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Il robot disoccupato

23/07/2009

Penso che, di questi tempi, sia utile complicare gli schemi con cui siamo abituati a pensare. In questa prospettiva accenno a un tema che potrà sembrare poco pertinente - quasi uno scherzo, una provocazione - rispetto del dibattito attuale. Si tratta di vicende di robot.
E’ di questi giorni una notizia apparsa sull’International Herald Tribune, inattesa. Titolo in prima pagina: “Anche l’esercito dei lavoratori-robot del Giappone è colpito dalla recessione”. Si parla di “legioni di robot che sono ridotti all’ozio in questa fase di pesantissima crisi…e che potrebbero rimanere senza lavoro molto a lungo”.
Secondo un rapporto del 2005 si contavano oltre 370.000 robot nelle attività industriali giapponesi, 32 per ogni 1000 addetti. Peraltro le esperienze di fabbriche in cui gli operai lavorano “in collaborazione con agenti non umani” sono ormai diffuse in tutti i paesi (anche in Italia).
Il caso giapponese è però noto come la situazione più avanzata. Ci sono vantaggi che nell’articolo vengono richiamati: non è necessario far ricorso agli immigrati (elemento che nei decenni scorsi in Giappone ha contato molto) e il livello di sfruttamento che si può realizzare è così sintetizzato dal dirigente di un’impresa: “un robot lavora giorno e notte e non si lamenta…inoltre si risparmia sui costi di riscaldamento e illuminazione, che sono cose di cui i robot non hanno bisogno”.
Un piano governativo del 2007 per lo sviluppo tecnologico prevedeva, per il 2025, di installare nel settore industriale un milione di robot. Ma oggi ci si interroga sul futuro: la produzione industriale è “ crollata del 40%... e, in parallelo, lo stesso succede per la domanda di robot”. Nell’articolo si portano dati relativi alla situazione di oltre una decina di imprese che hanno chiuso o ridotto le loro attività. Si riportano cifre, si intervistano dirigenti dei settori interessati. Problemi ovviamente pesanti per decine di migliaia di operai coinvolti.
Ma val la pena di cogliere questa notizia per delineare in termini più ampi i processi in atto, sia prima che si arrivasse alla crisi, sia naturalmente per il futuro.
Oltre che nel lavoro di fabbrica, straordinarie le innovazioni realizzate anche per attività del terziario, anche in ambiti ad elevata professionalità; e nella “domotica”. E’ aumentato il ricorso a robot nella diagnostica e nella chirurgia (la chirurgia non invasiva in particolare), in attività di ricerca condotte in laboratori di analisi di chimica e biochimica. E’ stato inventato il “traduttore universale”, capace di tradurre oltre quaranta lingue. Ancora: in uffici del settore pubblico e di aziende ci sono robot che ricevono chi arriva e danno le informazioni richieste traendole dagli schermi dei computer; all’ingresso di musei forniscono i biglietti e una breve introduzione alla visita; nelle portinerie degli ospedali hanno il compito di accompagnare i pazienti agli ascensori o negli studi medici; in una stazione ferroviaria sono in grado di dare le indicazioni essenziali.
Ma anche altri aspetti sono da considerare. Ci sono “androidi”, “umanoidi”, capaci di svolgere compiti domestici e, in qualche modo, di interagire. Percepiscono eventuali rumori sospetti e controllano la sicurezza della casa. Ricordano gli orari della merenda (per i bambini) e dell’assunzione di medicinali (per le persone anziane o malate). Conoscono un certo numero di parole e manifestano anche, si dice, emozioni. Quasi un quarto della popolazione giapponese ha 65 anni (o più): questo settore è considerato di utilità fondamentale per gestire i problemi sociali del futuro.
E a questo punto è importante dire che non si tratta soltanto del Giappone. In un libro recente curato da tre studiosi attivi in Canada, Francia e Stati Uniti (S.Helal, M.Mokhtari, B.Abdulrazak, a cura di, The Engineering Handbook of Smart Technology for Aging, Disability, and Independence, Wiley, 2008: aggiungo, 944 pagine) si presentano dati, si analizzano le innovazioni disponibili,si propongono politiche sociali e “linee guida” relativamente alle “tecnologie per l’assistenza”. Non si tratta solo di sviluppare nuovi campi di ricerca e settori produttivi: si mette a fuoco la possibilità di realizzare “sistemi friendly” per una varietà di utenti e in una varietà di ambiti, l’ambiente, il lavoro, la mobilità, la casa. Assistive robotics for independent living è un termine con il quale dovremmo familiarizzarci.
Concludendo, accenno a un’esperienza personale. Nel più grande museo della scienza e della tecnica dei Paesi Bassi, il NEMO di Amsterdam, una mostra molto ricca presenta esempi di tutte le applicazioni ormai disponibili: per la produzione industriale, per l’organizzazione della casa e della vita domestica, anche per molte attività dei bambini (nelle scuole, nei giochi). Alla fine del percorso, circondati da robot -con fattezze, in prevalenza, di giovani donne piacevoli- ci si rende conto che, dopotutto, non si è sorpresi o disturbati dalla presenza di queste figure: sapremo abituarci (può essere questione di decenni o di alcuni anni, dipende) ad averle attorno a noi.
Forse dovremmo tenerli presenti questi aspetti e queste prospettive, relativi a contesti diversi dal nostro, e che certo ci appaiono sorprendenti, contraddittori. Considerare le possibili conseguenze: per il mercato del lavoro ma non solo, per l’organizzazione del vivere: ci riguardano.

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