Home / Newsletter / Newsletter n.142 - 22 ottobre 2011 / Green economy, nuovo paradigma tecnologico

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Green economy, nuovo paradigma tecnologico

21/10/2011

L’innovazione ambientale come motore di una crescita sostenibile per l’Europa, con più lavoro, meno emissioni di carbonio, uso accurato delle risorse, riduzione dei costi di beni e servizi, e tecnologie sostenibili e responsabili

Possiamo sostenere che la vera sfida europea per uscire dalla crisi economica, assieme a delle misure restrittive del mercato finanziario, è direttamente e intrinsecamente legata alla capacità d’alimentare un nuovo paradigma tecno-economico? La risposta è sì. L’attuale livello di saturazione dei mercati alimenta solo una domanda di sostituzione, che mal si concilia con la necessità di un rilancio economico. “Europa 2020” mette al centro alcuni importanti obiettivi: la conoscenza e il suo uso a fini ambientali, la crescita economica senza emissioni di carbonio e l’impiego accurato delle risorse, l’efficacia sul piano dei costi sull’intero ciclo di vita dei beni e servizi. Inoltre, in tutti i paesi si sostengono le tecnologie rinnovabili, anche per affrancarsi dalla probabile crescita dei prezzi delle materie prime come il petrolio.

L’orizzonte europeo è presuntuoso, ma le condizioni per traguardarlo ci sono. Infatti, l’attuale peso della green economy è pari al 2% del pil, occupando quasi 4 milioni di lavoratori. Le tecnologia Ict, che avevano un retroterra (militare) molto più robusto, ha raggiunto il 7% del pil, partendo proprio dall’attuale livello della green economy. Inoltre, gli unici investimenti a crescere sono proprio quelli legati alla clean economy. Tra il 2007 e il 2011 la crescita degli investimenti nelle rinnovabili è cresciuto del 63,6%, mentre la spesa in ricerca e sviluppo (pubblica) tra il 2007 e il 2010 è cresciuta del 253%. I principali player sono Cina (34,3%), Europa (24,7%) e Nord America (21,1%).

Sostanzialmente ci sono tutte le condizioni per sviluppare un nuovo ciclo economico.

Per declinare l’ipotesi di un nuovo New Deal (ambientale), è necessario puntualizzare le condizioni per promuoverlo. Kline e Rosenberg (1986) sostengono che “è un grave errore quello di trattare l’innovazione come una cosa ben definita, che entra nell’economia in un giorno preciso, o che diventa disponibile da un certo momento in poi… Le innovazioni più importanti, durante il corso della loro vita attraversano drastici cambiamenti, che a volte possono trasformare totalmente il loro significato economico. I miglioramenti cui viene sottoposta un’innovazione possono avere un valore economico molto più rilevante dell’invenzione stessa nella sua forma originale”.

Allo stesso modo può essere utile l’analisi dinamica del ciclo descritta da Schumpeter, cioè stasi economica, innovazione tecnologica adottata dall’imprenditore innovatore che si trova in condizioni migliori rispetto ai concorrenti, diffusione dell’innovazione, aumento della concorrenza, riduzione dei prezzi e riduzione dei profitti, stasi economica. In fondo, gli investimenti anticipano e seguono il ciclo economico, cioè l’innovazione tecnologica modifica l’organizzazione della produzione, generando nuovi settori produttivi che offrono maggiori tassi di crescita e profitto. Quindi, per uscire dalla crisi non serve solo un qualsivoglia aumento della domanda di consumo, e nemmeno una qualsivoglia domanda d’investimento, piuttosto un aumento della domanda capace di anticipare e guidare la ristrutturazione del sistema produttivo verso nuove tecnologie. Al momento le clean technologies sono le uniche a offrire ampi spazi di crescita. Proprio perché l’innovazione è un fenomeno sistemico, occorre il coinvolgimento di molti attori economici, assieme ad una tempistica che deve coincidere. Solo a determinate condizioni (mercato, imprese, domanda, dotazioni tecniche esterne) l’innovazione può dispiegare tutte le sue potenzialità in termini di crescita, ovvero aumenti dei profitti e dei redditi. Per questo un New Deal europeo è l’unica vera alternativa alla crisi.

 

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