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Gli economisti sono con Tsipras
La scossa di Atene/La Grecia non è sola. Questo è il messaggio che arriva forte e chiaro dalle decine di campagne, appelli, mobilitazioni popolari e manifestazioni – la più grande a Parigi lunedì scorso, con più di 1,500 partecipanti – in sostegno del partito di Alex Tsipras a cui abbiamo assistito in queste settimane
E non solo in Europa: l’ultimo appello a favore di una ristrutturazione del debito pubblico e di un ribaltamento radicale delle politiche di austerità, sottoscritto da quaranta accademici, arriva addirittura dall’Australia. È sorprendente il consenso che in questi mesi Tsipras – che le alle ultime elezioni greche, nel 2012, l’establishment politico-mediatico europeo era riuscito con successo ad etichettare come un “pericoloso estremista” e “una minaccia per la sopravvivenza dell’Europa”, decretando la marginalizzazione e la sconfitta di Syriza – è riuscito a costruire intorno al suo programma per cambiare la Grecia e l’Ue, anche a livello mainstream. Grazie in parte anche all’“estremismo di centro” che ha preso piede in Europa. Come ha scritto Wolfgang Münchau in un recente editoriale sul Financial Times, sono proprio i grandi partiti europei di centro-sinistra e di centro-destra che stanno permettendo “la deriva dell’Europa verso l’equivalente economico di un inverno nucleare”, mentre gli unici partiti del continente che propongono ciò che è il “consenso” tra gli economisti per risolvere la crisi dell’area euro senza spaccarlo – ossia grandi investimenti pubblici e una ristrutturazione controllata dei debiti – sono proprio i “pericolosi” partiti della sinistra radicale, capeggiati da Syriza. Un consenso che si fa ogni giorno più diffuso, a partire dalla necessità di una massiccia ristrutturazione del debito greco. Scrive Paul De Grauwe: “L’Unione europea ha costretto la Grecia a prendersi in carico un debito enorme e a implementare brutali misure di austerità solo per salvare le banche del Nord Europa, che avevano prestato grandi quantità di denaro al paese, in maniera del tutto scellerata. Lo scopo di queste politiche è uno solo: salvaguardare gli interessi dei creditori, trasferendo risorse dalla Grecia e dagli altri paesi della periferia verso i paesi ricchi del Nord. Ma è una strada insostenibile oltre che immorale: se i leader dell’eurozona non accettano di alleviare il debito della Grecia e degli altri paesi e di porre fine all’immiserimento di massa provocato dalle politiche attuali una crisi dell’eurozona è inevitabile”. La pensa così anche Philippe Legrain, ex consulente di Barroso: “Non è una questione di destra o sinistra. Syriza ha tutto il diritto di chiedere la cancellazione di una parte del debito: con la scusa della solidarietà, la Germania e gli altri paesi dell’eurozona hanno ridotto la Grecia in miseria per salvare i creditori. E comunque non è solo una questione di giustizia ma di necessità economica e politica: anche in base agli scenari più ottimistici, è assolutamente impossibile che la Grecia possa ripagare un debito di quelle dimensioni”. “Debito che è aumentato proprio a causa dello schiacciante impatto dell’austerità fiscale sulla produzione, come ha riconosciuto anche il Fondo monetario internazionale”, sottolinea Joseph Stiglitz. Il problema, però, non è solo economico ma anche e forse soprattutto politico, fa notare Legrain: “La Merkel avrebbe molte difficoltà a far digerire una ristrutturazione del debito ai propri elettori perché questi non provano alcuna solidarietà nei confronti dei greci, che pensano di aver già abbondantemente aiutato. E poi Berlino ha paura di creare un precedente che potrebbe incoraggiare altri paesi, a partire dall’Irlanda, a chiedere una rinegoziazione del debito che l’Ue gli ha imposto per salvare le banche”. Eppure, come sottolineano in tanti, proprio la Germania dovrebbe ricordarsi meglio di chiunque altro cosa succede quando i creditori insistono sul rimborso del debito a tutti i costi, senza tenere conto delle conseguenze economiche e politiche delle loro decisioni. Nel 1920 il giovane Keynes, in merito alle riparazioni follemente punitive imposte alla Germania con il trattato di Versailles, scriveva: “La politica di ridurre la Germania alla servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare della felicità un’intera nazione dovrebbe essere considerata ripugnante e detestabile… anche se non fosse il seme dello sfacelo dell´intera vita civile dell’Europa”. Sappiamo bene come è andata a finire. “Dire oggi ai paesi del Sud Europa che devono ripagare tutti i loro debiti, fino all’ultimo centesimo e con l’inflazione a zero, rappresenta un incredibile atto di amnesia storica da parte della Germania”, dice Thomas Piketty. Come scrive Jeffrey Sachs, non certo uno di sinistra: “I tedeschi sostengono che il rimborso del debito è un obbligo morale. Ma farebbero bene a ricordarsi che la comunità internazionale cancellò la maggior parte del debito tedesco in seguito alla conferenza di Londra del 1953, e con il piano Marshall offrì al paese enormi somme per far ripartire l’economia. La Germania si “meritava” forse quegli aiuti? No, ma ne aveva bisogno per potersi rimettere in piedi. La Grecia oggi si trova nella stessa situazione. Oggi come ieri, le strade sono due: o l’eurozona accetta di ristrutturare il debito greco o l’Europa esploderà ancora una volta”. È la stessa drammatica conclusione a cui giunge Stiglitz: “Il problema non è la Grecia. È l’Europa. Se l’Europa non cambia – se non riforma l’eurozona e continua con l’austerity – una forte reazione popolare sarà inevitabile. Forse la Grecia ce la farà questa volta. Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. Ma quanta altra sofferenza dovrà sopportare l’Europa prima che torni a parlare la ragione?”.
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