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Una patrimoniale a difesa dei Bot people?

18/11/2011

Il governo Monti, appena insediato, si trova a fronteggiare una situazione estremamente difficile, con il problema debito pubblico che minaccia di confliggere drammaticamente con politiche di sostegno della crescita e dell’occupazione.

 

La mancanza di decisione politica di questi mesi hanno lasciato i singoli paesi in balia dei “mercati” mentre l’imposizione (o l’auto-imposizione) generalizzata di politiche di austerità come sola ricetta contro all’aggravarsi precipitoso della crisi, lungi dal risolvere il problema, ha avuto il solo effetto di ammazzare la crescita e, per questa via peggiorare il problema del debito. I dati più recenti indicano che nel terzo trimestre l’area dell’euro è cresciuta dello 0,2%.

 

Il problema del debito di un paese si è così trasmesso agli altri, trascinando nel baratro le banche, la cui solvibilità è messa in discussione dalla caduta dei valori dei titoli pubblici che hanno in portafoglio, e taglieggiando i risparmi degli italiani, che, secondo stime della Banca d’Italia, detengono direttamente il 14% del debito pubblico (la parte restante sta nei portafogli delle banche, degli istituti di assicurazione, nei fondi comuni, ecc.). La situazione si è così deteriorata che l’”effetto Monti” da solo non è più in grado di rovesciare il trend. Una uscita dall’emergenza richiederà politiche “dolorose”, ma non potrà essere condotta a buon fine senza il sostegno della Bce.

 

Fra i provvedimenti che potrebbero essere adottati, si torna a parlare di patrimoniale, una tassa cioè applicata al patrimonio anziché al reddito. Una misura che divide profondamente gli italiani, ed è stata fortemente avversata dal precedente governo Berlusconi, e tuttora dalla Lega. E tuttavia il grafico che riportiamo mostra in modo evidente che c’è già in atto un'imposta sul patrimonio.

 

 

Fonte: Datastream

 

Nel grafico è riportato il prezzo di un Buono del tesoro pluriennale, cioè un titolo di stato italiano che, in questo caso, verrà a scadenza tra dieci anni. Chi lo volesse rivendere ora senza aspettare il 2021, per ogni 100 euro che ha pagato ne otterrebbe sul mercato meno di 85. L'impennata dello spread sui titoli italiani, di cui tutti ormai parlano, altro non è che l'altra faccia della caduta precipitosa del prezzo dei titoli, che ha falcidiato i risparmi delle famiglie. Questa “tassa” che non è stata decisa da nessun parlamento, ma imposta dai "mercati", pesa di più sui piccoli risparmi. Nel patrimonio dei piccoli risparmiatori infatti è più forte la presenza di titoli di stato italiani, posseduti direttamente o attraverso polizze vita o fondi monetari.

 

Non è dunque strano che un'imposta patrimoniale "vera" venge ormai invocata da più parti, anche le meno sospette: l'associazione degli industriali, il presidente di Assonime (l’Associazione delle società per azioni) Luigi Abete, gli stessi risparmiatori, sempre più sbigottiti dalla falcidia dei loro portafogli. E’ infatti preferibile pagare un 1% sul loro patrimonio - e anche di più - se questo fosse in grado di frenare la caduta del prezzo dei titoli e, riportando la fiducia, potesse far invertire la curva dei rendimenti (e dunque far risalire il prezzo dei titoli).

 

C'è a nostro parere una crescente consapevolezza che, per salvare il capitale da se stesso, è necessario il contributo di tutti, redditieri inclusi. Se fosse applicata contestualmente a un taglio delle imposte su redditi, lavoro e imprese, potrebbe avere effetti redistributivi e di stimolo degli investimenti e della crescita economica. Non sarebbe dunque solo un primo passo nella direzione di una condivisione dei sacrifici, ma potrebbe anche rappresentare una via possibile per lasciare spazio alla crescita e dunque aanche alla possibilità di politiche di rilancio dell'occupazione femminile e di riforma del welfare.

Tratto da www.ingenere.it