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Spiegare ai tedeschi che l'euro è un loro affare
La Germania è il paese che ha saputo trarre il massimo vantaggio dalla moneta unica. E quello che può salvarla. Sempre che si ricordi di quel giorno che Mitterrand e Kohl...
Una gustosa storiella in voga nell’Europa di fine Novecento raccontava che nelle settimane immediatamente successive alla caduta del muro di Berlino un circospetto ma deciso, Helmut Kohl, a quel tempo Cancelliere della Germania Occidentale, telefonò al suo amico François Mitterrand, presidente della Repubblica francese, per chiedere se ci fosse mai qualche perplessità od opposizione alla speranza tedesca di riunificare le due Germanie, sorelle separate dalla spartizione europea del 1945.
Mitterrand – narra sempre l’insinuante storiella – conosceva bene la cocciutaggine tedesca dell’amico Helmut. Opporsi sembrava inutile, e contro il fluire ineluttabile della eventi. Però, lasciar fare senza opporre obiezioni non era da Lui. E poi qualche grosso guaio la Germania l’aveva creato nei decenni precedenti. E due volte per giunta! E poi addirittura l’occupazione militare di Parigi!
Ricomponendosi nel suo aplomb presidenziale rispose perciò così. “Caro Helmut sono ben felice che la Germania torni unita. Tuttavia, per evitare sospetti e malintesi con gli altri Paesi europei, ma anche con gli amici americani, sarebbe cosa utile che voi faceste testimonianza di buone intenzioni”. “Cosa vuoi dire?” replicò sospettoso Kohl. Mitterand, sospirò e rispose in modo pacato ma perentorio “Non ti lascerebbero fare. Loro. Almeno non ti lascerebbero fare senza un’assicurazione sul “loro” futuro. Ti suggerisco perciò di proporre il seguente scambio: la Germania torna unita ma rinuncia a parte della sua supremazia economica, e dunque geo-politica, sacrificando il marco, e proponendo la creazione di una valuta sovrannazionale che chiameremo euro; e per questo, inevitabilmente, la Germania condividerà con gli altri paesi europei i vantaggi dell’unione monetaria ma anche il peso dei loro debiti pubblici. Insomma, caro Helmut, entri in una sorta di Società per azioni dal bilancio consolidato, dove ti prendi tutta la Germania, e l’imperitura gloria, contribuisci a costruire l’euro, ma leghi la nascitura Germania nella buona e nella cattiva sorte al destino dell’Europa intera. Un matrimonio, insomma. Naturalmente, per solidarietà anche noi francesi saremo con voi in questo accordo. Inoltre, l’euro sarà un buon affare per tutti”. “E poi così ti tengo d’occhio” pensava tra sé e sé. Il risoluto Kohl, non ci pensò due volte. Conosceva bene il detto aglosassone “there ain’t no such thing as a free lunch”. Il prezzo gli sembrò equo. E il risultato sicuro. Il processo di riunificazione della Germania iniziato con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 si concluse il 3 ottobre 1990.
Questa è la storiella. Ora viene la storia. Quella attuale e amara.
Cosa è accaduto da quei giorni a oggi? Sembra che la Germania unita soffra di smemoratezza, ed abbia perso di vista almeno una parte dei fattori cardine che hanno contribuito alla nascita dell’euro. Se più di venti anni fa la riunificazione della Germania – la fine di una vergogna europea, la rinascita di una nazione, di un popolo e di una cultura – è stata possibile anche grazie al grande sforzo e al salto di qualità delle relazioni internazionali tra i Paesi europei, che hanno operato per sostenere quel processo, ritracciando il perimetro normativo europeo dove contenere e modellare quelle necessarie trasformazioni economico e politiche, e ponendo, parallelamente, le condizioni di salvaguardia che ne consentissero la realizzazione immediata e la tenuta nel lungo periodo, oggi ci aspetteremmo una responsabilità e solidarietà maggiore dalla Germania unita rispetto alle richieste e aspettative attuali dei paesi che hanno contribuito alla sua rinascita.
Se oggi, difatti, i tedeschi si sentono “economicamente” creditori verso i paesi europei, detti con pessimo termine, “periferici”, tra cui l’Italia, è bene ricordare che molti di questi stessi paesi possono a ben diritto sentirsi “politicamente” creditori della Germania perché operarono nei momenti cruciali, nel concerto europeo, affinché il processo di riunificazione dei due stati tedeschi avvenisse senza ostacoli. In effetti, potremmo dire che l’euro è figlia di quella riunificazione tedesca e del contestuale matrimonio con e tra le altre nazioni europee. Dunque oggi, questi paesi, e non solo l’Italia, si attendono dalla Germania una netta assunzione di responsabilità politica ed economica rispetto all’Unione monetaria; responsabilità, che se assente, rischia di trasformare l’euro da un’opportunità per la crescita a un vincolo sostanziale.
Detto ciò, l’economia italiana tra insufficienze politiche, debolezze strutturali e riforme sbagliate sta percorrendo da ormai due decenni una china pericolosa che l’allontana dal centro dell’Europa. Il quadro economico è allarmante. L’euro forte svantaggia le nostre esportazioni. Lo stesso tasso di cambio è invece praticamente svalutato per l’economia tedesca, che da un decennio registra avanzi medi di bilancio di circa il 6 percento del Pil. La stabilità dei prezzi, obiettivo prioritario della Bce, contribuisce ulteriormente alle esportazioni tedesche rispetto al resto dell’Europa, ma toglie ogni possibilità di manovrare attraverso gli strumenti della politica monetaria, anche solo per brevissimi periodi. Il rapporto debito/Pil tedesco è aumentato di quasi il 30 percento del 1990 a oggi, anche per accelerare l’unificazione. Il nostro rapporto debito/Pil è invece rimasto sostanzialmente stabile intorno al 120%. Quello della Francia, viaggia in crescita verso il critico 100%, ponendo questioni di sostenibilità. Per le resistenze tedesche, la Bce non può operare come creditore di ultima istanza, accrescendo le ansie sulla solvibilità dell’intero sistema europeo.
Dunque, oggi siamo un paese debole con bassa produttività e competitività, vincoli di finanza pubblica stringenti, e assenza di politica. La Germania, no. Ma, la Germania unita oltre che dalla sua maggiore competitività ha saputo trarre il massimo vantaggio dall’euro. Per loro, l’iniziale vincolo è diventato opportunità. L’anatroccolo si è trasformato in cigno. Tassi di cambio deboli dell’euro se confrontati con un ipotetico marco virtuale; mantenimento della stabilità dei prezzi; ampi margini della politica fiscale operata attraverso interventi di spesa pubblica indirizzati ai settori ad alto valore aggiunto e contenuto tecnologico e orientati all’export, e investimenti a favore della formazione e dell’università, accelerano la crescita della Germania, allargando il divario con l’Europa. È indubbiamente vero che la Germania unita è per gli altri paesi europei un esempio di efficienza; ma è altrettanto vero che essa ha tratto grandissimi vantaggi dall’Unione monetaria. Potremmo addirittura dire che i paesi periferici europei hanno implicitamente finanziato la Germania in questo decennio.
Quali conclusioni possiamo trarre? Vi è un’insita instabilità del quadro degli accordi monetari europei. Il Serpente monetario degli anni Settanta, il Sistema monetario europeo degli anni Ottanta hanno mostrato la corda, fino al crollo, di fronte alla crescita destabilizzante dell’economia tedesca. Oggi l’euro subisce le stesse tensioni di allora, aggravate da un quadro internazionale che vede nell’euro un concorrente scomodo del dollaro negli scambi internazionali, e da un ridimensionamento del ruolo dello Stato e da un processo di deregolamentazione che amplifica le instabilità dei mercati finanziari. In questo quadro, la Germania può e deve fare di più in favore dell’Europa e dell’euro. Ovviamente, la riconoscenza non è né una categoria dell’economia né della politica. Ma potrebbe diventarlo se fosse possibile attribuirgli un prezzo ombra che ne quantifichi i costi e i benefici attesi. Danni economici e sociali legati alla dissoluzione dell’euro sono difatti estremamente elevati. Danni politici derivanti dalla perdita di credibilità e reputazione internazionale sono dietro l’angolo. Le strategie cooperative sembrano quindi essere le uniche percorribili per rilanciare le economie europee e rinsaldare le relazioni internazionali e la politica europea.
O forse, più tristemente possiamo constatare che di nuovi Mitterrand e di Kohl non ce ne sono in giro, e non se ne vedono all’orizzonte. Quello che offre oggi la politica è pochezza e assenza di lungimiranza. Tornano alla mente le parole di Spinelli e Rossi che nel Manifesto di Ventotene, antesignano di ogni idea di Europa unita, scrivevano “Nessun programma (politico, ndr) passa dal regno dei valori ideali a quello dell’azione concreta, se non è accolto da un’effettiva classe politica dirigente, da minoranze attive e organizzate che si propongono seriamente di realizzarlo”.
Speriamo ancora che sia così.
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