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Investimenti, i veri motivi della grande fuga
Nel 2010 sono risaliti gli investimenti esteri diretti nel mondo, ma non da noi. Alcune cifre che confutano molti luoghi comuni sulle ragioni del declino degli Ide in Italia e Lombardia
Quadro generale
Nel 2010 gli investimenti diretti esteri nel mondo hanno in parte recuperato le posizioni negative del 2008 e 2009. Ma questa parziale ripresa degli Ide (investimenti diretti esteri) non è stata uguale tra le aree economiche. In particolare si manifesta il ruolo dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina) e delle economie emergenti, mentre per le economie mature è continuato il contenimento in entrata e in uscita degli Ide. Tra i paesi europei solo la Germania, che già dal 2009 aveva registrato un recupero sia in entrata che in uscita, sembra consolidare la sua posizione internazionale negli investimenti in entrata e in uscita degli Ide. In qualche misura la struttura produttiva di questo paese ha favorito l’ingresso degli investimenti esteri, cioè la necessità di molte società di presidiare il mercato tedesco, mentre le multinazionali tedesche hanno continuato ad allargare la loro base produttiva attraverso il presidio dei mercati emergenti con nuovi investimenti.
Sostanzialmente la specializzazione produttiva e il contenuto tecnologico di un paese rimane la principale caratteristica tecnica del processo di internazionalizzazione della produzione, con evidenti vantaggi dal lato occupazionale e di salario per i paesi che operano in settori ad alto valore aggiunto.
Infatti, se osserviamo l’Italia e altri paesi che hanno una struttura produttiva prevalentemente fondata sui beni di consumo a forte elasticità di prezzo, gli Ide in entrata e in uscita, cioè il reale processo di internazionalizzazione delle imprese, non è solo contenuto, ma marginale rispetto alla divisione internazionale del lavoro.
Per l’Italia gli Ide in entrata si sono dimezzati da 15.500 mln di euro del 2008 a 7.200 mln di euro nel 2010, mentre gli Ide in uscita sono passati da 45.700 mln di euro del 2008 a 15.300 mln di euro del 2010.
Se il saldo tra entrate e uscite degli Ide dell’Italia è negativo, non è certamente imputabile alla ricerca delle imprese delle migliori condizioni finanziarie e sindacali in paesi esteri, piuttosto dal fatto che l’Italia produce beni e servizi dello stesso livello dei paesi a margine del sistema produttivo che fonda la propria competitività sul costo del lavoro. La tesi neoliberista, tra l’altro tutta italiana, relativa alla fuga dall’Italia delle multinazionali legata alla rigidità del mercato del lavoro e del sistema fiscale, non trova una conferma se prendiamo in esame la Germania. Se fosse vera la tesi dei neoliberisti nostrani, la Germania non dovrebbe essere interessata da flussi in entrata e uscita degli Ide sempre più consistenti. In realtà, sono le condizioni di struttura economica a modificare la presenza o meno delle multinazionali, non certo i regimi fiscali o di lavoro che operano solo a margine nella determinazione dei prezzi [1].
Anche regioni italiane di “rilievo” europeo sono ormai ai margini del mercato degli Ide internazionali.
Se la Lombardia rappresenta quasi il 65% del totale degli Ide italiani, il peso specifico degli investimenti diretti esteri in Lombardia nel consesso italiano deve essere adeguatamente interpretato. L’aspetto finanziario dovrebbe essere considerato nella valutazione degli Ide in questa regione. Infatti, gran parte degli Ide destinati alla Regione Lombardia (2/3) è principalmente legata alla piazza finanziaria milanese [2]. Al netto degli investimenti legati alla Borsa di Milano, gli investimenti diretti esteri della Lombardia sono in linea con quelli di tutte le altre regioni d’Italia, e di gran lunga inferiori alla media europea.
Ma la presenza delle multinazionali in Italia come la perdita di ruolo degli Ide, sempre più marginali per il paese, è direttamente proporzionale alla dotazione tecnica non coerente con quella media europea e tedesca in particolare. Come sostiene Resmini (2009)…”Ad oggi la capacità di attirare capitali e personale qualificato e di trattenere tali risorse sul territorio appare condizionata da una serie di elementi che rimandano sempre più spesso alla componente immateriale della dotazione del territorio stesso, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti nei settori ad alta intensità tecnologica, dove i fattori più fluidi della competitività come le conoscenze e le competenze hanno un peso rilevante nel determinare le scelte di delocalizzazione.”
Se la Lombardia perde terreno nell’attrazione di Ide a favore di altre regioni del Centro-Nord (in particolare Triveneto, Emilia Romagna, Lazio), anche in settori importanti come elettrico-elettronico in cui gruppi come Ibm, Hp, Alcatel, Siemens, Italtel hanno fortemente ridimensionato e talora interamente dimesso stabilimenti produttivi localizzati in larga parte nella provincia di Milano, tale tendenza è legata alla specializzazione produttiva di questa regione sempre più ai margini del sistema produttivo europeo.
Quindi il problema delle multinazionali (entrata e uscita) è direttamente proporzionale alla politica industriale ed economica. Le tasse, i diritti del lavoro e il costo dello stesso sono elementi residuali nella decisione delle multinazionali di realizzare investimenti diretti esteri.
[1] Le multinazionali usano come metodo di determinazione dei prezzi il costo pieno, dove i costi fissi sono predominanti e maggiormente interessati alle economie di scala.
[2] Fonte Banca d’Italia.
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