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Iscrizioni e stranieri, il lapsus dei tecnici
La procedura on line per entrare alle superiori esclude gli stranieri irregolari, quelli senza codice fiscale. Si rimedierà, speriamo. Ma questa svista ci dice molto
È nei dettagli, si sa, che si nasconde la coda del diavolo. O, come in questo caso, si rivela. La procedura per le iscrizioni scolastiche on line, istituita quest’anno per la prima volta dal MIUR, prevede tra i suoi campi obbligatori l’indicazione del codice fiscale del genitore che la attiva. Nulla quaestio, ovviamente, per i cittadini italiani e anche per chi, pur di altra cittadinanza, ha un regolare permesso di soggiorno. Ma un problema insormontabile per i sans papier, che in Italia sono tanti – sette-ottocentomila? – e che la crisi sta moltiplicando perché da noi perdere il lavoro significa, prima o poi, anche perdere il permesso di soggiorno. L’Agenzia delle Entrate, infatti, non può rilasciare il codice a chi non sia in grado di presentare una documentazione che attesti la regolarità della residenza in Italia. In questi giorni, dunque, non sono pochi i genitori stranieri costretti a rivolgersi alle segreterie delle scuole per trovare una soluzione. Che certo si troverà, perché non si può non trovare, ma è davvero inspiegabile che i “tecnici” – non chi ha costruito il sito, ma chi governa la pubblica istruzione – siano incorsi in una “svista” così clamorosa.
Il nostro paese non brilla, come noto, per politiche illuminate nel campo dell’immigrazione, assimilando addirittura a reato penale l’ingresso e la permanenza irregolare sul nostro belsuolo. Ma il Testo Unico sull’immigrazione, articolo 38, parla chiaro quando dice che “i minori stranieri sono soggetti all’obbligo scolastico”, e il suo regolamento di attuazione ancora di più quando precisa che “i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani”. Presidi e segreterie scolastiche, infatti, hanno avuto finora l’indicazione, insistentemente ribadita anche nei corsi di formazione sulle tematiche dell’immigrazione, di non pretendere mai, e per nessuna ragione, dalle famiglie dei ragazzi stranieri, informazioni e tanto meno documentazioni in merito. Come i medici del pronto soccorso, anche i dirigenti scolastici, del resto, sono esentati dall’obbligo che hanno i “pubblici ufficiali “ di denunciare il reato di immigrazione irregolare di cui venissero comunque a conoscenza. Questo orientamento, mai scalfito neppure quando al governo c’erano Maroni e Gelmini, obbedisce a principi fondamentali del nostro ordinamento – il diritto all’istruzione come diritto universalistico nonché l’”obbligo della Repubblica a rimuovere gli ostacoli “ che potrebbero pregiudicarlo – da cui deriva immancabilmente che l’accesso all’istruzione obbligatoria non deve essere in alcun modo scoraggiato, né direttamente né indirettamente. Tant’è che lo stesso “accordo di integrazione” firmato Maroni indica esplicitamente l’ evasione dell’obbligo scolastico tra i motivi ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno degli stranieri genitori di bambini e ragazzi titolari del diritto.
Come si spiega, dunque, la “svista” ? Potrebbe esserci “solo” l’ignoranza delle leggi, ma è più probabile che a tale ignoranza, comunque colpevole, abbia contribuito una più complessiva sottovalutazione della Pubblica Istruzione dei temi connessi al massiccio ingresso di alunni di provenienza straniera nelle nostre scuole. Che sono ormai più di 800.000, pari al 10% circa del totale degli studenti, e che stanno crescendo rapidamente – nonostante la diminuzione dei flussi in entrata – soprattutto nella scuola per l’infanzia e nella scuola secondaria superiore. Con molti istituti scolastici del Centro Nord in cui il tasso di presenza supera il 25%, e non pochi istituti serali con il 50-60% di giovani adulti di provenienza straniera. Ma le Linee Guida per l’integrazione scolastica risalgono al 2007, quando ad essere interessato era essenzialmente il primo ciclo di istruzione, e un anno di governo dei tecnici non è bastato a rimetterci le mani. Sul fenomeno dell’insuccesso scolastico – più di tre volte superiore, nella scuola secondaria, quello degli studenti stranieri rispetto a quello degli studenti italiani – non ci sono programmi specifici di intervento, e neppure sullo sviluppo delle competenze professionali per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Largamente ignorati, inoltre, insieme alla patologia degli abbandoni, anche i fenomeni di “segregazione formativa” per cui i ragazzi di provenienza straniera, anche nati in Italia, finiscono per lo più dopo la scuola media per affollare gli istituti professionali e tecnici (nonché i corsi brevi di formazione professionale ) disertando invece i licei. Una vistosa contraddizione rispetto alla retorica del “merito” e della valorizzazione dei “talenti” indipendentemente dalle condizioni socioculturali di partenza, cui si dedicano appassionatamente ministri tecnici e politici. E una clamorosa indifferenza rispetto ai pur prevedibilissimi impatti negativi sulla coesione sociale e sulla temperatura civile del paese di “seconde generazioni” poco o male integrate. Incluse, sì, con beneficio evidente della consistenza di organici scolastici fortemente minacciati dal calo demografico della popolazione italiana, ma non sostenute abbastanza per poter agevolmente superare le difficoltà che derivano da condizioni sociali spesso difficili e dagli inevitabili deficit linguistici di chi in casa parla lingue diverse dall’italiano.
Nei programmi elettorali su scuola ed educazione delle diverse forze politiche di tutto ciò, del resto, non ci sono tracce. Anche a sinistra, nelle cinquanta sfumature di sinistra di cui disponiamo, non si è al momento elaborato niente al di là del riconoscimento della cittadinanza a chi sia nato in Italia , o – perché anche qui il moderatismo è d’obbligo – a chi, nato qui o altrove, abbia completato il primo ciclo di istruzione nella scuola italiana. Un deserto di idee. Un deserto, desolante, di civiltà. Che non riguarda, evidentemente, solo le burocrazie di viale Trastevere.
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