sull’azienda in molti modi; così Berlusconi ha già provato, con l’aiuto del banchiere Cesare Geronzi, a sostituire Bernabè con un suo uomo di fiducia, ma almeno sino a questo momento i suoi tentativi non hanno avuto effetto. In ogni caso, le pressioni sullo stesso Bernabè perché certe decisioni siano incanalate in direzione degli interessi di Mediaset non mancano, sia pure con esiti alterni. Nell’aprile del 2011 le cariche sociali dovranno essere rinnovate ed in tale occasione Berlusconi dovrebbe certamente provare a sostituire l’attuale amministratore delegato, giudicato non sufficientemente ubbidiente ai suoi desiderata. (Pons, 2010, b).
Bisogna in generale ricordare che poiché il business telefonico dipende dalle regole dettate dal settore pubblico, per il buon andamento degli affari sono indispensabili buoni rapporti con i governi in carica.
Conclusioni
Il sistema economico e politico del paese ha portato a suo tempo la Telecom sull’orlo del baratro, da dove cerca ora affannosamente e tra mille ostacoli di uscire, sia pure ridimensionata e con prospettive non troppo brillanti. I protagonisti del settore, in Europa e nel mondo, sono ormai altri.
I piani in essere del nuovo gruppo dirigente sembrano andare nel senso di una navigazione molto prudente, puntando fondamentalmente, più che su di una rilevante espansione delle attività, su di una meticolosa riduzione dei costi – tra i quali quello del lavoro continua a essere in primo piano, con riflessi di sofferenza continua per i dipendenti – nonché del livello di indebitamento. È prevista una crescita del fatturato intorno all’1% all’anno nel periodo 2010-2012, con un risparmio di costi pari a 2,7 miliardi di euro. L’obiettivo per l’indebitamento netto è quello di ridurlo a 28 miliardi alla fine del periodo.
Il programma d’investimenti nelle nuove tecnologie della banda larga, in assenza di risorse, appare subordinato alla volontà dei politici e alla cooperazione con gli altri concorrenti del settore. Questo significa che essa andrà avanti lentamente. Anche gli obiettivi di espansione internazionale sembrano al massimo quelli di consolidamento dell’esistente.
Sulla società grava da parecchio tempo, in ogni caso, l’ombra di Silvio Berlusconi che potrebbe ottenere, prima o poi - in particolare se resterà al governo - il controllo della società, da solo o attraverso qualche accordo con Telefonica e Mediobanca.
Testi citati nell’articolo
- Carli S., Con l’Italia a banda larga risparmi per 30 miliardi, la Repubblica, Affari & Finanza, 3 maggio 2010
- Fasiolo F., Debito sostenibile, niente cessioni per Telecom, la Repubblica, 2 dicembre 2010
- Galbiati W., Telecom torna a crescere all’estero, la Repubblica, 14 ottobre 2010
- Mucchetti M., banda larga, i 12 miliardi che frenano il super web, Corriere della sera, supplemento economia, 15 febbraio 2010
- Pons G., Alierta fa il “portoghese”, ora Telecom è all’angolo, la Repubblica, Affari & Finanza, 7 giugno 2010, a
- Pons G., Bernabè nel caos Telecom, la Repubblica, Affari & Finanza, 1 marzo 2010, b
- The Economist, Call waiting, 4 marzo 2010
Vaglio L., L’Europa dell’Est guida la diffusione della fibra ottica, Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2011
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